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Partito Comunista dei Lavoratori Sezione di Massa Carrara
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domenica 10 novembre 2019
martedì 7 febbraio 2017
domenica 29 gennaio 2017
Per una risposta di classe alla crisi in corso. Per una sinistra rivoluzionaria
Dopo la sconfitta del tentativo bonapartista di Renzi, dopo la capitolazione FIOM sul CCNL, sviluppiamo l’intervento politico e sociale del PCL per una primavera di lotta
10 Gennaio 2017
Risoluzione conclusiva del Congresso nazionale del PCL
UNA NUOVA FASE DI INSTABILITÀ, CON IL CRESCENTE RISCHIO DI DERIVE REAZIONARIE
Il referendum del 4 dicembre ha rappresentato uno snodo dell'evoluzione politica italiana.
La crisi del renzismo ha trovato il proprio riflesso nella clamorosa
sconfitta del governo. La vittoria del No ha superato ogni previsione
(59%), nel quadro di una partecipazione per molti aspetti straordinaria
(quasi il 70%). La composizione sociale, generazionale e territoriale
del No è stata altrettanto significativa: lavoro dipendente, giovani
sotto i quarant'anni, periferie cittadine e metropolitane, Mezzogiorno
d'Italia e isole. Sul No si è riversata la sofferenza della maggioranza
della società italiana, in tutte le sue principali espressioni, sullo
sfondo della grande crisi dell'ultimo decennio. Il No ha dunque
travalicato lo stesso sentimento di ostilità verso il governo: ha
rappresentato una crisi complessiva di rigetto delle politiche dominanti
dettate dalla crisi e dei loro effetti sociali. Al tempo stesso è
parziale interpretare questo risultato come una pura espressione
sociale. Questo diffuso sentimento antisistema si combina infatti con la
tenuta dei blocchi reazionari che si fronteggiano nello scenario
italiano: quello leghista (voto veneto), quello berlusconiano (seppur
oggi ridotto), quello grillino (periferie urbane). La sovrapposizione
della geografia del No con quella elettorale del paese, confermata da
tutte le analisi, riflette anche la perdurante influenza del populismo
reazionario tra i salariati, i disoccupati e nella giovane generazione.
Liberare la pulsione classista del voto dall'involucro populista che le
si sovrappone è il compito della politica di classe. A partire dai
milioni di No provenienti dal versante dell'opposizione classista e di
sinistra su Jobs Act , Buona scuola, politiche ambientali.
La disfatta del renzismo non investe unicamente le prospettive del
progetto bonapartista racchiuso dalla controriforma costituzionale.
In primo luogo investe gli equilibri politici di governo. Renzi,
ancora a capo del PD, sogna la propria rivincita (primarie ed elezioni
anticipate), capitalizzando larga parte del 41% di Sì. Tuttavia questa
operazione sconta diverse difficoltà: la diffidenza di parte importante
della grande borghesia la resistenza inerziale di vasti settori
parlamentari ed istituzionali (a partire dal Presidente della
Repubblica); un’immagine pubblica, già sfregiata dal risultato
referendario, che viene ulteriormente sfigurata dalla smaccata
continuità col governo precedente. Il piano di rivincita coltivato da
Renzi, per quanto reale e determinato, è dunque tutt'altro che scontato
nel suo esito.
In secondo (ma non secondario) luogo, il crollo di una controriforma
che concentrava i poteri nel Governo (nei confronti del parlamento) e
nello Stato (nei confronti delle Regioni) è il fallimento di una
possibile soluzione della crisi politico-istituzionale borghese. Dunque
segna l'apertura di una nuova fase di riorganizzazione. Le dimissioni
del governo, la rapida formazione del nuovo esecutivo Gentiloni, segnano
solo l'inizio di questo convulso processo. Il quadro tripolare del
sistema politico mina le prospettive di stabilità politica e
istituzionale: nessuno appare oggi in grado di costruire attorno a sé un
blocco maggioritario. La stessa discussione sulla nuova legge
elettorale rivela la difficoltà di uno sbocco.
A ciò si aggiungono le incognite sulla tenuta dei diversi poli,
attraversati ognuno da evidenti linee di frattura interne. Dissolto il
vecchio bipolarismo, sconfitto il progetto bonapartista, il sistema
politico non ha un baricentro. Mentre si conferma una irrisolta crisi
bancaria (Monte dei Paschi) e l'instabilità degli assetti del
capitalismo italiano (acquisizione di Pioneer da parte francese, guerra
in Confindustria sul Sole 24 Ore, iniziativa corsara del capitale
francese su Mediaset), sullo sfondo di quella immutata crisi dell'Unione
Europea cui la sconfitta di Renzi in Italia aggiunge un nuovo tassello,
nella prospettiva di una chiusura del Quantitative Easing della BCE e
delle sue conseguenze sulla tenuta del debito pubblico italiano e sui
suoi livelli di governabilità.
In questo quadro di grande instabilità politica e sociale, emerge un
nuovo protagonismo ed una rinnovata forza sociale delle forze
reazionarie di massa, sia nelle sue più classiche versioni xenofobe e
nazionaliste (la Lega di Salvini e le forze dell’estrema destra), sia
nelle nuove forme ibride e confuse del grillismo e del M5S. Forze che
colgono il vento di una crescita significativa di queste tendenze in
tutto il continente europeo, sospinte dalla perdurante crisi, dal
precipitare della competizione fra poli e blocchi commerciali, dal
persistente odore di guerra che serpeggia su quasi tutti i confini
(Europa orientale, Medio Oriente, Nord Africa), dalla crisi dei
profughi, da una sinistra riformista subalterna al quadro capitalista,
dalla crisi diffusa del movimento operaio. Forze che oggi colgono anche
un possibile ed incipiente cambio di fase nelle politiche
internazionali, con la conquista del governo di uno dei principali poli
capitalisti: l’amministrazione Trump potrebbe nei prossimi mesi attivare
una decisa svolta nella gestione capitalista della crisi, con la
definitiva archiviazione dei grandi accordi commerciali (TTIP e TTP),
l’apertura di conflitti commerciali (con la Cina e non solo), la ripresa
di una spesa pubblica statale per sostenere la domanda interna. Una
svolta che potrebbe a sua volta dare nuovi ragioni nella propaganda di
massa di queste forze reazionarie, ma soprattutto che potrebbe forgiare
nuove alleanze con settori significativi dei grandi capitali, nazionali
ed europei, disegnando una loro possibile ascesa al governo anche in
Stati chiave del continente europeo (dalla Francia alla stessa Italia).
IL CONTRATTO DEI METALMECCANICI: UN CAMBIO DI FASE NEI RAPPORTI DI FORZA TRA LE CLASSI
Il 26 novembre scorso, pochi giorni prima del referendum, FIM, FIOM e
UILM hanno siglato il primo rinnovo unitario del contratto dei
metalmeccanici dal 2008. Da mesi era in corso una prova di forza. Il
padronato si era posto esplicitamente l’obbiettivo di destrutturare i
contratti nazionali, sospinto dalla lunga crisi (dalla necessità di
recuperare margini di profitto a partire dai costi) e dall’indebolimento
sindacale - della classe nel suo complesso - dopo la sconfitta sul Jobs
Act. La FIM di Bentivogli, dopo FCA, condivideva l’obbiettivo di
ridefinire il CCNL, andando oltre l’impianto delle confederazioni
(CGIL-CISL-UIL chiedevano, all’inizio della stagione dei rinnovi,
aumenti nazionali in grado anche di redistribuire la produttività,
cedendo invece sull’organizzazione del lavoro): chiedeva però aumenti
più diffusi e la definizione di criteri omogenei per gli aumenti sul
secondo livello. La FIOM, smantellata la fallimentare “coalizione
sociale” ed alla ricerca di una gestione unitaria in CGIL (ingresso di
Landini in Segreteria), si predisponeva a siglare in ogni caso un
contratto, ma chiedeva delle minime condizioni per giustificare la
capitolazione. In questo teatrino, nessuno aveva interesse a far
scendere in campo lavoratori e lavoratrici: per mesi la trattativa si è
trascinata senza scioperi, assemblee o mobilitazioni di massa. La stessa
FIOM non ha quasi mai riunito l’assemblea dei cinquecento ed ha
abbandonato la propria piattaforma senza colpo ferire. Con l’autunno
l’accordo è arrivato.
Non è solo un pessimo rinnovo. Sicuramente distribuisce pochi soldi
in quattro anni (forse una cinquantina di euro, a fronte degli 80-100
degli altri contratti). Soprattutto, però, sfibra l’intero sistema
contrattuale, indebolendo i rapporti di forza complessivi della classe:
registra semplicemente l’inflazione reale (ex post), non prevedendo
nessuna distribuzione della ricchezza; indirizza pesantemente la
contrattazione aziendale su parametri variabili (aumentando così la
flessibilità salariale); introduce assicurazioni sociali e buoni
carrello (tagliando il salario complessivo e contribuendo a smantellare
il welfare universale); conferma le flessibilità organizzative previste
nel 2012 (a partire dagli straordinari obbligatori). Questa
capitolazione, comunque, non è solo responsabilità della FIOM. Per
contrastarla sarebbe stata necessaria una comprensione di massa della
battaglia in corso, dell’attacco del padronato e delle prospettive di
resistenza. Quasi nessuno ha invece lavorato nei mesi scorsi per creare
questo clima. Partiti, comitati, associazioni, giornali, radio, siti e
social: quasi nessuno nella sinistra ha seguito un contratto che rischia
di segnare condizioni e prospettive di milioni e milioni di lavoratori e
lavoratrici. È nel contempo tragico e buffo: da anni tutti declamano
che per ricostruire una sinistra bisogna partire dal programma, dal
lavoro, dalla realtà. I metalmeccanici però sono stati lasciati soli,
per non disturbare Landini o per non sporcarsi le mani con il conflitto
di classe. I rapporti di forza alla partenza, allora, erano molto
chiari: da una parte i gruppi dirigenti e gli apparati sindacali, nel
silenzio della stampa, delle piazze e di larga parte della sinistra;
dall’altra un’opposizione a questo contratto sostenuto soprattutto dal
basso, da delegati e delegate, dall'opposizione CGIL, dai sindacati di
base.
Con questo rinnovo si chiude comunque una fase politica sindacale,
che ha visto bene o male la FIOM rappresentare una resistenza contro la
gestione padronale della crisi, il tentativo di recuperare margini di
profitto attraverso una compressione drastica del salario globale
(diretto, indiretto e sociale) ed un aumento dello sfruttamento (durata e
intensità del lavoro). Nei contratti separati, nella lotta contro
Marchionne, nelle mobilitazioni nazionali del 2010 del 2012, nello
scontro con Camusso, la FIOM ha rappresentato non solo per i
metalmeccanici ma per tutto il mondo del lavoro un punto di tenuta: il
simbolo di un interesse generale, quello di classe. Sappiamo, ed abbiamo
sempre denunciato, che da tempo la FIOM aveva abbandonato questa
battaglia nella sua azione concreta: con la capitolazione a Grugliasco
sul modello Marchionne, con la rinuncia a condurre le lotte in FCA, con
la repressione interna delle minoranze, con l’abbandono di ogni
mobilitazione di massa e la sua semplice rappresentazione mediatica (la
“coalizione sociale”). La firma di questo contratto, però, segna la
chiusura anche simbolica di una parabola: il gruppo dirigente storico
della FIOM abdica per primo alla difesa del contratto nazionale,
normalizza la propria azione nel quadro del Testo Unico del 10 gennaio
(che due anni fa contestò) e si approssima ad entrare stabilmente nella
maggioranza della CGIL. Una CGIL che, concentrata sui referendum e sulla
ricerca illusoria di un accordo padronale, non intende comunque
sostenere e promuovere nessuna mobilitazione, nessun conflitto sociale
nei prossimi mesi.
UN FRONTE UNICO DEL LAVORO, CONTRO RENZISMO E DERIVE POPULISTE
In questo quadro generale di crisi sociale, politica, istituzionale,
è necessario battersi per una azione di classe indipendente del
movimento operaio, che entri nel varco aperto dalla sconfitta politica
del renzismo per costruire uno sbocco e una prospettiva classista. In
aperta contrapposizione alle tre destre che dominano lo scenario
politico. È necessario cioè rivolgersi a quel diffuso sentimento
antisistema che ha sostenuto il No al referendum, all’insieme dei
settori popolari colpiti dalla crisi ed al complesso del mondo del
lavoro, per far emergere uno sbocco politico alternativo a quello delle
destre, dei movimenti populisti e delle forze reazionarie di massa.
Trasformare cioè il No a Renzi nel rilancio di una mobilitazione
unitaria e di massa che rivendichi la cancellazione di tutte le leggi
reazionarie del renzismo, a partire dal Jobs Act e dalla Buona scuola;
trasformare la mobilitazione contro le leggi di Renzi nella rottura
generale con la stagione trentennale delle politiche antioperaie di
austerità e sacrifici: questo è l'asse di iniziativa e proposta del
nostro partito nella fase apertasi dopo il 4 dicembre.
Per questo l’iniziativa del PCL, nella propaganda e nell’azione
politica, deve essere principalmente e prioritariamente diretta alla
costruzione di un fronte unico del lavoro, sul piano politico e su
quello sociale. In primo luogo sul terreno concreto e diffuso che può
offrire ogni occasione di mobilitazione e di lotta unitaria: in difesa
di aziende o settori di lavoro, di diritti sociali e civili, o contro
leggi, normative, disposizioni locali e nazionali che possano innescare
dinamiche di questo genere. In secondo luogo, sul piano più generale,
con un appello ed un’azione pubblica rivolta a tutte le organizzazioni
sindacali e di massa che si sono pronunciate formalmente per il No alla
riforma costituzionale di Renzi, e che hanno promosso referendum
abrogativi delle sue leggi peggiori (Jobs Act), perché passino dalle
parole ai fatti. Perché rompano col governo Gentiloni, continuità
mascherata del renzismo e delle sue leggi. Perché rompano con
Confindustria, massima sostenitrice del Jobs Act. Perché promuovano una
svolta di lotta generale, unitaria e di massa, che ponga finalmente al
centro dello scontro un'agenda di rivendicazioni operaie capace di
configurare una soluzione di classe della crisi sociale e politica. La
proposta del fronte unico di classe e di massa deve divenire uno
strumento di aperta denuncia dell'immobilismo delle burocrazie, e di
relazione con l'avanguardia larga di classe.
I poli reazionari convergono sulla richiesta di elezioni politiche
anticipate, nell'intenzione non solo di rafforzarsi nello scontro
reciproco, ma anche di evitare il referendum sociale sul Jobs Act. Il
loro obiettivo comune è evitare l'irrompere della questione di classe
come terreno centrale di confronto. In aperta contrapposizione alle tre
destre poniamo l'esigenza esattamente opposta. Non si tratta di
attendere il referendum in una logica istituzionale. Si tratta di
assumere il tema della cancellazione delle leggi del renzismo come leva e
campagna di mobilitazione di massa. Che è anche la via, di riflesso,
per vincere un domani sul terreno referendario. Ma soprattutto è la via
per segnare una svolta nei rapporti di forza, disgregare i blocchi
sociali reazionari, aprire il varco a una prospettiva di classe
alternativa. Quella di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici.
PER UN'INIZIATIVA CLASSISTA E ANTICAPITALISTA NELLA CRISI
Questa azione politica, volta a sostenere ogni occasione di fronte
unico, volta ad appellarsi alle principali organizzazioni della sinistra
per una ripresa delle mobilitazioni, non può comunque fare a meno di
confrontarsi con la realtà della capitolazione della FIOM, con la scelta
della CGIL di sospendere ogni mobilitazione nell’attesa dei referendum
sul Jobs Act (nell’attesa cioè di poter riprendere forza per via
elettorale, per potersi nuovamente sedere ai tavoli della concertazione
con governo e padronato).
Nel contempo, infatti, alcuni settori di classe sono disponibili
alla resistenza. Una resistenza che non è limitata ad avanguardie
politiche marginali, ma che trova ascolto, consenso e coinvolgimento in
settori significativi di classe. È questo il segnale che ci arriva dal
voto nel contratto dell’igiene ambientale (43% di contrari nel settore
pubblico), dagli scioperi nazionali nelle ferrovie e locali dei
ferrotranvieri, dalle lotte della logistica come da alcune mobilitazioni
studentesche. È, soprattutto, il segnale che ci arriva dal No al
rinnovo del CCNL metalmeccanico, che si è espresso in particolare nelle
grosse industrie, non solo dove è influente l’opposizione CGIL o qualche
sindacato di base (Dalmine di Bergamo, Fincantieri di Marghera e di
Ancona, cantieri liguri, in tutti gli stabilimenti della Electrolux,
Marcegaglia di Forlì, Same, Piaggio, GKN, Ilva, STM di Agrate e di
Catania, Ansaldo, AST di Terni, ecc.). Sul terreno dell'azione di
avanguardia siamo quindi impegnati a contrastare questa nuova stagione
di subalternità, non solo tra i metalmeccanici, ma anche in generale sul
patto di fabbrica con Confindustria come nell'accordo sul pubblico
impiego. Da qui la contrapposizione alla burocrazia sindacale, per una
direzione alternativa del movimento operaio. Da qui il sostegno ai
coordinamenti del No, nei metalmeccanici come in altri settori, come ad
ogni altra forma di larga avanguardia che dovesse determinarsi.
Non solo. La nostra azione d’avanguardia può rivolgersi anche su un
terreno più generale e politico, avanzando una proposta di unità
d’azione alle altre forze classiste e anticapitaliste, per sostenere una
ripresa conflittualità sociale davanti allo stallo della sinistra
riformista. Un’azione che, ovviamente, non può esser sostitutiva e non
può pensarsi sostitutiva del fronte unico, della priorità di una ripresa
della mobilitazione di massa nel nostro paese. Un’azione politica di
avanguardia può però permettere la ricomposizione di percorsi e
appuntamenti di lotta, che possono svolgere un ruolo anche significativo
nel mantenere accesa, anche nella percezione di massa, la prospettiva
di un’alternativa di classe.
Questa unità d’azione può allora esser condotta localmente, per
sostenere la conflittualità diffusa di movimenti e iniziative di lotta,
nei posti di lavoro come sul territorio. Questa unità d’azione può esser
condotta anche nazionalmente, per produrre almeno in una dimensione di
avanguardia alcune possibili ricomposizioni, anche parziali. Un’azione
da verificare, in primo luogo, nella costruzione di alcuni appuntamenti
di lotta nella prossima primavera, che non lascino vuote le piazze del
nostro paese: l’8 marzo il movimento di lotta dello scorso 26 novembre
sta programmando uno sciopero dello donne; allo stesso modo, si pone
l’opportunità di convocare un corteo unitario dell’estrema sinistra,
della sinistra sindacale, dei movimenti antagonisti. Impegnandosi per
evitare che, come lo scorso autunno, come gli scorsi anni, queste
occasioni diventino il terreno di demarcazione delle diverse
organizzazioni o dei diversi percorsi. Questa unità d’azione può quindi
esser verificata innanzitutto a partire da alcuni soggetti con cui
condividiamo una matrice classista, pur nella diversità dei progetti
politici e delle impostazioni teoriche (Sinistra Anticapitalista,
Sinistra Classe Rivoluzione, SGB, CUB, SiCobas...). Un coordinamento
nell’azione con queste forze che, in questo quadro, ci può permettere
anche di verificare possibili convergenze in funzione di un
bilanciamento di quelle forze e quei settori neosovranisti e
neocampisti, che stanno provando a sviluppare campagne d’egemonia
sull’estrema sinistra.
PER UNA SINISTRA CLASSISTA E RIVOLUZIONARIA, PER LO SVILUPPO DEL PCL
Il fronte unico del lavoro, l’unità d’azione nell’avanguardia
sociale e di classe, il coordinamento della nostra azione con
l’avanguardia politica classista, sono tutte linee d’intervento per la
prossima primavera dirette a riprendere il conflitto sociale nel nostro
paese. In tutte queste iniziative, la nostra proposta deve esser quella
di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, per dare una soluzione
di classe e anticapitalistica alla crisi della Repubblica. Un programma
transitorio che, partendo dalla coscienza diffusa, dalle contraddizioni
e dai conflitti presenti, indica la necessità e la prospettiva della
rivoluzione. Questa prospettiva è e resta la nostra linea strategica di
demarcazione dal resto della sinistra politica.
La sinistra politica riformista, già vittima negli anni del proprio
suicidio politico, è del tutto incapace anche solo di prospettare una
soluzione indipendente della crisi politica e sociale. La dissoluzione
di SEL è emblematica. La sua ala destra (Pisapia) si candida addirittura
a supporto postumo del renzismo integrandosi direttamente
nell'operazione del suo rilancio. Un'altra sua componente (Smeriglio)
punta a ricomporre il vecchio centrosinistra puntando sulla minoranza
del PD liberale (Bersani). Un'altra componente ancora (Fratoianni) punta
ad una stagione ritemprante di opposizione per ricostruire le
condizioni contrattuali di un centrosinistra futuro. Sinistra Italiana
si annuncia come quadro costituente della continuità riformista:
un'autonomia nazionale obbligata dal PD, imposta dal renzismo, in
funzione della prospettiva di ricomposizione di una alleanza di governo
col PD, una volta rimosso l'ostacolo Renzi. Mentre il PRC è segnato da
una totale afasia politica, imprigionato dal fallimento di Tsipras e dai
suoi effetti deflagranti sull'intero quadro del Partito della Sinistra
Europea.
Parallelamente, sul versante centrista, Rete dei Comunisti e gruppo
dirigente USB rilanciano il proprio impasto politico-culturale di
neosovranismo nazionalista e di mitologia costituzionalista (“applicare
la Costituzione”): subalterni al tempo stesso sia al grillismo, sia alla
tradizione del riformismo italiano.
La costruzione di una sinistra rivoluzionaria classista attorno alla
prospettiva del governo dei lavoratori si conferma come l'unica
soluzione progressiva della stessa crisi della sinistra italiana. La
costruzione del Partito Comunista dei Lavoratori è la traduzione
politica di questa necessità.
In questo quadro, si pone il prossimo appuntamento delle elezioni
politiche, nel 2017 o nel 2018. Non sappiamo ancora con quale legge
elettorale si svolgerà. Se rimarrà, in un Italicum modificato o in un
Mattarellum rivisto, la moltiplicazione di piccoli collegi, sappiamo
anche che sarà particolarmente difficile una nostra presentazione
nazionalmente significativa. La presenza di una sinistra rivoluzionaria
anche sul piano elettorale, nel quadro della crisi politica, sociale ed
istituzionale che l’Italia sta attraversando, può esser un elemento
importante per riattivare una coscienza politica di classe diffusa; la
presenza del PCL in questo appuntamento, uno snodo rilevante per la sua
costruzione ed il suo sviluppo. Per questo, nel quadro dell’impostazione
sulla linea elettorale definita negli scorsi congressi e ribadita in
quello attuale, il PCL tenterà in ogni modo di esser presente a
quell’appuntamento, come ad esser in ogni caso presente nei grandi
centri, in occasioni delle elezioni comunali che dovessero presentarsi
nei prossimi anni.
Partito Comunista dei Lavoratori
venerdì 13 gennaio 2017
Verso il quarto Congresso nazionale del PCL
2 Gennaio 2017
Tra il 5 e l'8 gennaio si terrà a Rimini il quarto Congresso nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori.
Il Congresso affronta tre ordini tematici: l'analisi della crisi
mondiale, la crisi del movimento operaio internazionale, le prospettive
della rifondazione della Quarta Internazionale; l'analisi della crisi
sociale e politica italiana, la linea di azione e proposta del PCL per
il rilancio dell'opposizione di classe e la costruzione del partito
rivoluzionario in Italia; i compiti di costruzione politico
organizzativa del PCL.
La crisi capitalistica internazionale ed europea, prolungata ed
irrisolta, scarica i propri effetti sulle condizioni materiali di vita e
di lavoro del proletariato. Al tempo stesso sospinge una polarizzazione
politica che scuote le forme tradizionali della politica borghese. La
vita politica americana ed europea è profondamente segnata da questa
dinamica. Il fenomeno Trump negli USA, la massa critica di populismo
reazionario che monta in Europa, misurano non solo la profondità della
crisi capitalista e la crisi di egemonia dei partiti dominanti
tradizionali, ma anche il ritardo storico del movimento operaio
nell'imporre la propria soluzione alternativa. Ciò che spinge una parte
del proletariato, settori sociali declassati, classi medie impoverite
dalla crisi, nelle braccia delle demagogie reazionarie.
Parallelamente, tutte le vecchie suggestioni riformiste, in tutte le
loro declinazioni (la “riforma democratica e sociale dell'Unione
Europea”, le illusioni sovraniste su un possibile capitalismo nazionale
riformato, le mitologie sui nazionalismi riformisti latinoamericani in
salsa chavista, lulista o kirchnerista) sono travolte una dopo l'altra
dalla dinamica della crisi mondiale, e dalla esperienza dei fatti. Il
volto del governo Tsipras quale governo di austerità e sacrifici, al
soldo della troika, è l'epitaffio crudele delle illusioni riformiste.
In Italia, la particolare profondità della crisi capitalista e della
crisi congiunta del movimento operaio (arretramento dei suoi livelli di
mobilitazione, di coscienza, di rappresentanza politica) hanno insieme
alimentato lo sfondamento del populismo reazionario tra gli stessi
salariati, sia esso di governo (renzismo) che di opposizione (lepenismo
salviniano e grillismo). Ma la borghesia fatica a trovare una forma
politica stabile del proprio dominio. Il progetto bonapartista del
renzismo ha subito una autentica disfatta il 4 dicembre, e con esso un
progetto di stabilizzazione reazionaria del sistema politico
istituzionale. Nel varco aperto dalla crisi del renzismo, va ora
rilanciata una opposizione sociale unitaria e di massa capace di imporre
al centro dello scontro un'agenda indipendente del movimento operaio.
Che riconduca le rivendicazioni immediate della classe all'unica
possibile soluzione progressiva della crisi sociale e politica, una
soluzione rivoluzionaria, anticapitalista, socialista: la prospettiva
della Repubblica dei lavoratori, basata sulla loro organizzazione e la
loro forza.
La costruzione del partito rivoluzionario risponde a questa
necessità: elevare la coscienza della classe, e innanzitutto della sua
avanguardia, all'altezza della necessità storica della rivoluzione
socialista. Da qui l'esigenza di un partito radicato nella classe, nelle
sue organizzazioni, nelle sue lotte. Un partito capace di lottare per
l'egemonia alternativa sulla classe, e al tempo stesso per l'egemonia
anticapitalista della classe lavoratrice sull'insieme delle masse
oppresse e sfruttate. Un partito capace di portare in ogni lotta
particolare il senso di una progetto rivoluzionario generale. Un partito
capace di recuperare la tradizione migliore del marxismo rivoluzionario
e di porla al servizio della nuova generazione. Un partito che va
costruito su scala mondiale e in ogni paese.
Questa è la cornice comune di riflessione e di indirizzo del quarto
Congresso nazionale del PCL. Dentro questa cornice comune, nello spirito
della democrazia rivoluzionaria, si confrontano anche elementi diversi
di impostazione: sulla relazione tra propaganda e agitazione
rivoluzionaria, sulle articolazioni della proposta di fronte unico di
classe, sul rapporto tra l'intervento centrale nella classe e la
battaglia politica a sinistra, sulla relazione tra battaglia di classe e
uso rivoluzionario delle tribune elettorali, su come tradurre le
necessità della politica rivoluzionaria sul terreno delle forme
organizzative di partito, entro la comune tradizione leninista. In
questo quadro si sono espresse tre diverse piattaforme congressuali. La
piattaforma A, espressa dalla larga maggioranza del CC uscente, su una
linea di continuità degli indirizzi generali del partito, seppur
aggiornati e articolati; la piattaforma B, espressa da una minoranza del
CC, su una linea di svolta politico-organizzativa; la piattaforma C,
espressa da un compagno del CC, su una linea di diversa analisi del
quadro internazionale con le relative implicazioni di indirizzo.
Il PCL non ha mai avuto paura della discussione e del confronto
interno, a differenza delle sette o dei partiti riformisti. Al
contrario, nella migliore tradizione del bolscevismo, vuole fare del
proprio congresso una scuola di formazione e di costruzione del partito.
I documenti politici congressuali delle diverse piattaforme vengono
dunque pubblicati e posti a conoscenza dell'avanguardia di classe, dei
movimenti sociali, dei militanti più avanzati della sinistra politica.
Conquistare le avanguardie politiche e sociali della classe al programma
del partito, coinvolgerli nella riflessione e confronto tra
rivoluzionari, guadagnarli alla nostra organizzazione e alla sua
democrazia, è parte integrante della costruzione del Partito Comunista
dei Lavoratori.
Partito Comunista dei Lavoratori
Verso il quarto Congresso nazionale del PCL
2 Gennaio 2017
Tra il 5 e l'8 gennaio si terrà a Rimini il quarto Congresso nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori.
Il Congresso affronta tre ordini tematici: l'analisi della crisi
mondiale, la crisi del movimento operaio internazionale, le prospettive
della rifondazione della Quarta Internazionale; l'analisi della crisi
sociale e politica italiana, la linea di azione e proposta del PCL per
il rilancio dell'opposizione di classe e la costruzione del partito
rivoluzionario in Italia; i compiti di costruzione politico
organizzativa del PCL.
La crisi capitalistica internazionale ed europea, prolungata ed
irrisolta, scarica i propri effetti sulle condizioni materiali di vita e
di lavoro del proletariato. Al tempo stesso sospinge una polarizzazione
politica che scuote le forme tradizionali della politica borghese. La
vita politica americana ed europea è profondamente segnata da questa
dinamica. Il fenomeno Trump negli USA, la massa critica di populismo
reazionario che monta in Europa, misurano non solo la profondità della
crisi capitalista e la crisi di egemonia dei partiti dominanti
tradizionali, ma anche il ritardo storico del movimento operaio
nell'imporre la propria soluzione alternativa. Ciò che spinge una parte
del proletariato, settori sociali declassati, classi medie impoverite
dalla crisi, nelle braccia delle demagogie reazionarie.
Parallelamente, tutte le vecchie suggestioni riformiste, in tutte le
loro declinazioni (la “riforma democratica e sociale dell'Unione
Europea”, le illusioni sovraniste su un possibile capitalismo nazionale
riformato, le mitologie sui nazionalismi riformisti latinoamericani in
salsa chavista, lulista o kirchnerista) sono travolte una dopo l'altra
dalla dinamica della crisi mondiale, e dalla esperienza dei fatti. Il
volto del governo Tsipras quale governo di austerità e sacrifici, al
soldo della troika, è l'epitaffio crudele delle illusioni riformiste.
In Italia, la particolare profondità della crisi capitalista e della
crisi congiunta del movimento operaio (arretramento dei suoi livelli di
mobilitazione, di coscienza, di rappresentanza politica) hanno insieme
alimentato lo sfondamento del populismo reazionario tra gli stessi
salariati, sia esso di governo (renzismo) che di opposizione (lepenismo
salviniano e grillismo). Ma la borghesia fatica a trovare una forma
politica stabile del proprio dominio. Il progetto bonapartista del
renzismo ha subito una autentica disfatta il 4 dicembre, e con esso un
progetto di stabilizzazione reazionaria del sistema politico
istituzionale. Nel varco aperto dalla crisi del renzismo, va ora
rilanciata una opposizione sociale unitaria e di massa capace di imporre
al centro dello scontro un'agenda indipendente del movimento operaio.
Che riconduca le rivendicazioni immediate della classe all'unica
possibile soluzione progressiva della crisi sociale e politica, una
soluzione rivoluzionaria, anticapitalista, socialista: la prospettiva
della Repubblica dei lavoratori, basata sulla loro organizzazione e la
loro forza.
La costruzione del partito rivoluzionario risponde a questa
necessità: elevare la coscienza della classe, e innanzitutto della sua
avanguardia, all'altezza della necessità storica della rivoluzione
socialista. Da qui l'esigenza di un partito radicato nella classe, nelle
sue organizzazioni, nelle sue lotte. Un partito capace di lottare per
l'egemonia alternativa sulla classe, e al tempo stesso per l'egemonia
anticapitalista della classe lavoratrice sull'insieme delle masse
oppresse e sfruttate. Un partito capace di portare in ogni lotta
particolare il senso di una progetto rivoluzionario generale. Un partito
capace di recuperare la tradizione migliore del marxismo rivoluzionario
e di porla al servizio della nuova generazione. Un partito che va
costruito su scala mondiale e in ogni paese.
Questa è la cornice comune di riflessione e di indirizzo del quarto
Congresso nazionale del PCL. Dentro questa cornice comune, nello spirito
della democrazia rivoluzionaria, si confrontano anche elementi diversi
di impostazione: sulla relazione tra propaganda e agitazione
rivoluzionaria, sulle articolazioni della proposta di fronte unico di
classe, sul rapporto tra l'intervento centrale nella classe e la
battaglia politica a sinistra, sulla relazione tra battaglia di classe e
uso rivoluzionario delle tribune elettorali, su come tradurre le
necessità della politica rivoluzionaria sul terreno delle forme
organizzative di partito, entro la comune tradizione leninista. In
questo quadro si sono espresse tre diverse piattaforme congressuali. La
piattaforma A, espressa dalla larga maggioranza del CC uscente, su una
linea di continuità degli indirizzi generali del partito, seppur
aggiornati e articolati; la piattaforma B, espressa da una minoranza del
CC, su una linea di svolta politico-organizzativa; la piattaforma C,
espressa da un compagno del CC, su una linea di diversa analisi del
quadro internazionale con le relative implicazioni di indirizzo.
Il PCL non ha mai avuto paura della discussione e del confronto
interno, a differenza delle sette o dei partiti riformisti. Al
contrario, nella migliore tradizione del bolscevismo, vuole fare del
proprio congresso una scuola di formazione e di costruzione del partito.
I documenti politici congressuali delle diverse piattaforme vengono
dunque pubblicati e posti a conoscenza dell'avanguardia di classe, dei
movimenti sociali, dei militanti più avanzati della sinistra politica.
Conquistare le avanguardie politiche e sociali della classe al programma
del partito, coinvolgerli nella riflessione e confronto tra
rivoluzionari, guadagnarli alla nostra organizzazione e alla sua
democrazia, è parte integrante della costruzione del Partito Comunista
dei Lavoratori.
Partito Comunista dei Lavoratori
sabato 7 gennaio 2017
La morte di Fidel Castro
27 Novembre 2016
Fidel Castro è deceduto a Cuba all’età di novant'anni. Suo fratello Raul ha annunciato la scomparsa con un messaggio televisivo.
Nel 2006 Fidel Castro ha subito un intervento chirurgico di urgenza; i conseguenti esiti della patologia lo porteranno a lasciare prima temporaneamente, poi nel 2008 definitivamente la direzione del potere politico al fratello Raul Castro, nominato Presidente del Consiglio di Stato e del Consiglio dei Ministri. Fidel Castro ha comunque mantenuto un ruolo di indirizzo attraverso i suoi articoli sul Granma, il giornale del Partito Comunista Cubano, in cui interveniva sui principali eventi di politica interna e internazionale.
Per circa mezzo secolo Fidel Castro ha occupato la presidenza di Cuba, nel corso della quale ha suscitato una feroce ostilità da parte dell’imperialismo (oltre 600 attentati alla sua vita organizzati dalla CIA), ma anche ammirazione da gran parte delle sinistre mondiali e dei popoli oppressi per essere riuscito assieme a Che Guevara e Camilo Cienfuegos a rovesciare, grazie al sostegno delle masse contadine e allo sciopero generale all’Avana, la dittatura di Fulgencio Batista; per aver costruito il primo Stato operaio, seppur deformato, a poche miglia dagli Stati Uniti d’America e, inoltre, per aver guidato la resistenza contro il 'blocco' e i tentativi di rovesciare il regime uscito dalla rivoluzione del 1959.
Il 'Movimiento 26 de Julio' non aveva un programma socialista, ma di democrazia borgese progressista. Fidel Castro era infatti un democratico borghese, e fin dall’inizio ha lottato per mantenere la borghesia all’interno del governo, ma è stato costretto a rompere con la borghesia liberale e l’imperialismo. Il carattere socialista della rivoluzione, infatti, è stato proclamato nel 1961 in risposta alle provocazioni statunitensi, dopo la sconfitta da parte delle milizie popolari cubane del tentativo di invasione degli esuli cubani, armati dall’imperialismo, alla Baia dei Porci.
La rivoluzione aveva spezzato lo Stato borghese, l’esercito di Batista era stato liquidato, l’esercito ribelle formato da contadini poveri, braccianti agricoli e operai in armi ha spinto la rivoluzione ad andare avanti, a procedere nell’espropriazione della borghesia nazionale, della grande proprietà terriera e del capitale straniero che controllava l’Isola. Le stesse condizioni materiali, oltre che quelle politiche, mettevano in evidenza come le rivendicazioni democratiche, quali la riforma agraria e l’indipendenza nazionale, potevano essere assicurate solo approfondendo il processo rivoluzionario verso la rivoluzione socialista.
Ma la rivoluzione socialista sarà presto interrotta: Fidel Castro respinse la proposta di Che Guevara di realizzare un programma di industrializzazione e di estensione della rivoluzione fuori dall’Isola, e scelse di allearsi con la burocrazia stalinista dell’URSS facendo proprio quel modello e applicandolo a Cuba. Il giovane Stato operaio cubano, privato degli organismi di democrazia proletaria e chiuso all’interno del perimetro costiero, nasceva deformato.
Fidel Castro è stato il capo di un regime bonapartista. Il suo potere si ergeva su un apparato burocratico che aveva concentrato il potere in un partito unico e impedito l’emergere di organi di autogoverno - i soviet - degli operai e dei contadini. Le libertà civili e democratiche socialiste saranno progressivamente soffocate da parte di una burocrazia dirigente privilegiata e controrivoluzionaria.
Le tendenze rivoluzionarie - tra le quali i trotskisti cubani - che avevano partecipato al processo rivoluzionario, sono state duramente represse.
Nel corso dei successivi decenni, attraverso un percorso contraddittorio, Castro sosterrà, via via: la diffusione della strategia, burocratica e suicida, della guerriglia in America Latina, staccando e isolando dalle masse operaie migliaia di giovani e così favorendo il loro sterminio da parte dell’imperialismo e dei governi borghesi latinoamericani; la repressione nel sangue della Primavera di Praga del 1968; il governo di collaborazione di classe di Unità popolare, in Cile, all’inizio degli anni '70; la rivoluzione "a tappe" in Nicaragua ("il FSLN non deve creare una nuova Cuba") negli anni ’80; il regime di Jaruselzky in Polonia nel 1981 e di Erich Honecker nella Germania Est nel 1989.
Un piano inclinato di sconfitte per il movimento operaio, che si concluderà con la restaurazione del capitalismo nei paesi del cosiddetto “socialismo reale”.
Cuba, isolata dal blocco statunitense, privata del sostegno dell’URSS, attraverserà un periodo difficile, noto come periodo speciale, di fame e scarsità per le masse operaie e contadine. Nel 1997 il regime cubano apre agli investimenti stranieri e alla creazione di imprese capitalistiche, senza modifiche sostanziali al regime politico, mentre intensificava i rapporti con la Chiesa cattolica sanciti l’anno successivo dalla visita del Papa Karol Wojtyla. Negli ultimi anni di governo, infine, Fidel Castro ha sostenuto il regime di Chavez e i governi progressisti dell’America Latina: il cosiddetto socialismo del XXI secolo, che non ha mai messo in discussione il sistema capitalistico.
Dopo il suo ritiro dalla politica attiva, Castro, rimasto lucido fino alla fine, non ha fatto mancare il suo sostegno alla politica, interna e internazionale, del fratello Raul e della burocrazia restaurazionista dirigente. Una politica che, grazie al sostegno questa volta della Chiesa cattolica di Papa Francesco, nel mentre avviava i negoziati con l’imperialismo statunitense, accelerava all’interno il processo di restaurazione capitalista e la penetrazione dell’imperialismo.
Da parte nostra, difendiamo e difenderemo le conquiste della rivoluzione socialista cubana che hanno senza alcun dubbio, dopo l’espropriazione della borghesia, migliorato significativamente le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle masse popolari dell’Isola, garantendo l’educazione e la salute, la casa e il lavoro. Proprio per questo, abbiamo sostenuto e sosteniamo la difesa di Cuba da ogni forma di aggressione imperialista, la fine del blocco e la chiusura della base imperialista di Guantánamo.
Ma non difendiamo il regime burocratico restaurazionista, che rappresenta la casta privilegiata della società cubana.
La classe operaia cubana deve respingere la restaurazione capitalista portata avanti dalla casta burocratica dirigente di Raul Castro, costruire il proprio partito rivoluzionario, socialista e internazionalista, distruggere l’apparato burocratico stalinista e riprendere il percorso interrotto della costruzione socialista imponendo il potere dei consigli degli operai, dei contadini e dei soldati.
Questa è l’unica alternativa realmente progressiva, quella proposta da Trotsky e dalla Quarta Internazionale nel Programma di transizione del 1938 contro l’infausta prospettiva della restaurazione capitalista da parte della burocrazia stalinista in URSS.
La morte di Fidel Castro
27 Novembre 2016
Fidel Castro è deceduto a Cuba all’età di novant'anni. Suo fratello Raul ha annunciato la scomparsa con un messaggio televisivo.
Nel 2006 Fidel Castro ha subito un intervento chirurgico di urgenza; i conseguenti esiti della patologia lo porteranno a lasciare prima temporaneamente, poi nel 2008 definitivamente la direzione del potere politico al fratello Raul Castro, nominato Presidente del Consiglio di Stato e del Consiglio dei Ministri. Fidel Castro ha comunque mantenuto un ruolo di indirizzo attraverso i suoi articoli sul Granma, il giornale del Partito Comunista Cubano, in cui interveniva sui principali eventi di politica interna e internazionale.
Per circa mezzo secolo Fidel Castro ha occupato la presidenza di Cuba, nel corso della quale ha suscitato una feroce ostilità da parte dell’imperialismo (oltre 600 attentati alla sua vita organizzati dalla CIA), ma anche ammirazione da gran parte delle sinistre mondiali e dei popoli oppressi per essere riuscito assieme a Che Guevara e Camilo Cienfuegos a rovesciare, grazie al sostegno delle masse contadine e allo sciopero generale all’Avana, la dittatura di Fulgencio Batista; per aver costruito il primo Stato operaio, seppur deformato, a poche miglia dagli Stati Uniti d’America e, inoltre, per aver guidato la resistenza contro il 'blocco' e i tentativi di rovesciare il regime uscito dalla rivoluzione del 1959.
Il 'Movimiento 26 de Julio' non aveva un programma socialista, ma di democrazia borgese progressista. Fidel Castro era infatti un democratico borghese, e fin dall’inizio ha lottato per mantenere la borghesia all’interno del governo, ma è stato costretto a rompere con la borghesia liberale e l’imperialismo. Il carattere socialista della rivoluzione, infatti, è stato proclamato nel 1961 in risposta alle provocazioni statunitensi, dopo la sconfitta da parte delle milizie popolari cubane del tentativo di invasione degli esuli cubani, armati dall’imperialismo, alla Baia dei Porci.
La rivoluzione aveva spezzato lo Stato borghese, l’esercito di Batista era stato liquidato, l’esercito ribelle formato da contadini poveri, braccianti agricoli e operai in armi ha spinto la rivoluzione ad andare avanti, a procedere nell’espropriazione della borghesia nazionale, della grande proprietà terriera e del capitale straniero che controllava l’Isola. Le stesse condizioni materiali, oltre che quelle politiche, mettevano in evidenza come le rivendicazioni democratiche, quali la riforma agraria e l’indipendenza nazionale, potevano essere assicurate solo approfondendo il processo rivoluzionario verso la rivoluzione socialista.
Ma la rivoluzione socialista sarà presto interrotta: Fidel Castro respinse la proposta di Che Guevara di realizzare un programma di industrializzazione e di estensione della rivoluzione fuori dall’Isola, e scelse di allearsi con la burocrazia stalinista dell’URSS facendo proprio quel modello e applicandolo a Cuba. Il giovane Stato operaio cubano, privato degli organismi di democrazia proletaria e chiuso all’interno del perimetro costiero, nasceva deformato.
Fidel Castro è stato il capo di un regime bonapartista. Il suo potere si ergeva su un apparato burocratico che aveva concentrato il potere in un partito unico e impedito l’emergere di organi di autogoverno - i soviet - degli operai e dei contadini. Le libertà civili e democratiche socialiste saranno progressivamente soffocate da parte di una burocrazia dirigente privilegiata e controrivoluzionaria.
Le tendenze rivoluzionarie - tra le quali i trotskisti cubani - che avevano partecipato al processo rivoluzionario, sono state duramente represse.
Nel corso dei successivi decenni, attraverso un percorso contraddittorio, Castro sosterrà, via via: la diffusione della strategia, burocratica e suicida, della guerriglia in America Latina, staccando e isolando dalle masse operaie migliaia di giovani e così favorendo il loro sterminio da parte dell’imperialismo e dei governi borghesi latinoamericani; la repressione nel sangue della Primavera di Praga del 1968; il governo di collaborazione di classe di Unità popolare, in Cile, all’inizio degli anni '70; la rivoluzione "a tappe" in Nicaragua ("il FSLN non deve creare una nuova Cuba") negli anni ’80; il regime di Jaruselzky in Polonia nel 1981 e di Erich Honecker nella Germania Est nel 1989.
Un piano inclinato di sconfitte per il movimento operaio, che si concluderà con la restaurazione del capitalismo nei paesi del cosiddetto “socialismo reale”.
Cuba, isolata dal blocco statunitense, privata del sostegno dell’URSS, attraverserà un periodo difficile, noto come periodo speciale, di fame e scarsità per le masse operaie e contadine. Nel 1997 il regime cubano apre agli investimenti stranieri e alla creazione di imprese capitalistiche, senza modifiche sostanziali al regime politico, mentre intensificava i rapporti con la Chiesa cattolica sanciti l’anno successivo dalla visita del Papa Karol Wojtyla. Negli ultimi anni di governo, infine, Fidel Castro ha sostenuto il regime di Chavez e i governi progressisti dell’America Latina: il cosiddetto socialismo del XXI secolo, che non ha mai messo in discussione il sistema capitalistico.
Dopo il suo ritiro dalla politica attiva, Castro, rimasto lucido fino alla fine, non ha fatto mancare il suo sostegno alla politica, interna e internazionale, del fratello Raul e della burocrazia restaurazionista dirigente. Una politica che, grazie al sostegno questa volta della Chiesa cattolica di Papa Francesco, nel mentre avviava i negoziati con l’imperialismo statunitense, accelerava all’interno il processo di restaurazione capitalista e la penetrazione dell’imperialismo.
Da parte nostra, difendiamo e difenderemo le conquiste della rivoluzione socialista cubana che hanno senza alcun dubbio, dopo l’espropriazione della borghesia, migliorato significativamente le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle masse popolari dell’Isola, garantendo l’educazione e la salute, la casa e il lavoro. Proprio per questo, abbiamo sostenuto e sosteniamo la difesa di Cuba da ogni forma di aggressione imperialista, la fine del blocco e la chiusura della base imperialista di Guantánamo.
Ma non difendiamo il regime burocratico restaurazionista, che rappresenta la casta privilegiata della società cubana.
La classe operaia cubana deve respingere la restaurazione capitalista portata avanti dalla casta burocratica dirigente di Raul Castro, costruire il proprio partito rivoluzionario, socialista e internazionalista, distruggere l’apparato burocratico stalinista e riprendere il percorso interrotto della costruzione socialista imponendo il potere dei consigli degli operai, dei contadini e dei soldati.
Questa è l’unica alternativa realmente progressiva, quella proposta da Trotsky e dalla Quarta Internazionale nel Programma di transizione del 1938 contro l’infausta prospettiva della restaurazione capitalista da parte della burocrazia stalinista in URSS.
Antonino Marceca
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