Documento politico conclusivo del Comitato Centrale del PCL di luglio 2016
12 Luglio 2016
LA NATURA REAZIONARIA DELLA BREXIT.
PER UNA ALTERNATIVA DI CLASSE E SOCIALISTA ALLA UNIONE EUROPEA
La vittoria della Brexit, riflesso della crisi dell'Unione Europea, ha un segno reazionario.
Il No greco alla troika del luglio del 2015 era espressione di
un'opposizione sociale di massa, segnata da rivendicazioni di classe e
democratiche, poi tradite da Tsipras. La Brexit ha una valenza non solo
diversa ma opposta. La campagna pro-Brexit è stata ispirata e diretta da
forze reazionarie, apertamente antioperaie e antipopolari, attorno a
una campagna centrata sulla contrapposizione ai migranti e sullo
sciovinismo britannico. Una campagna che è riuscita a dirottare contro
la UE un blocco sociale composito (settori di classe lavoratrice, la
maggioranza della popolazione povera delle periferie e delle campagne,
ampie fasce di piccola borghesia impoverita) capitalizzando la rabbia
sociale prodotta da decenni di austerità e privazioni. La crisi del
movimento operaio inglese, dentro la crisi più generale del movimento
operaio europeo, ha favorito questo sbocco. Le forze diverse della
sinistra che in nome di ragioni progressive o addirittura
anticapitaliste hanno sostenuto la Brexit, si sono di fatto subordinate a
questa dinamica reazionaria, commettendo un grave errore politico.
L'Unione Europea degli stati capitalisti è irriformabile da un punto
di vita sociale e democratico. Le illusioni dell'europeismo riformista
(Partito della Sinistra Europea) sono state smentite una volta di più
dalla capitolazione di Tsipras alla troika. Ma un'alternativa alla UE
può avere carattere progressivo solo a partire da una mobilitazione di
classe e di massa che nei diversi paesi e su scala continentale metta in
questione le politiche, i partiti, i governi della borghesia. La
mobilitazione prolungata e di massa che a partire da marzo ha percorso
la Francia contro la Loi Travail di Hollande, incidendo nel profondo
sullo scenario sociale e politico francese, indica la possibile
alternativa di classe alle soluzioni nazionaliste, reazionarie,
xenofobe. La parola d'ordine strategica degli Stati Uniti socialisti
d'Europa è la sola che può dare una prospettiva storica progressiva alla
necessaria ripresa dell'iniziativa di classe in Europa, contro i
governi borghesi e la loro Unione.
I RIFLESSI POLITICI DELLA BREXIT IN EUROPA
La Brexit ha aperto di fatto una fase politica nuova in Europa.
In Gran Bretagna contribuisce a riproporre, per reazione, le
questioni nazionali irrisolte di Scozia e Irlanda. Nel continente
alimenta tendenze contrastanti. Da un lato sospinge le iniziative
composite del fronte reazionario e nazionalista in diversi paesi
(Francia, Olanda, Danimarca, Austria) con analoghi contenuti xenofobi e
sciovinisti. Ma dall'altro può favorire tendenze alla stabilizzazione
politica conservatrice nel nome della “sicurezza contro il caos”, a
fronte delle ricadute di crisi economica e bancaria che la Brexit ha
alimentato: una campagna che può fare presa in ampi settori popolari e
di piccola borghesia in particolare attorno alla difesa del risparmio.
Il risultato delle elezioni spagnole, con l'ampia vittoria del Partito
Popolare e il mancato sorpasso del PSOE da parte di Podemos, è stato
segnato anche dalla reazione alla Brexit. Hollande e Renzi si propongono
a loro volta di cavalcare la campagna “sicurezza” nei rispettivi paesi.
Le conseguenze della Brexit sul piano della crisi capitalista e
delle relazioni statuali interne all'Unione sono altrettanto complesse e
andranno verificate nel tempo.
È presto per valutare se la Brexit potrà aprire una nuova fase di
aggravamento della crisi economica internazionale. Di certo,
nell'immediato, l'annunciato distacco della Gran Bretagna dalla UE
minaccia il sistema bancario europeo, segnato da diversi punti di crisi
(crisi delle banche italiane e portoghesi, difficoltà delle banche
tedesche e francesi). Il contenzioso sulla Unione bancaria e sulla sua
regolazione interna occupa dunque una volta di più il negoziato tra i
principali stati capitalisti, sotto il segno di una nuova emergenza
economica.
A sua volta il negoziato sulla Unione bancaria ripropone di fatto
tutti i nodi irrisolti della crisi della Unione Europea: il fallimento
del fiscal compact, le contraddizioni paralizzanti del suo quadro
istituzionale, i contrasti tra gli interessi nazionali (come analizzati
dall'ultimo CC).
Anche su questo piano il fattore Brexit sembra agire in forme
contraddittorie. Da un lato la Brexit è essa stessa un effetto esplosivo
delle contraddizioni europee. E per alcuni aspetti le approfondisce.
Dall'altro lato proprio l'emergenza prodotta, e l'allontanamento della
Gran Bretagna, possono sospingere la ricerca di nuovi equilibri pattizi
tra i principali Stati imperialisti europei. Che saranno tuttavia
condizionati nel loro esito non solo dai rapporti di forza
interstatuali, ma anche dal ristretto margine di manovra dei governi
borghesi sul fronte del proprio consenso interno, alla vigilia di
appuntamenti elettorali di grande rilevanza (elezioni presidenziali in
Francia, elezioni legislative in Germania, referendum istituzionale
italiano).
LA SITUAZIONE POLITICA ITALIANA. LA CRISI DEL RENZISMO. LE ELEZIONI DI GIUGNO
La situazione politica italiana si pone in questo quadro generale.
Il renzismo è in aperta crisi. Il progetto del partito della
nazione, mirato allo sfondamento elettorale del nuovo corso renziano, ha
registrato una sconfitta. I risultati elettorali delle elezioni
comunali segnano una perdita consistente del PD in larga parte d'Italia,
con una flessione più accentuata nelle periferie metropolitane e nel
Mezzogiorno. Il significato politico è chiaro: il renzismo ha esaurito
da tempo la spinta propulsiva di quel populismo sociale di governo
(operazione '80 euro') che ne aveva accompagnato l'ascesa nelle elezioni
europee del 2014. Già le elezioni regionali del 2015 registravano la
dispersione di quel patrimonio di consenso. Le elezioni comunali di
giugno confermano e aggravano il dato. La sconfitta del renzismo non è
solo elettorale, ma politica. Il renzismo si era offerto alla borghesia
italiana ed europea come l'argine vincente contro il populismo di
opposizione. La vittoria del M5S a Roma e Torino contraddice esattamente
quella funzione di contenimento. La stessa legge elettorale (Italicum)
coniata da Renzi a misura delle proprie ambizioni di sfondamento rischia
di trasformarsi oggi in un possibile strumento dei suoi rivali.
Il Movimento 5 Stelle è il vincitore politico delle elezioni del 5
giugno, al di là del suo stesso risultato elettorale, contraddittorio.
Il M5S capitalizza diversi elementi della situazione politica, tra loro
connessi. Non solo l'appannamento del renzismo, ma anche la
frantumazione politica del centrodestra, con la sua contraddizione
irrisolta tra berlusconismo in declino e un asse lepenista che segna il
passo. Soprattutto capitalizza la crisi perdurante della sinistra
politica, sullo sfondo della crisi sociale e dell'arretramento della
lotta di classe. Da qui la sua straordinaria capacità di richiamo
trasversale su elettorati di diversa matrice e provenienza, la sua
diffusione nazionale (a differenza del salvinismo), il suo consenso
concentrato presso la giovane generazione, in particolare tra operai,
precari, disoccupati. Ciò che rende il M5S un vincitore naturale nei
ballottaggi.
A partire dalla conquista di Roma e Torino, e a fronte della crisi
del renzismo, il M5S accelera la propria candidatura al governo
nazionale, moltiplicando la ricerca di una propria legittimazione presso
gli ambienti dominanti, interni e internazionali. Anche da qui
l'importanza della controinformazione classista sulla natura reazionaria
di massa del M5S. Una denuncia tanto più essenziale di fronte al
moltiplicarsi delle aperture verso il grillismo da parte di settori
della sinistra riformista o centrista.
La sinistra politica conferma il proprio stato di crisi. Pur in
presenza della crisi del renzismo, Sinistra Italiana ha registrato un
arretramento rispetto ai risultati delle liste Tsipras nelle elezioni
europee del 2014. Il processo costituente del nuovo soggetto della
sinistra è dunque ulteriormente zavorrato dal voto. Persistono tutti i
fattori che ostacolano il suo decollo: non solo il peso delle disfatte
passate, ma l'assenza di un progetto nazionale dotato di una ragione
sociale decifrabile, la mancanza di una leadership riconoscibile a
livello popolare, la crisi dei livelli di mobilitazione sociale cui
quella stessa sinistra (politica e sindacale) concorre. In questo quadro
il rafforzamento del M5S come soggetto attrattivo dell'elettorato in
uscita dal PD oltre a rappresentare uno degli effetti della crisi della
sinistra concorre ulteriormente ad aggravarla. A tutto ciò si aggiungono
la lotta interna di cordate per l'egemonia sul processo costituente del
nuovo soggetto (che attraversa la stessa SEL) e i contrasti politici
sui nodi irrisolti nel rapporto col PD ed oggi anche con i Cinque
Stelle.
In questo quadro generale, marcato dalla crisi congiunta del
movimento operaio e della sinistra politica, dall'arretramento della
coscienza e dalla espansione populista, il risultato complessivo
riportato dal nostro partito, certo molto modesto, non è negativo. A
Torino e Napoli abbiamo subito la concorrenza penalizzante della
formazione di Rizzo (con l'aggiunta a Napoli dell'effetto
particolarissimo del fenomeno “peronista” di De Magistris), ciò che ha
determinato risultati negativi. Positivo il dato di Milano (con l'ampio
recupero sul 2011), e molto positivo quello di Bologna e Savona (col
superamento di ogni risultato precedente). Apprezzabili infine i
risultati registrati nei comuni minori. Complessivamente, si conferma la
positività della presentazione elettorale del partito ai fini della
propaganda del nostro programma classista e anticapitalista e in
funzione della nostra costruzione.
IL REFERENDUM ISTITUZIONALE COME SPARTIACQUE
I risultati elettorali di giugno, insieme al fenomeno Brexit, si
riverberano sullo scenario politico nazionale di prospettiva. La crisi
del renzismo è precipitata alla vigilia del referendum istituzionale
(presumibilmente in ottobre) nel quale il capo del governo ha investito
le fortune decisive del proprio progetto bonapartista. Da qui
l'incertezza accresciuta del suo esito, tanto più in un quadro di crisi
economica e di relazioni europee che non favoriscono nuovi margini di
finanziamento di misure di populismo sociale (aumento delle pensioni
minime, riduzione Irpef...). Al tempo stesso gli effetti di
destabilizzazione prodotti dalla vicenda Brexit possono riconfigurare in
parte, a determinate condizioni, il profilo della posta in gioco nella
percezione popolare (un "voto per la sicurezza" vs l'"avventura
dell'ignoto"). Questa è la nuova impostazione che il renzismo tenderà a
dare alla prova per cercare di rimontare la china. Un passaggio che in
ogni caso acquista oggi obiettivamente una rilevanza internazionale
molto maggiore.
L'esito del referendum può costituire, per diversi aspetti, uno
spartiacque nella situazione politica italiana, con diverse incognite.
Se Renzi perde lo scontro referendario, sarà il tracollo definitivo
del renzismo come progetto populista bonapartista. Ciò che
determinerebbe una dinamica nuova, presumibilmente convulsa, di
riorganizzazione degli equilibri politici e degli schieramenti, capace
di investire formule di governo, legge elettorale, rapporti interni ai
partiti (a partire dal PD). Si riproporrebbe, in altre forme, quel
quadro di crisi di direzione politica della borghesia italiana che il
renzismo ha provato a superare. Il M5S sarebbe nell'immediato il
principale beneficiario di quell'esito, anche se paradossalmente privato
in quel caso della legge elettorale più idonea per la sua ambizione di
potere. Una contraddizione non secondaria.
Se Renzi vincerà lo scontro referendario, si affermerà un nuovo
modello istituzionale reazionario, con nuove pesanti ricadute sociali
(salto della governabilità antioperaia). Renzi farà leva sulla vittoria
plebiscitaria per stabilizzare il proprio corso politico, cercando di
sviluppare i suoi aspetti di regime. Al tempo stesso la fluidità dei
flussi elettorali, sullo sfondo della crisi sociale, potrebbe ostacolare
anche in quel caso l'ambita stabilizzazione politica, a favore di un
M5S che uscito sconfitto dal referendum potrebbe beneficiare
dell'Italicum che il referendum stesso sancisce. L'ipotesi di una
affermazione del M5S alle prossime elezioni politiche, per quanto oggi
prematura, non può più essere esclusa dalle prospettive possibili. Ciò
che porrebbe nuove incognite non solo al movimento operaio, ma alla
stessa borghesia italiana circa la stabilizzazione del proprio quadro
politico.
LA CENTRALITÀ DELLA BATTAGLIA CLASSISTA
Su tutto lo scenario politico e sulla variabilità delle prospettive
grava la crisi perdurante del movimento operaio italiano. Nessuna
variante progressiva è possibile, quale che sia l'esito del referendum,
senza una ripresa della mobilitazione sociale, di classe e di massa. Da
qui la necessità di ricondurre la nostra battaglia per il No al
referendum ad una ragione di classe riconoscibile: combinando la
valorizzazione del fronte unico per il No a sinistra (contro ogni logica
di separatismo minoritario), con la netta differenziazione politica sia
dalle impostazioni puramente accademico-costituzionaliste, sia dalle
torsioni populiste (il No "filo-Brexit"). Più in generale l'intero
scenario nazionale ed europeo conferma la centralità della battaglia
classista, in particolare tra i lavoratori e i giovani, contro tutte le
varianti di populismo interclassista, e contro ogni forma di
subalternità a sinistra verso il populismo.
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