La disfatta del renzismo
Per una soluzione di classe alla crisi della Repubblica
5 Dicembre 2016
Il renzismo ha consumato una autentica disfatta.
La combinazione dell'altissima partecipazione al voto (70%) con la
valanga del No (quasi il 60%) offre un'indicazione inequivoca. Il
plebiscito della maggioranza silenziosa che Renzi aveva invocato per sé
si è capovolto contro di lui e il suo governo. La tendenziale omogeneità
della vittoria del No sull'intero territorio nazionale (con la parziale
eccezione toscana) rafforza l'imponenza del pronunciamento.
Il populismo di governo e il suo progetto bonapartista conoscono una
sconfitta senza ritorno. Il tentativo di sfondamento nell'elettorato di
centrodestra nel nome della stabilità politica contro il salto nel
buio; il tentativo di incursione nell'elettorato grillino e leghista nel
nome del taglio delle poltrone e dei politici contro la casta; la
pioggia parallela di mancette elettorali e richiami clientelari nella
legge di stabilità; l'occupazione, infine, a reti unificate dei canali
della comunicazione pubblica, hanno tutti mancato nel loro insieme il
proprio obiettivo. Non è colpa dello spartito in sé, ma del suo
interprete. Il renzismo arrivava alla prova decisiva del referendum
istituzionale in uno stato di profonda crisi di consenso, registrata da
tutti i pronunciamenti elettorali dei due ultimi anni. Una crisi
apertasi a partire dallo scontro sociale su Jobs Act e Buona scuola, e
poi approfonditasi nella fase successiva. La disfatta referendaria ha
confermato e pesantemente aggravato questa crisi.
La disfatta del renzismo e del suo progetto bonapartista è un fatto
straordinariamente positivo. Tanto quanto una sua vittoria sarebbe stata
catastrofica per i lavoratori. Ma ciò non significa che il
pronunciamento di massa del No abbia una valenza politica uniforme. I
blocchi sociali interclassisti del populismo di opposizione hanno
sostanzialmente tenuto nei propri riferimenti politici, sommandosi
contro il governo. Ha tenuto massicciamente il blocco sociale della Lega
, come emerge dal voto veneto. Ha tenuto il grosso dell'elettorato di
Forza Italia attorno al richiamo di un pur indebolito Berlusconi. Ha
tenuto il grosso dell'elettorato grillino, come emerge dal voto nel Sud,
a Roma, a Torino. Su questo versante il No ha avuto il marchio di una
“pancia di destra”. Ma parallelamente si è espresso contro Renzi un
settore di classe lavoratrice legato alla tradizione della sinistra
politica e sindacale, nelle sue diverse articolazioni e organizzazioni
(CGIL, FIOM, sindacati di base...), e attorno ad esso il grosso di un
popolo della sinistra segnato da una cultura democratica e
costituzionale con i suoi riferimenti portanti (ANPI): un settore di
classe e un popolo compositi che hanno affollato in tante parti d'Italia
le iniziative dei comitati del No, con livelli di partecipazione e
coinvolgimento spesso sorprendenti. Questo è il versante progressivo del
pronunciamento anti-Renzi. Il versante che può e deve assumersi ora la
responsabilità di una propria risposta e di una propria soluzione alla
crisi politica e istituzionale che la disfatta di Renzi ha aperto.
La disfatta del renzismo segna la sconfitta della Seconda
Repubblica. La Riforma costituzionale Renzi-Boschi non era solo il
progetto bonapartista dell'uomo solo al comando. Era anche, perciò
stesso, l'atteso completamento del lungo processo di riforma
istituzionale che dai primi anni Novanta ha investito gli assetti
politici e istituzionali della Repubblica, a partire dai comuni e dalle
Regioni. Un processo di progressiva costituzionalizzazione di governi di
minoranza, grazie al combinato di leggi maggioritarie e potenziamento
degli esecutivi. Un processo funzionale allo sviluppo dell'aggressione
sociale ai lavoratori e alla lavoratrici, allo smantellamento
progressivo dei loro diritti e conquiste, a vantaggio dei profitti
padronali e nel quadro dei vincoli UE. Riforma Boschi e Italicum
dovevano completare e chiudere la transizione alla Seconda Repubblica,
col plauso di tutto il grande capitale, interno e internazionale.
Proprio per questo la disfatta di Renzi non è solo la sconfitta di un
aspirante Bonaparte. È anche la sconfitta di un lungo corso politico
istituzionale.
Per questa stessa ragione il movimento operaio deve porsi
all'altezza della crisi che ora si è aperta e indicare la propria
soluzione. Autonoma, di classe, totalmente alternativa e contrapposta a
quelle prospettate dagli altri soggetti del campo del No.
La crisi politica e istituzionale che si è aperta vede in campo, da
protagonisti, diversi avversari della classe lavoratrice. La presidenza
della Repubblica cercherà di incardinare una soluzione di governo che
regga la pressione del capitale finanziario, tamponi la crisi delle
banche, conduca in porto una legge di stabilità che regala altri 20
miliardi a imprese e banche, gestisca il negoziato nella UE, istruisca
in un parlamento assai più instabile una nuova legge elettorale che
garantisca “governabilità” (antioperaia). Non sarà facile. Intanto, sul
fronte del No ogni soggetto dispiega il suo gioco. Ma sempre contro i
lavoratori. La Lega di Salvini punta alla rapida scalata del
centrodestra con un messaggio trumpista e lepenista, fondato su caccia
ai migranti e nazionalismo antieuropeo. Berlusconi punta a recuperare
uno spazio negoziale col PD indebolito su legge elettorali, riforma
istituzionale, ulteriore detassazione delle imprese. Il M5S invoca
elezioni subito, in compagnia della Lega, per provare a capitalizzare a
proprio vantaggio la spinta del No, conquistare il potere, e affermare
il proprio disegno di Repubblica plebiscitaria via web, che contrappone
reddito di cittadinanza alla ripartizione del lavoro, punta
all'abolizione dell'Irap, solletica gli umori xenofobi e nazionalisti.
Il movimento operaio non ha nulla a che spartire con questi disegni,
tutti mirati contro i suoi interessi sociali. Tutti interessati a
costruire sulle rovine del renzismo diverse soluzioni reazionarie.
Al contrario. Di fronte alla bancarotta della Seconda Repubblica, si
tratta di battersi per una soluzione operaia della crisi. Una soluzione
che volti finalmente pagina. Che chiami in causa le classi dirigenti
del Paese, tutti i loro poteri e tutti i loro partiti. Che rivendichi la
cancellazione delle leggi antioperaie di trent'anni, a partire dal Jobs
Act e Buona scuola. Che ponga al centro dello scontro le ragioni di
classe del lavoro, contro ogni loro subordinazione al capitale. Che
rivendichi il diritto alla piena rappresentanza proporzionale di queste
ragioni, contro ogni loro subordinazione alla governabilità del sistema.
È la prospettiva di una repubblica dei lavoratori, basata sulla loro
forza e la loro organizzazione. L'unica che possa abolire il debito
pubblico verso le banche e nazionalizzarle, espropriare i capitalisti
che licenziano ed inquinano, ripartire tra tutti il lavoro attraverso
una riduzione generale e progressiva dell'orario di lavoro a parità di
paga, cancellare le leggi di precarizzazione del lavoro, sviluppare un
grande piano di nuovo lavoro, a partire dal riassetto idrogeologico del
territorio e la messa in sicurezza antisismica dell'intero patrimonio
edilizio pubblico e privato. Nessuna di queste misure è rinunciabile.
Nessuna di esse può essere realizzata dagli avversari dei lavoratori,
dentro il quadro capitalistico, dentro la UE. Solo una rottura
anticapitalista, solo un governo dei lavoratori può realizzarle.
Proponiamo il più ampio fronte unico di lotta del movimento operaio e
delle sue organizzazioni attorno a questo programma indipendente, e a
questa autonoma prospettiva politica. E dentro questa prospettiva
diciamo con chiarezza che vanno archiviati e respinti gli accordi
sindacali a perdere siglati dalla burocrazia sindacale alla vigilia del
referendum istituzionale, nel settore privato (metalmeccanici) come nel
settore pubblico (pubblico impiego) come nei servizi (igiene
ambientale). Regali al padronato per scalare la segreteria CGIL
(Landini), regali al governo per compiacere l'unità con la CISL
renziana. Regali da revocare, subito, a partire dal No delle assemblee
dei lavoratori. Il No a Renzi diventi il No di classe del mondo del
lavoro a decenni di sacrifici e umiliazioni. Ora basta. È l'ora di
costruire una riscossa. È ora di ripartire da una piattaforma di lotta
unificante, da una vertenza generale che l'accompagni, da una
mobilitazione prolungata che l'imponga.
Il PCL si batte e si batterà come sempre in ogni lotta per aprire questa pagina nuova.
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