tag:blogger.com,1999:blog-47586520499444417322024-03-05T10:45:51.617+01:00Partito Comunista dei Lavoratori Sezione di Massa Carrarapcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.comBlogger153125tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-27329500061851395632019-11-10T17:47:00.000+01:002019-11-10T17:54:01.166+01:00La Sez. ha sospeso l'attività nel dicembre 2018. Stiamo però cercando un compagno che si occupi della riattivazione del blog. Scriveteci.<br />
P.V.pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-76645767064100335902017-02-07T10:41:00.001+01:002019-11-10T17:51:36.236+01:00pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-79043914928828007742017-01-29T10:19:00.003+01:002019-11-10T17:51:36.469+01:00<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">Per una risposta di classe alla crisi in corso. Per una sinistra rivoluzionaria</span></h1>
</div>
<div class="colbox" style="text-align: justify;">
<h2 class="stitle_paginaArt">
Dopo la sconfitta del tentativo
bonapartista di Renzi, dopo la capitolazione FIOM sul CCNL, sviluppiamo
l’intervento politico e sociale del PCL per una primavera di lotta</h2>
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
10 Gennaio 2017</h5>
<div class="colbox">
<div class="descr_paginaArt">
Risoluzione conclusiva del Congresso nazionale del PCL</div>
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="PCLflag" src="https://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3892" /></div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
UNA NUOVA FASE DI INSTABILITÀ, CON IL CRESCENTE RISCHIO DI DERIVE REAZIONARIE
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il referendum del 4 dicembre ha rappresentato uno snodo dell'evoluzione politica italiana.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La crisi del renzismo ha trovato il proprio riflesso nella clamorosa
sconfitta del governo. La vittoria del No ha superato ogni previsione
(59%), nel quadro di una partecipazione per molti aspetti straordinaria
(quasi il 70%). La composizione sociale, generazionale e territoriale
del No è stata altrettanto significativa: lavoro dipendente, giovani
sotto i quarant'anni, periferie cittadine e metropolitane, Mezzogiorno
d'Italia e isole. Sul No si è riversata la sofferenza della maggioranza
della società italiana, in tutte le sue principali espressioni, sullo
sfondo della grande crisi dell'ultimo decennio. Il No ha dunque
travalicato lo stesso sentimento di ostilità verso il governo: ha
rappresentato una crisi complessiva di rigetto delle politiche dominanti
dettate dalla crisi e dei loro effetti sociali. Al tempo stesso è
parziale interpretare questo risultato come una pura espressione
sociale. Questo diffuso sentimento antisistema si combina infatti con la
tenuta dei blocchi reazionari che si fronteggiano nello scenario
italiano: quello leghista (voto veneto), quello berlusconiano (seppur
oggi ridotto), quello grillino (periferie urbane). La sovrapposizione
della geografia del No con quella elettorale del paese, confermata da
tutte le analisi, riflette anche la perdurante influenza del populismo
reazionario tra i salariati, i disoccupati e nella giovane generazione.
Liberare la pulsione classista del voto dall'involucro populista che le
si sovrappone è il compito della politica di classe. A partire dai
milioni di No provenienti dal versante dell'opposizione classista e di
sinistra su Jobs Act , Buona scuola, politiche ambientali.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La disfatta del renzismo non investe unicamente le prospettive del
progetto bonapartista racchiuso dalla controriforma costituzionale.
</div>
<div style="text-align: justify;">
In primo luogo investe gli equilibri politici di governo. Renzi,
ancora a capo del PD, sogna la propria rivincita (primarie ed elezioni
anticipate), capitalizzando larga parte del 41% di Sì. Tuttavia questa
operazione sconta diverse difficoltà: la diffidenza di parte importante
della grande borghesia la resistenza inerziale di vasti settori
parlamentari ed istituzionali (a partire dal Presidente della
Repubblica); un’immagine pubblica, già sfregiata dal risultato
referendario, che viene ulteriormente sfigurata dalla smaccata
continuità col governo precedente. Il piano di rivincita coltivato da
Renzi, per quanto reale e determinato, è dunque tutt'altro che scontato
nel suo esito.
</div>
<div style="text-align: justify;">
In secondo (ma non secondario) luogo, il crollo di una controriforma
che concentrava i poteri nel Governo (nei confronti del parlamento) e
nello Stato (nei confronti delle Regioni) è il fallimento di una
possibile soluzione della crisi politico-istituzionale borghese. Dunque
segna l'apertura di una nuova fase di riorganizzazione. Le dimissioni
del governo, la rapida formazione del nuovo esecutivo Gentiloni, segnano
solo l'inizio di questo convulso processo. Il quadro tripolare del
sistema politico mina le prospettive di stabilità politica e
istituzionale: nessuno appare oggi in grado di costruire attorno a sé un
blocco maggioritario. La stessa discussione sulla nuova legge
elettorale rivela la difficoltà di uno sbocco.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
A ciò si aggiungono le incognite sulla tenuta dei diversi poli,
attraversati ognuno da evidenti linee di frattura interne. Dissolto il
vecchio bipolarismo, sconfitto il progetto bonapartista, il sistema
politico non ha un baricentro. Mentre si conferma una irrisolta crisi
bancaria (Monte dei Paschi) e l'instabilità degli assetti del
capitalismo italiano (acquisizione di Pioneer da parte francese, guerra
in Confindustria sul Sole 24 Ore, iniziativa corsara del capitale
francese su Mediaset), sullo sfondo di quella immutata crisi dell'Unione
Europea cui la sconfitta di Renzi in Italia aggiunge un nuovo tassello,
nella prospettiva di una chiusura del Quantitative Easing della BCE e
delle sue conseguenze sulla tenuta del debito pubblico italiano e sui
suoi livelli di governabilità.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In questo quadro di grande instabilità politica e sociale, emerge un
nuovo protagonismo ed una rinnovata forza sociale delle forze
reazionarie di massa, sia nelle sue più classiche versioni xenofobe e
nazionaliste (la Lega di Salvini e le forze dell’estrema destra), sia
nelle nuove forme ibride e confuse del grillismo e del M5S. Forze che
colgono il vento di una crescita significativa di queste tendenze in
tutto il continente europeo, sospinte dalla perdurante crisi, dal
precipitare della competizione fra poli e blocchi commerciali, dal
persistente odore di guerra che serpeggia su quasi tutti i confini
(Europa orientale, Medio Oriente, Nord Africa), dalla crisi dei
profughi, da una sinistra riformista subalterna al quadro capitalista,
dalla crisi diffusa del movimento operaio. Forze che oggi colgono anche
un possibile ed incipiente cambio di fase nelle politiche
internazionali, con la conquista del governo di uno dei principali poli
capitalisti: l’amministrazione Trump potrebbe nei prossimi mesi attivare
una decisa svolta nella gestione capitalista della crisi, con la
definitiva archiviazione dei grandi accordi commerciali (TTIP e TTP),
l’apertura di conflitti commerciali (con la Cina e non solo), la ripresa
di una spesa pubblica statale per sostenere la domanda interna. Una
svolta che potrebbe a sua volta dare nuovi ragioni nella propaganda di
massa di queste forze reazionarie, ma soprattutto che potrebbe forgiare
nuove alleanze con settori significativi dei grandi capitali, nazionali
ed europei, disegnando una loro possibile ascesa al governo anche in
Stati chiave del continente europeo (dalla Francia alla stessa Italia).
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
IL CONTRATTO DEI METALMECCANICI: UN CAMBIO DI FASE NEI RAPPORTI DI FORZA TRA LE CLASSI
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il 26 novembre scorso, pochi giorni prima del referendum, FIM, FIOM e
UILM hanno siglato il primo rinnovo unitario del contratto dei
metalmeccanici dal 2008. Da mesi era in corso una prova di forza. Il
padronato si era posto esplicitamente l’obbiettivo di destrutturare i
contratti nazionali, sospinto dalla lunga crisi (dalla necessità di
recuperare margini di profitto a partire dai costi) e dall’indebolimento
sindacale - della classe nel suo complesso - dopo la sconfitta sul Jobs
Act. La FIM di Bentivogli, dopo FCA, condivideva l’obbiettivo di
ridefinire il CCNL, andando oltre l’impianto delle confederazioni
(CGIL-CISL-UIL chiedevano, all’inizio della stagione dei rinnovi,
aumenti nazionali in grado anche di redistribuire la produttività,
cedendo invece sull’organizzazione del lavoro): chiedeva però aumenti
più diffusi e la definizione di criteri omogenei per gli aumenti sul
secondo livello. La FIOM, smantellata la fallimentare “coalizione
sociale” ed alla ricerca di una gestione unitaria in CGIL (ingresso di
Landini in Segreteria), si predisponeva a siglare in ogni caso un
contratto, ma chiedeva delle minime condizioni per giustificare la
capitolazione. In questo teatrino, nessuno aveva interesse a far
scendere in campo lavoratori e lavoratrici: per mesi la trattativa si è
trascinata senza scioperi, assemblee o mobilitazioni di massa. La stessa
FIOM non ha quasi mai riunito l’assemblea dei cinquecento ed ha
abbandonato la propria piattaforma senza colpo ferire. Con l’autunno
l’accordo è arrivato.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Non è solo un pessimo rinnovo. Sicuramente distribuisce pochi soldi
in quattro anni (forse una cinquantina di euro, a fronte degli 80-100
degli altri contratti). Soprattutto, però, sfibra l’intero sistema
contrattuale, indebolendo i rapporti di forza complessivi della classe:
registra semplicemente l’inflazione reale (ex post), non prevedendo
nessuna distribuzione della ricchezza; indirizza pesantemente la
contrattazione aziendale su parametri variabili (aumentando così la
flessibilità salariale); introduce assicurazioni sociali e buoni
carrello (tagliando il salario complessivo e contribuendo a smantellare
il welfare universale); conferma le flessibilità organizzative previste
nel 2012 (a partire dagli straordinari obbligatori). Questa
capitolazione, comunque, non è solo responsabilità della FIOM. Per
contrastarla sarebbe stata necessaria una comprensione di massa della
battaglia in corso, dell’attacco del padronato e delle prospettive di
resistenza. Quasi nessuno ha invece lavorato nei mesi scorsi per creare
questo clima. Partiti, comitati, associazioni, giornali, radio, siti e
social: quasi nessuno nella sinistra ha seguito un contratto che rischia
di segnare condizioni e prospettive di milioni e milioni di lavoratori e
lavoratrici. È nel contempo tragico e buffo: da anni tutti declamano
che per ricostruire una sinistra bisogna partire dal programma, dal
lavoro, dalla realtà. I metalmeccanici però sono stati lasciati soli,
per non disturbare Landini o per non sporcarsi le mani con il conflitto
di classe. I rapporti di forza alla partenza, allora, erano molto
chiari: da una parte i gruppi dirigenti e gli apparati sindacali, nel
silenzio della stampa, delle piazze e di larga parte della sinistra;
dall’altra un’opposizione a questo contratto sostenuto soprattutto dal
basso, da delegati e delegate, dall'opposizione CGIL, dai sindacati di
base.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Con questo rinnovo si chiude comunque una fase politica sindacale,
che ha visto bene o male la FIOM rappresentare una resistenza contro la
gestione padronale della crisi, il tentativo di recuperare margini di
profitto attraverso una compressione drastica del salario globale
(diretto, indiretto e sociale) ed un aumento dello sfruttamento (durata e
intensità del lavoro). Nei contratti separati, nella lotta contro
Marchionne, nelle mobilitazioni nazionali del 2010 del 2012, nello
scontro con Camusso, la FIOM ha rappresentato non solo per i
metalmeccanici ma per tutto il mondo del lavoro un punto di tenuta: il
simbolo di un interesse generale, quello di classe. Sappiamo, ed abbiamo
sempre denunciato, che da tempo la FIOM aveva abbandonato questa
battaglia nella sua azione concreta: con la capitolazione a Grugliasco
sul modello Marchionne, con la rinuncia a condurre le lotte in FCA, con
la repressione interna delle minoranze, con l’abbandono di ogni
mobilitazione di massa e la sua semplice rappresentazione mediatica (la
“coalizione sociale”). La firma di questo contratto, però, segna la
chiusura anche simbolica di una parabola: il gruppo dirigente storico
della FIOM abdica per primo alla difesa del contratto nazionale,
normalizza la propria azione nel quadro del Testo Unico del 10 gennaio
(che due anni fa contestò) e si approssima ad entrare stabilmente nella
maggioranza della CGIL. Una CGIL che, concentrata sui referendum e sulla
ricerca illusoria di un accordo padronale, non intende comunque
sostenere e promuovere nessuna mobilitazione, nessun conflitto sociale
nei prossimi mesi.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
UN FRONTE UNICO DEL LAVORO, CONTRO RENZISMO E DERIVE POPULISTE
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In questo quadro generale di crisi sociale, politica, istituzionale,
è necessario battersi per una azione di classe indipendente del
movimento operaio, che entri nel varco aperto dalla sconfitta politica
del renzismo per costruire uno sbocco e una prospettiva classista. In
aperta contrapposizione alle tre destre che dominano lo scenario
politico. È necessario cioè rivolgersi a quel diffuso sentimento
antisistema che ha sostenuto il No al referendum, all’insieme dei
settori popolari colpiti dalla crisi ed al complesso del mondo del
lavoro, per far emergere uno sbocco politico alternativo a quello delle
destre, dei movimenti populisti e delle forze reazionarie di massa.
Trasformare cioè il No a Renzi nel rilancio di una mobilitazione
unitaria e di massa che rivendichi la cancellazione di tutte le leggi
reazionarie del renzismo, a partire dal Jobs Act e dalla Buona scuola;
trasformare la mobilitazione contro le leggi di Renzi nella rottura
generale con la stagione trentennale delle politiche antioperaie di
austerità e sacrifici: questo è l'asse di iniziativa e proposta del
nostro partito nella fase apertasi dopo il 4 dicembre.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Per questo l’iniziativa del PCL, nella propaganda e nell’azione
politica, deve essere principalmente e prioritariamente diretta alla
costruzione di un fronte unico del lavoro, sul piano politico e su
quello sociale. In primo luogo sul terreno concreto e diffuso che può
offrire ogni occasione di mobilitazione e di lotta unitaria: in difesa
di aziende o settori di lavoro, di diritti sociali e civili, o contro
leggi, normative, disposizioni locali e nazionali che possano innescare
dinamiche di questo genere. In secondo luogo, sul piano più generale,
con un appello ed un’azione pubblica rivolta a tutte le organizzazioni
sindacali e di massa che si sono pronunciate formalmente per il No alla
riforma costituzionale di Renzi, e che hanno promosso referendum
abrogativi delle sue leggi peggiori (Jobs Act), perché passino dalle
parole ai fatti. Perché rompano col governo Gentiloni, continuità
mascherata del renzismo e delle sue leggi. Perché rompano con
Confindustria, massima sostenitrice del Jobs Act. Perché promuovano una
svolta di lotta generale, unitaria e di massa, che ponga finalmente al
centro dello scontro un'agenda di rivendicazioni operaie capace di
configurare una soluzione di classe della crisi sociale e politica. La
proposta del fronte unico di classe e di massa deve divenire uno
strumento di aperta denuncia dell'immobilismo delle burocrazie, e di
relazione con l'avanguardia larga di classe.
</div>
<div style="text-align: justify;">
I poli reazionari convergono sulla richiesta di elezioni politiche
anticipate, nell'intenzione non solo di rafforzarsi nello scontro
reciproco, ma anche di evitare il referendum sociale sul Jobs Act. Il
loro obiettivo comune è evitare l'irrompere della questione di classe
come terreno centrale di confronto. In aperta contrapposizione alle tre
destre poniamo l'esigenza esattamente opposta. Non si tratta di
attendere il referendum in una logica istituzionale. Si tratta di
assumere il tema della cancellazione delle leggi del renzismo come leva e
campagna di mobilitazione di massa. Che è anche la via, di riflesso,
per vincere un domani sul terreno referendario. Ma soprattutto è la via
per segnare una svolta nei rapporti di forza, disgregare i blocchi
sociali reazionari, aprire il varco a una prospettiva di classe
alternativa. Quella di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
PER UN'INIZIATIVA CLASSISTA E ANTICAPITALISTA NELLA CRISI
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Questa azione politica, volta a sostenere ogni occasione di fronte
unico, volta ad appellarsi alle principali organizzazioni della sinistra
per una ripresa delle mobilitazioni, non può comunque fare a meno di
confrontarsi con la realtà della capitolazione della FIOM, con la scelta
della CGIL di sospendere ogni mobilitazione nell’attesa dei referendum
sul Jobs Act (nell’attesa cioè di poter riprendere forza per via
elettorale, per potersi nuovamente sedere ai tavoli della concertazione
con governo e padronato).
</div>
<div style="text-align: justify;">
Nel contempo, infatti, alcuni settori di classe sono disponibili
alla resistenza. Una resistenza che non è limitata ad avanguardie
politiche marginali, ma che trova ascolto, consenso e coinvolgimento in
settori significativi di classe. È questo il segnale che ci arriva dal
voto nel contratto dell’igiene ambientale (43% di contrari nel settore
pubblico), dagli scioperi nazionali nelle ferrovie e locali dei
ferrotranvieri, dalle lotte della logistica come da alcune mobilitazioni
studentesche. È, soprattutto, il segnale che ci arriva dal No al
rinnovo del CCNL metalmeccanico, che si è espresso in particolare nelle
grosse industrie, non solo dove è influente l’opposizione CGIL o qualche
sindacato di base (Dalmine di Bergamo, Fincantieri di Marghera e di
Ancona, cantieri liguri, in tutti gli stabilimenti della Electrolux,
Marcegaglia di Forlì, Same, Piaggio, GKN, Ilva, STM di Agrate e di
Catania, Ansaldo, AST di Terni, ecc.). Sul terreno dell'azione di
avanguardia siamo quindi impegnati a contrastare questa nuova stagione
di subalternità, non solo tra i metalmeccanici, ma anche in generale sul
patto di fabbrica con Confindustria come nell'accordo sul pubblico
impiego. Da qui la contrapposizione alla burocrazia sindacale, per una
direzione alternativa del movimento operaio. Da qui il sostegno ai
coordinamenti del No, nei metalmeccanici come in altri settori, come ad
ogni altra forma di larga avanguardia che dovesse determinarsi.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Non solo. La nostra azione d’avanguardia può rivolgersi anche su un
terreno più generale e politico, avanzando una proposta di unità
d’azione alle altre forze classiste e anticapitaliste, per sostenere una
ripresa conflittualità sociale davanti allo stallo della sinistra
riformista. Un’azione che, ovviamente, non può esser sostitutiva e non
può pensarsi sostitutiva del fronte unico, della priorità di una ripresa
della mobilitazione di massa nel nostro paese. Un’azione politica di
avanguardia può però permettere la ricomposizione di percorsi e
appuntamenti di lotta, che possono svolgere un ruolo anche significativo
nel mantenere accesa, anche nella percezione di massa, la prospettiva
di un’alternativa di classe.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Questa unità d’azione può allora esser condotta localmente, per
sostenere la conflittualità diffusa di movimenti e iniziative di lotta,
nei posti di lavoro come sul territorio. Questa unità d’azione può esser
condotta anche nazionalmente, per produrre almeno in una dimensione di
avanguardia alcune possibili ricomposizioni, anche parziali. Un’azione
da verificare, in primo luogo, nella costruzione di alcuni appuntamenti
di lotta nella prossima primavera, che non lascino vuote le piazze del
nostro paese: l’8 marzo il movimento di lotta dello scorso 26 novembre
sta programmando uno sciopero dello donne; allo stesso modo, si pone
l’opportunità di convocare un corteo unitario dell’estrema sinistra,
della sinistra sindacale, dei movimenti antagonisti. Impegnandosi per
evitare che, come lo scorso autunno, come gli scorsi anni, queste
occasioni diventino il terreno di demarcazione delle diverse
organizzazioni o dei diversi percorsi. Questa unità d’azione può quindi
esser verificata innanzitutto a partire da alcuni soggetti con cui
condividiamo una matrice classista, pur nella diversità dei progetti
politici e delle impostazioni teoriche (Sinistra Anticapitalista,
Sinistra Classe Rivoluzione, SGB, CUB, SiCobas...). Un coordinamento
nell’azione con queste forze che, in questo quadro, ci può permettere
anche di verificare possibili convergenze in funzione di un
bilanciamento di quelle forze e quei settori neosovranisti e
neocampisti, che stanno provando a sviluppare campagne d’egemonia
sull’estrema sinistra.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
PER UNA SINISTRA CLASSISTA E RIVOLUZIONARIA, PER LO SVILUPPO DEL PCL
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il fronte unico del lavoro, l’unità d’azione nell’avanguardia
sociale e di classe, il coordinamento della nostra azione con
l’avanguardia politica classista, sono tutte linee d’intervento per la
prossima primavera dirette a riprendere il conflitto sociale nel nostro
paese. In tutte queste iniziative, la nostra proposta deve esser quella
di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, per dare una soluzione
di classe e anticapitalistica alla crisi della Repubblica. Un programma
transitorio che, partendo dalla coscienza diffusa, dalle contraddizioni
e dai conflitti presenti, indica la necessità e la prospettiva della
rivoluzione. Questa prospettiva è e resta la nostra linea strategica di
demarcazione dal resto della sinistra politica.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La sinistra politica riformista, già vittima negli anni del proprio
suicidio politico, è del tutto incapace anche solo di prospettare una
soluzione indipendente della crisi politica e sociale. La dissoluzione
di SEL è emblematica. La sua ala destra (Pisapia) si candida addirittura
a supporto postumo del renzismo integrandosi direttamente
nell'operazione del suo rilancio. Un'altra sua componente (Smeriglio)
punta a ricomporre il vecchio centrosinistra puntando sulla minoranza
del PD liberale (Bersani). Un'altra componente ancora (Fratoianni) punta
ad una stagione ritemprante di opposizione per ricostruire le
condizioni contrattuali di un centrosinistra futuro. Sinistra Italiana
si annuncia come quadro costituente della continuità riformista:
un'autonomia nazionale obbligata dal PD, imposta dal renzismo, in
funzione della prospettiva di ricomposizione di una alleanza di governo
col PD, una volta rimosso l'ostacolo Renzi. Mentre il PRC è segnato da
una totale afasia politica, imprigionato dal fallimento di Tsipras e dai
suoi effetti deflagranti sull'intero quadro del Partito della Sinistra
Europea.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Parallelamente, sul versante centrista, Rete dei Comunisti e gruppo
dirigente USB rilanciano il proprio impasto politico-culturale di
neosovranismo nazionalista e di mitologia costituzionalista (“applicare
la Costituzione”): subalterni al tempo stesso sia al grillismo, sia alla
tradizione del riformismo italiano.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La costruzione di una sinistra rivoluzionaria classista attorno alla
prospettiva del governo dei lavoratori si conferma come l'unica
soluzione progressiva della stessa crisi della sinistra italiana. La
costruzione del Partito Comunista dei Lavoratori è la traduzione
politica di questa necessità.
</div>
<div style="text-align: justify;">
In questo quadro, si pone il prossimo appuntamento delle elezioni
politiche, nel 2017 o nel 2018. Non sappiamo ancora con quale legge
elettorale si svolgerà. Se rimarrà, in un Italicum modificato o in un
Mattarellum rivisto, la moltiplicazione di piccoli collegi, sappiamo
anche che sarà particolarmente difficile una nostra presentazione
nazionalmente significativa. La presenza di una sinistra rivoluzionaria
anche sul piano elettorale, nel quadro della crisi politica, sociale ed
istituzionale che l’Italia sta attraversando, può esser un elemento
importante per riattivare una coscienza politica di classe diffusa; la
presenza del PCL in questo appuntamento, uno snodo rilevante per la sua
costruzione ed il suo sviluppo. Per questo, nel quadro dell’impostazione
sulla linea elettorale definita negli scorsi congressi e ribadita in
quello attuale, il PCL tenterà in ogni modo di esser presente a
quell’appuntamento, come ad esser in ogni caso presente nei grandi
centri, in occasioni delle elezioni comunali che dovessero presentarsi
nei prossimi anni.</div>
</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: justify;">
Partito Comunista dei Lavoratori</h5>
<div class="colbox">
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-67996596982116502672017-01-13T09:29:00.003+01:002019-11-10T17:51:35.842+01:00<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<h3 class="title_indiceInternal">
</h3>
<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">Verso il quarto Congresso nazionale del PCL</span></h1>
</div>
<div class="colbox">
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
2 Gennaio 2017</h5>
<h5 class="data_paginaArt">
</h5>
<h5 class="data_paginaArt">
</h5>
<h5 class="data_paginaArt">
</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<h2>
</h2>
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br />
<div style="text-align: justify;">
Tra il 5 e l'8 gennaio si terrà a Rimini il quarto Congresso nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Il Congresso affronta tre ordini tematici: l'analisi della crisi
mondiale, la crisi del movimento operaio internazionale, le prospettive
della rifondazione della Quarta Internazionale; l'analisi della crisi
sociale e politica italiana, la linea di azione e proposta del PCL per
il rilancio dell'opposizione di classe e la costruzione del partito
rivoluzionario in Italia; i compiti di costruzione politico
organizzativa del PCL.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La crisi capitalistica internazionale ed europea, prolungata ed
irrisolta, scarica i propri effetti sulle condizioni materiali di vita e
di lavoro del proletariato. Al tempo stesso sospinge una polarizzazione
politica che scuote le forme tradizionali della politica borghese. La
vita politica americana ed europea è profondamente segnata da questa
dinamica. Il fenomeno Trump negli USA, la massa critica di populismo
reazionario che monta in Europa, misurano non solo la profondità della
crisi capitalista e la crisi di egemonia dei partiti dominanti
tradizionali, ma anche il ritardo storico del movimento operaio
nell'imporre la propria soluzione alternativa. Ciò che spinge una parte
del proletariato, settori sociali declassati, classi medie impoverite
dalla crisi, nelle braccia delle demagogie reazionarie.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Parallelamente, tutte le vecchie suggestioni riformiste, in tutte le
loro declinazioni (la “riforma democratica e sociale dell'Unione
Europea”, le illusioni sovraniste su un possibile capitalismo nazionale
riformato, le mitologie sui nazionalismi riformisti latinoamericani in
salsa chavista, lulista o kirchnerista) sono travolte una dopo l'altra
dalla dinamica della crisi mondiale, e dalla esperienza dei fatti. Il
volto del governo Tsipras quale governo di austerità e sacrifici, al
soldo della troika, è l'epitaffio crudele delle illusioni riformiste.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In Italia, la particolare profondità della crisi capitalista e della
crisi congiunta del movimento operaio (arretramento dei suoi livelli di
mobilitazione, di coscienza, di rappresentanza politica) hanno insieme
alimentato lo sfondamento del populismo reazionario tra gli stessi
salariati, sia esso di governo (renzismo) che di opposizione (lepenismo
salviniano e grillismo). Ma la borghesia fatica a trovare una forma
politica stabile del proprio dominio. Il progetto bonapartista del
renzismo ha subito una autentica disfatta il 4 dicembre, e con esso un
progetto di stabilizzazione reazionaria del sistema politico
istituzionale. Nel varco aperto dalla crisi del renzismo, va ora
rilanciata una opposizione sociale unitaria e di massa capace di imporre
al centro dello scontro un'agenda indipendente del movimento operaio.
Che riconduca le rivendicazioni immediate della classe all'unica
possibile soluzione progressiva della crisi sociale e politica, una
soluzione rivoluzionaria, anticapitalista, socialista: la prospettiva
della Repubblica dei lavoratori, basata sulla loro organizzazione e la
loro forza.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La costruzione del partito rivoluzionario risponde a questa
necessità: elevare la coscienza della classe, e innanzitutto della sua
avanguardia, all'altezza della necessità storica della rivoluzione
socialista. Da qui l'esigenza di un partito radicato nella classe, nelle
sue organizzazioni, nelle sue lotte. Un partito capace di lottare per
l'egemonia alternativa sulla classe, e al tempo stesso per l'egemonia
anticapitalista della classe lavoratrice sull'insieme delle masse
oppresse e sfruttate. Un partito capace di portare in ogni lotta
particolare il senso di una progetto rivoluzionario generale. Un partito
capace di recuperare la tradizione migliore del marxismo rivoluzionario
e di porla al servizio della nuova generazione. Un partito che va
costruito su scala mondiale e in ogni paese.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Questa è la cornice comune di riflessione e di indirizzo del quarto
Congresso nazionale del PCL. Dentro questa cornice comune, nello spirito
della democrazia rivoluzionaria, si confrontano anche elementi diversi
di impostazione: sulla relazione tra propaganda e agitazione
rivoluzionaria, sulle articolazioni della proposta di fronte unico di
classe, sul rapporto tra l'intervento centrale nella classe e la
battaglia politica a sinistra, sulla relazione tra battaglia di classe e
uso rivoluzionario delle tribune elettorali, su come tradurre le
necessità della politica rivoluzionaria sul terreno delle forme
organizzative di partito, entro la comune tradizione leninista. In
questo quadro si sono espresse tre diverse piattaforme congressuali. La
piattaforma A, espressa dalla larga maggioranza del CC uscente, su una
linea di continuità degli indirizzi generali del partito, seppur
aggiornati e articolati; la piattaforma B, espressa da una minoranza del
CC, su una linea di svolta politico-organizzativa; la piattaforma C,
espressa da un compagno del CC, su una linea di diversa analisi del
quadro internazionale con le relative implicazioni di indirizzo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il PCL non ha mai avuto paura della discussione e del confronto
interno, a differenza delle sette o dei partiti riformisti. Al
contrario, nella migliore tradizione del bolscevismo, vuole fare del
proprio congresso una scuola di formazione e di costruzione del partito.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
I documenti politici congressuali delle diverse piattaforme vengono
dunque pubblicati e posti a conoscenza dell'avanguardia di classe, dei
movimenti sociali, dei militanti più avanzati della sinistra politica.
Conquistare le avanguardie politiche e sociali della classe al programma
del partito, coinvolgerli nella riflessione e confronto tra
rivoluzionari, guadagnarli alla nostra organizzazione e alla sua
democrazia, è parte integrante della costruzione del Partito Comunista
dei Lavoratori.</div>
</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: justify;">
Partito Comunista dei Lavoratori</h5>
<div class="colbox">
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-75857085421508370152017-01-13T09:16:00.000+01:002019-11-10T17:51:36.170+01:00<h3 class="title_indiceInternal">
</h3>
<div class="colbox">
<h2>
<span style="color: red;">Verso il quarto Congresso nazionale del PCL</span>
</h2>
</div>
<div class="colbox">
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
2 Gennaio 2017</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="PCL corteo" height="413" src="https://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3883" width="620" />
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br />
<div style="text-align: justify;">
Tra il 5 e l'8 gennaio si terrà a Rimini il quarto Congresso nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Il Congresso affronta tre ordini tematici: l'analisi della crisi
mondiale, la crisi del movimento operaio internazionale, le prospettive
della rifondazione della Quarta Internazionale; l'analisi della crisi
sociale e politica italiana, la linea di azione e proposta del PCL per
il rilancio dell'opposizione di classe e la costruzione del partito
rivoluzionario in Italia; i compiti di costruzione politico
organizzativa del PCL.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La crisi capitalistica internazionale ed europea, prolungata ed
irrisolta, scarica i propri effetti sulle condizioni materiali di vita e
di lavoro del proletariato. Al tempo stesso sospinge una polarizzazione
politica che scuote le forme tradizionali della politica borghese. La
vita politica americana ed europea è profondamente segnata da questa
dinamica. Il fenomeno Trump negli USA, la massa critica di populismo
reazionario che monta in Europa, misurano non solo la profondità della
crisi capitalista e la crisi di egemonia dei partiti dominanti
tradizionali, ma anche il ritardo storico del movimento operaio
nell'imporre la propria soluzione alternativa. Ciò che spinge una parte
del proletariato, settori sociali declassati, classi medie impoverite
dalla crisi, nelle braccia delle demagogie reazionarie.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Parallelamente, tutte le vecchie suggestioni riformiste, in tutte le
loro declinazioni (la “riforma democratica e sociale dell'Unione
Europea”, le illusioni sovraniste su un possibile capitalismo nazionale
riformato, le mitologie sui nazionalismi riformisti latinoamericani in
salsa chavista, lulista o kirchnerista) sono travolte una dopo l'altra
dalla dinamica della crisi mondiale, e dalla esperienza dei fatti. Il
volto del governo Tsipras quale governo di austerità e sacrifici, al
soldo della troika, è l'epitaffio crudele delle illusioni riformiste.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In Italia, la particolare profondità della crisi capitalista e della
crisi congiunta del movimento operaio (arretramento dei suoi livelli di
mobilitazione, di coscienza, di rappresentanza politica) hanno insieme
alimentato lo sfondamento del populismo reazionario tra gli stessi
salariati, sia esso di governo (renzismo) che di opposizione (lepenismo
salviniano e grillismo). Ma la borghesia fatica a trovare una forma
politica stabile del proprio dominio. Il progetto bonapartista del
renzismo ha subito una autentica disfatta il 4 dicembre, e con esso un
progetto di stabilizzazione reazionaria del sistema politico
istituzionale. Nel varco aperto dalla crisi del renzismo, va ora
rilanciata una opposizione sociale unitaria e di massa capace di imporre
al centro dello scontro un'agenda indipendente del movimento operaio.
Che riconduca le rivendicazioni immediate della classe all'unica
possibile soluzione progressiva della crisi sociale e politica, una
soluzione rivoluzionaria, anticapitalista, socialista: la prospettiva
della Repubblica dei lavoratori, basata sulla loro organizzazione e la
loro forza.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La costruzione del partito rivoluzionario risponde a questa
necessità: elevare la coscienza della classe, e innanzitutto della sua
avanguardia, all'altezza della necessità storica della rivoluzione
socialista. Da qui l'esigenza di un partito radicato nella classe, nelle
sue organizzazioni, nelle sue lotte. Un partito capace di lottare per
l'egemonia alternativa sulla classe, e al tempo stesso per l'egemonia
anticapitalista della classe lavoratrice sull'insieme delle masse
oppresse e sfruttate. Un partito capace di portare in ogni lotta
particolare il senso di una progetto rivoluzionario generale. Un partito
capace di recuperare la tradizione migliore del marxismo rivoluzionario
e di porla al servizio della nuova generazione. Un partito che va
costruito su scala mondiale e in ogni paese.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Questa è la cornice comune di riflessione e di indirizzo del quarto
Congresso nazionale del PCL. Dentro questa cornice comune, nello spirito
della democrazia rivoluzionaria, si confrontano anche elementi diversi
di impostazione: sulla relazione tra propaganda e agitazione
rivoluzionaria, sulle articolazioni della proposta di fronte unico di
classe, sul rapporto tra l'intervento centrale nella classe e la
battaglia politica a sinistra, sulla relazione tra battaglia di classe e
uso rivoluzionario delle tribune elettorali, su come tradurre le
necessità della politica rivoluzionaria sul terreno delle forme
organizzative di partito, entro la comune tradizione leninista. In
questo quadro si sono espresse tre diverse piattaforme congressuali. La
piattaforma A, espressa dalla larga maggioranza del CC uscente, su una
linea di continuità degli indirizzi generali del partito, seppur
aggiornati e articolati; la piattaforma B, espressa da una minoranza del
CC, su una linea di svolta politico-organizzativa; la piattaforma C,
espressa da un compagno del CC, su una linea di diversa analisi del
quadro internazionale con le relative implicazioni di indirizzo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il PCL non ha mai avuto paura della discussione e del confronto
interno, a differenza delle sette o dei partiti riformisti. Al
contrario, nella migliore tradizione del bolscevismo, vuole fare del
proprio congresso una scuola di formazione e di costruzione del partito.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
I documenti politici congressuali delle diverse piattaforme vengono
dunque pubblicati e posti a conoscenza dell'avanguardia di classe, dei
movimenti sociali, dei militanti più avanzati della sinistra politica.
Conquistare le avanguardie politiche e sociali della classe al programma
del partito, coinvolgerli nella riflessione e confronto tra
rivoluzionari, guadagnarli alla nostra organizzazione e alla sua
democrazia, è parte integrante della costruzione del Partito Comunista
dei Lavoratori.</div>
</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: justify;">
Partito Comunista dei Lavoratori</h5>
<div class="colbox">
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-3574197338644901572017-01-07T21:31:00.003+01:002019-11-10T17:51:35.480+01:00<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
La morte di Fidel Castro</h1>
</div>
<div class="colbox">
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
27 Novembre 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br />
Fidel Castro è deceduto a Cuba all’età di novant'anni. Suo fratello Raul ha annunciato la scomparsa con un messaggio televisivo.
<br />
Nel 2006 Fidel Castro ha subito un intervento chirurgico di urgenza;
i conseguenti esiti della patologia lo porteranno a lasciare prima
temporaneamente, poi nel 2008 definitivamente la direzione del potere
politico al fratello Raul Castro, nominato Presidente del Consiglio di
Stato e del Consiglio dei Ministri. Fidel Castro ha comunque mantenuto
un ruolo di indirizzo attraverso i suoi articoli sul Granma, il giornale
del Partito Comunista Cubano, in cui interveniva sui principali eventi
di politica interna e internazionale.
<br />
<br />
Per circa mezzo secolo Fidel Castro ha occupato la presidenza di
Cuba, nel corso della quale ha suscitato una feroce ostilità da parte
dell’imperialismo (oltre 600 attentati alla sua vita organizzati dalla
CIA), ma anche ammirazione da gran parte delle sinistre mondiali e dei
popoli oppressi per essere riuscito assieme a Che Guevara e Camilo
Cienfuegos a rovesciare, grazie al sostegno delle masse contadine e allo
sciopero generale all’Avana, la dittatura di Fulgencio Batista; per
aver costruito il primo Stato operaio, seppur deformato, a poche miglia
dagli Stati Uniti d’America e, inoltre, per aver guidato la resistenza
contro il 'blocco' e i tentativi di rovesciare il regime uscito dalla
rivoluzione del 1959.
<br />
<br />
Il 'Movimiento 26 de Julio' non aveva un programma socialista, ma di
democrazia borgese progressista. Fidel Castro era infatti un
democratico borghese, e fin dall’inizio ha lottato per mantenere la
borghesia all’interno del governo, ma è stato costretto a rompere con la
borghesia liberale e l’imperialismo. Il carattere socialista della
rivoluzione, infatti, è stato proclamato nel 1961 in risposta alle
provocazioni statunitensi, dopo la sconfitta da parte delle milizie
popolari cubane del tentativo di invasione degli esuli cubani, armati
dall’imperialismo, alla Baia dei Porci.
<br />
La rivoluzione aveva spezzato lo Stato borghese, l’esercito di
Batista era stato liquidato, l’esercito ribelle formato da contadini
poveri, braccianti agricoli e operai in armi ha spinto la rivoluzione ad
andare avanti, a procedere nell’espropriazione della borghesia
nazionale, della grande proprietà terriera e del capitale straniero che
controllava l’Isola. Le stesse condizioni materiali, oltre che quelle
politiche, mettevano in evidenza come le rivendicazioni democratiche,
quali la riforma agraria e l’indipendenza nazionale, potevano essere
assicurate solo approfondendo il processo rivoluzionario verso la
rivoluzione socialista.
<br />
<br />
Ma la rivoluzione socialista sarà presto interrotta: Fidel Castro
respinse la proposta di Che Guevara di realizzare un programma di
industrializzazione e di estensione della rivoluzione fuori dall’Isola, e
scelse di allearsi con la burocrazia stalinista dell’URSS facendo
proprio quel modello e applicandolo a Cuba. Il giovane Stato operaio
cubano, privato degli organismi di democrazia proletaria e chiuso
all’interno del perimetro costiero, nasceva deformato.
<br />
<br />
Fidel Castro è stato il capo di un regime bonapartista. Il suo
potere si ergeva su un apparato burocratico che aveva concentrato il
potere in un partito unico e impedito l’emergere di organi di
autogoverno - i soviet - degli operai e dei contadini. Le libertà civili
e democratiche socialiste saranno progressivamente soffocate da parte
di una burocrazia dirigente privilegiata e controrivoluzionaria.
<br />
Le tendenze rivoluzionarie - tra le quali i trotskisti cubani - che
avevano partecipato al processo rivoluzionario, sono state duramente
represse.
<br />
<br />
Nel corso dei successivi decenni, attraverso un percorso
contraddittorio, Castro sosterrà, via via: la diffusione della
strategia, burocratica e suicida, della guerriglia in America Latina,
staccando e isolando dalle masse operaie migliaia di giovani e così
favorendo il loro sterminio da parte dell’imperialismo e dei governi
borghesi latinoamericani; la repressione nel sangue della Primavera di
Praga del 1968; il governo di collaborazione di classe di Unità
popolare, in Cile, all’inizio degli anni '70; la rivoluzione "a tappe"
in Nicaragua ("il FSLN non deve creare una nuova Cuba") negli anni ’80;
il regime di Jaruselzky in Polonia nel 1981 e di Erich Honecker nella
Germania Est nel 1989.
<br />
Un piano inclinato di sconfitte per il movimento operaio, che si
concluderà con la restaurazione del capitalismo nei paesi del cosiddetto
“socialismo reale”.
<br />
<br />
Cuba, isolata dal blocco statunitense, privata del sostegno
dell’URSS, attraverserà un periodo difficile, noto come periodo
speciale, di fame e scarsità per le masse operaie e contadine. Nel 1997
il regime cubano apre agli investimenti stranieri e alla creazione di
imprese capitalistiche, senza modifiche sostanziali al regime politico,
mentre intensificava i rapporti con la Chiesa cattolica sanciti l’anno
successivo dalla visita del Papa Karol Wojtyla. Negli ultimi anni di
governo, infine, Fidel Castro ha sostenuto il regime di Chavez e i
governi progressisti dell’America Latina: il cosiddetto socialismo del
XXI secolo, che non ha mai messo in discussione il sistema
capitalistico.
<br />
<br />
Dopo il suo ritiro dalla politica attiva, Castro, rimasto lucido
fino alla fine, non ha fatto mancare il suo sostegno alla politica,
interna e internazionale, del fratello Raul e della burocrazia
restaurazionista dirigente. Una politica che, grazie al sostegno questa
volta della Chiesa cattolica di Papa Francesco, nel mentre avviava i
negoziati con l’imperialismo statunitense, accelerava all’interno il
processo di restaurazione capitalista e la penetrazione
dell’imperialismo.
<br />
<br />
Da parte nostra, difendiamo e difenderemo le conquiste della
rivoluzione socialista cubana che hanno senza alcun dubbio, dopo
l’espropriazione della borghesia, migliorato significativamente le
condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle masse popolari
dell’Isola, garantendo l’educazione e la salute, la casa e il lavoro.
Proprio per questo, abbiamo sostenuto e sosteniamo la difesa di Cuba da
ogni forma di aggressione imperialista, la fine del blocco e la chiusura
della base imperialista di Guantánamo.
<br />
Ma non difendiamo il regime burocratico restaurazionista, che rappresenta la casta privilegiata della società cubana.
<br />
La classe operaia cubana deve respingere la restaurazione
capitalista portata avanti dalla casta burocratica dirigente di Raul
Castro, costruire il proprio partito rivoluzionario, socialista e
internazionalista, distruggere l’apparato burocratico stalinista e
riprendere il percorso interrotto della costruzione socialista imponendo
il potere dei consigli degli operai, dei contadini e dei soldati.
<br />
Questa è l’unica alternativa realmente progressiva, quella proposta
da Trotsky e dalla Quarta Internazionale nel Programma di transizione
del 1938 contro l’infausta prospettiva della restaurazione capitalista
da parte della burocrazia stalinista in URSS.</div>
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-67631908748730792512017-01-07T21:21:00.002+01:002017-01-07T21:29:34.277+01:00<h3 class="title_indiceInternal">
</h3>
<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">La morte di Fidel Castro</span></h1>
</div>
<div class="colbox">
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
27 Novembre 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<div class="colbox">
</div>
<img alt="Castro" src="http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3862" height="338" width="400" /><br />
<br />
<div class="colbox">
</div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è deceduto a Cuba all’età di novant'anni. Suo fratello Raul ha annunciato la scomparsa con un messaggio televisivo. </div>
<div style="text-align: justify;">
Nel 2006 Fidel Castro ha subito un intervento chirurgico di urgenza; i conseguenti esiti della patologia lo porteranno a lasciare prima temporaneamente, poi nel 2008 definitivamente la direzione del potere politico al fratello Raul Castro, nominato Presidente del Consiglio di Stato e del Consiglio dei Ministri. Fidel Castro ha comunque mantenuto un ruolo di indirizzo attraverso i suoi articoli sul Granma, il giornale del Partito Comunista Cubano, in cui interveniva sui principali eventi di politica interna e internazionale. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Per circa mezzo secolo Fidel Castro ha occupato la presidenza di Cuba, nel corso della quale ha suscitato una feroce ostilità da parte dell’imperialismo (oltre 600 attentati alla sua vita organizzati dalla CIA), ma anche ammirazione da gran parte delle sinistre mondiali e dei popoli oppressi per essere riuscito assieme a Che Guevara e Camilo Cienfuegos a rovesciare, grazie al sostegno delle masse contadine e allo sciopero generale all’Avana, la dittatura di Fulgencio Batista; per aver costruito il primo Stato operaio, seppur deformato, a poche miglia dagli Stati Uniti d’America e, inoltre, per aver guidato la resistenza contro il 'blocco' e i tentativi di rovesciare il regime uscito dalla rivoluzione del 1959. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il 'Movimiento 26 de Julio' non aveva un programma socialista, ma di democrazia borgese progressista. Fidel Castro era infatti un democratico borghese, e fin dall’inizio ha lottato per mantenere la borghesia all’interno del governo, ma è stato costretto a rompere con la borghesia liberale e l’imperialismo. Il carattere socialista della rivoluzione, infatti, è stato proclamato nel 1961 in risposta alle provocazioni statunitensi, dopo la sconfitta da parte delle milizie popolari cubane del tentativo di invasione degli esuli cubani, armati dall’imperialismo, alla Baia dei Porci. </div>
<div style="text-align: justify;">
La rivoluzione aveva spezzato lo Stato borghese, l’esercito di Batista era stato liquidato, l’esercito ribelle formato da contadini poveri, braccianti agricoli e operai in armi ha spinto la rivoluzione ad andare avanti, a procedere nell’espropriazione della borghesia nazionale, della grande proprietà terriera e del capitale straniero che controllava l’Isola. Le stesse condizioni materiali, oltre che quelle politiche, mettevano in evidenza come le rivendicazioni democratiche, quali la riforma agraria e l’indipendenza nazionale, potevano essere assicurate solo approfondendo il processo rivoluzionario verso la rivoluzione socialista. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ma la rivoluzione socialista sarà presto interrotta: Fidel Castro respinse la proposta di Che Guevara di realizzare un programma di industrializzazione e di estensione della rivoluzione fuori dall’Isola, e scelse di allearsi con la burocrazia stalinista dell’URSS facendo proprio quel modello e applicandolo a Cuba. Il giovane Stato operaio cubano, privato degli organismi di democrazia proletaria e chiuso all’interno del perimetro costiero, nasceva deformato. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è stato il capo di un regime bonapartista. Il suo potere si ergeva su un apparato burocratico che aveva concentrato il potere in un partito unico e impedito l’emergere di organi di autogoverno - i soviet - degli operai e dei contadini. Le libertà civili e democratiche socialiste saranno progressivamente soffocate da parte di una burocrazia dirigente privilegiata e controrivoluzionaria. </div>
<div style="text-align: justify;">
Le tendenze rivoluzionarie - tra le quali i trotskisti cubani - che avevano partecipato al processo rivoluzionario, sono state duramente represse. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nel corso dei successivi decenni, attraverso un percorso contraddittorio, Castro sosterrà, via via: la diffusione della strategia, burocratica e suicida, della guerriglia in America Latina, staccando e isolando dalle masse operaie migliaia di giovani e così favorendo il loro sterminio da parte dell’imperialismo e dei governi borghesi latinoamericani; la repressione nel sangue della Primavera di Praga del 1968; il governo di collaborazione di classe di Unità popolare, in Cile, all’inizio degli anni '70; la rivoluzione "a tappe" in Nicaragua ("il FSLN non deve creare una nuova Cuba") negli anni ’80; il regime di Jaruselzky in Polonia nel 1981 e di Erich Honecker nella Germania Est nel 1989. </div>
<div style="text-align: justify;">
Un piano inclinato di sconfitte per il movimento operaio, che si concluderà con la restaurazione del capitalismo nei paesi del cosiddetto “socialismo reale”. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Cuba, isolata dal blocco statunitense, privata del sostegno dell’URSS, attraverserà un periodo difficile, noto come periodo speciale, di fame e scarsità per le masse operaie e contadine. Nel 1997 il regime cubano apre agli investimenti stranieri e alla creazione di imprese capitalistiche, senza modifiche sostanziali al regime politico, mentre intensificava i rapporti con la Chiesa cattolica sanciti l’anno successivo dalla visita del Papa Karol Wojtyla. Negli ultimi anni di governo, infine, Fidel Castro ha sostenuto il regime di Chavez e i governi progressisti dell’America Latina: il cosiddetto socialismo del XXI secolo, che non ha mai messo in discussione il sistema capitalistico. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Dopo il suo ritiro dalla politica attiva, Castro, rimasto lucido fino alla fine, non ha fatto mancare il suo sostegno alla politica, interna e internazionale, del fratello Raul e della burocrazia restaurazionista dirigente. Una politica che, grazie al sostegno questa volta della Chiesa cattolica di Papa Francesco, nel mentre avviava i negoziati con l’imperialismo statunitense, accelerava all’interno il processo di restaurazione capitalista e la penetrazione dell’imperialismo. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Da parte nostra, difendiamo e difenderemo le conquiste della rivoluzione socialista cubana che hanno senza alcun dubbio, dopo l’espropriazione della borghesia, migliorato significativamente le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle masse popolari dell’Isola, garantendo l’educazione e la salute, la casa e il lavoro. Proprio per questo, abbiamo sostenuto e sosteniamo la difesa di Cuba da ogni forma di aggressione imperialista, la fine del blocco e la chiusura della base imperialista di Guantánamo. </div>
<div style="text-align: justify;">
Ma non difendiamo il regime burocratico restaurazionista, che rappresenta la casta privilegiata della società cubana. </div>
<div style="text-align: justify;">
La classe operaia cubana deve respingere la restaurazione capitalista portata avanti dalla casta burocratica dirigente di Raul Castro, costruire il proprio partito rivoluzionario, socialista e internazionalista, distruggere l’apparato burocratico stalinista e riprendere il percorso interrotto della costruzione socialista imponendo il potere dei consigli degli operai, dei contadini e dei soldati. </div>
<div style="text-align: justify;">
Questa è l’unica alternativa realmente progressiva, quella proposta da Trotsky e dalla Quarta Internazionale nel Programma di transizione del 1938 contro l’infausta prospettiva della restaurazione capitalista da parte della burocrazia stalinista in URSS.</div>
</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt">
Antonino Marceca</h5>
<div class="colbox">
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-74716913601929624542017-01-02T17:04:00.001+01:002019-11-10T17:51:36.105+01:00<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">La morte di Fidel Castro</span></h1>
</div>
<div class="colbox">
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
27 Novembre 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="Castro" height="524" src="https://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3862" width="620" /></div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br />
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è deceduto a Cuba all’età di novant'anni. Suo fratello Raul ha annunciato la scomparsa con un messaggio televisivo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Nel 2006 Fidel Castro ha subito un intervento chirurgico di urgenza;
i conseguenti esiti della patologia lo porteranno a lasciare prima
temporaneamente, poi nel 2008 definitivamente la direzione del potere
politico al fratello Raul Castro, nominato Presidente del Consiglio di
Stato e del Consiglio dei Ministri. Fidel Castro ha comunque mantenuto
un ruolo di indirizzo attraverso i suoi articoli sul Granma, il giornale
del Partito Comunista Cubano, in cui interveniva sui principali eventi
di politica interna e internazionale.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Per circa mezzo secolo Fidel Castro ha occupato la presidenza di
Cuba, nel corso della quale ha suscitato una feroce ostilità da parte
dell’imperialismo (oltre 600 attentati alla sua vita organizzati dalla
CIA), ma anche ammirazione da gran parte delle sinistre mondiali e dei
popoli oppressi per essere riuscito assieme a Che Guevara e Camilo
Cienfuegos a rovesciare, grazie al sostegno delle masse contadine e allo
sciopero generale all’Avana, la dittatura di Fulgencio Batista; per
aver costruito il primo Stato operaio, seppur deformato, a poche miglia
dagli Stati Uniti d’America e, inoltre, per aver guidato la resistenza
contro il 'blocco' e i tentativi di rovesciare il regime uscito dalla
rivoluzione del 1959.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il 'Movimiento 26 de Julio' non aveva un programma socialista, ma di
democrazia borgese progressista. Fidel Castro era infatti un
democratico borghese, e fin dall’inizio ha lottato per mantenere la
borghesia all’interno del governo, ma è stato costretto a rompere con la
borghesia liberale e l’imperialismo. Il carattere socialista della
rivoluzione, infatti, è stato proclamato nel 1961 in risposta alle
provocazioni statunitensi, dopo la sconfitta da parte delle milizie
popolari cubane del tentativo di invasione degli esuli cubani, armati
dall’imperialismo, alla Baia dei Porci.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La rivoluzione aveva spezzato lo Stato borghese, l’esercito di
Batista era stato liquidato, l’esercito ribelle formato da contadini
poveri, braccianti agricoli e operai in armi ha spinto la rivoluzione ad
andare avanti, a procedere nell’espropriazione della borghesia
nazionale, della grande proprietà terriera e del capitale straniero che
controllava l’Isola. Le stesse condizioni materiali, oltre che quelle
politiche, mettevano in evidenza come le rivendicazioni democratiche,
quali la riforma agraria e l’indipendenza nazionale, potevano essere
assicurate solo approfondendo il processo rivoluzionario verso la
rivoluzione socialista.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ma la rivoluzione socialista sarà presto interrotta: Fidel Castro
respinse la proposta di Che Guevara di realizzare un programma di
industrializzazione e di estensione della rivoluzione fuori dall’Isola, e
scelse di allearsi con la burocrazia stalinista dell’URSS facendo
proprio quel modello e applicandolo a Cuba. Il giovane Stato operaio
cubano, privato degli organismi di democrazia proletaria e chiuso
all’interno del perimetro costiero, nasceva deformato.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è stato il capo di un regime bonapartista. Il suo
potere si ergeva su un apparato burocratico che aveva concentrato il
potere in un partito unico e impedito l’emergere di organi di
autogoverno - i soviet - degli operai e dei contadini. Le libertà civili
e democratiche socialiste saranno progressivamente soffocate da parte
di una burocrazia dirigente privilegiata e controrivoluzionaria.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Le tendenze rivoluzionarie - tra le quali i trotskisti cubani - che
avevano partecipato al processo rivoluzionario, sono state duramente
represse.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nel corso dei successivi decenni, attraverso un percorso
contraddittorio, Castro sosterrà, via via: la diffusione della
strategia, burocratica e suicida, della guerriglia in America Latina,
staccando e isolando dalle masse operaie migliaia di giovani e così
favorendo il loro sterminio da parte dell’imperialismo e dei governi
borghesi latinoamericani; la repressione nel sangue della Primavera di
Praga del 1968; il governo di collaborazione di classe di Unità
popolare, in Cile, all’inizio degli anni '70; la rivoluzione "a tappe"
in Nicaragua ("il FSLN non deve creare una nuova Cuba") negli anni ’80;
il regime di Jaruselzky in Polonia nel 1981 e di Erich Honecker nella
Germania Est nel 1989.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Un piano inclinato di sconfitte per il movimento operaio, che si
concluderà con la restaurazione del capitalismo nei paesi del cosiddetto
“socialismo reale”.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Cuba, isolata dal blocco statunitense, privata del sostegno
dell’URSS, attraverserà un periodo difficile, noto come periodo
speciale, di fame e scarsità per le masse operaie e contadine. Nel 1997
il regime cubano apre agli investimenti stranieri e alla creazione di
imprese capitalistiche, senza modifiche sostanziali al regime politico,
mentre intensificava i rapporti con la Chiesa cattolica sanciti l’anno
successivo dalla visita del Papa Karol Wojtyla. Negli ultimi anni di
governo, infine, Fidel Castro ha sostenuto il regime di Chavez e i
governi progressisti dell’America Latina: il cosiddetto socialismo del
XXI secolo, che non ha mai messo in discussione il sistema
capitalistico.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Dopo il suo ritiro dalla politica attiva, Castro, rimasto lucido
fino alla fine, non ha fatto mancare il suo sostegno alla politica,
interna e internazionale, del fratello Raul e della burocrazia
restaurazionista dirigente. Una politica che, grazie al sostegno questa
volta della Chiesa cattolica di Papa Francesco, nel mentre avviava i
negoziati con l’imperialismo statunitense, accelerava all’interno il
processo di restaurazione capitalista e la penetrazione
dell’imperialismo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Da parte nostra, difendiamo e difenderemo le conquiste della
rivoluzione socialista cubana che hanno senza alcun dubbio, dopo
l’espropriazione della borghesia, migliorato significativamente le
condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle masse popolari
dell’Isola, garantendo l’educazione e la salute, la casa e il lavoro.
Proprio per questo, abbiamo sostenuto e sosteniamo la difesa di Cuba da
ogni forma di aggressione imperialista, la fine del blocco e la chiusura
della base imperialista di Guantánamo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Ma non difendiamo il regime burocratico restaurazionista, che rappresenta la casta privilegiata della società cubana.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La classe operaia cubana deve respingere la restaurazione
capitalista portata avanti dalla casta burocratica dirigente di Raul
Castro, costruire il proprio partito rivoluzionario, socialista e
internazionalista, distruggere l’apparato burocratico stalinista e
riprendere il percorso interrotto della costruzione socialista imponendo
il potere dei consigli degli operai, dei contadini e dei soldati.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Questa è l’unica alternativa realmente progressiva, quella proposta
da Trotsky e dalla Quarta Internazionale nel Programma di transizione
del 1938 contro l’infausta prospettiva della restaurazione capitalista
da parte della burocrazia stalinista in URSS.</div>
</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: justify;">
Antonino Marceca</h5>
<div class="colbox">
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-71788168233992295432017-01-02T17:01:00.000+01:002019-11-10T17:51:36.038+01:00<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">La morte di Fidel Castro</span></h1>
</div>
<div class="colbox">
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
27 Novembre 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="Castro" height="524" src="https://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3862" width="620" />
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br />
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è deceduto a Cuba all’età di novant'anni. Suo fratello Raul ha annunciato la scomparsa con un messaggio televisivo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Nel 2006 Fidel Castro ha subito un intervento chirurgico di urgenza;
i conseguenti esiti della patologia lo porteranno a lasciare prima
temporaneamente, poi nel 2008 definitivamente la direzione del potere
politico al fratello Raul Castro, nominato Presidente del Consiglio di
Stato e del Consiglio dei Ministri. Fidel Castro ha comunque mantenuto
un ruolo di indirizzo attraverso i suoi articoli sul Granma, il giornale
del Partito Comunista Cubano, in cui interveniva sui principali eventi
di politica interna e internazionale.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Per circa mezzo secolo Fidel Castro ha occupato la presidenza di
Cuba, nel corso della quale ha suscitato una feroce ostilità da parte
dell’imperialismo (oltre 600 attentati alla sua vita organizzati dalla
CIA), ma anche ammirazione da gran parte delle sinistre mondiali e dei
popoli oppressi per essere riuscito assieme a Che Guevara e Camilo
Cienfuegos a rovesciare, grazie al sostegno delle masse contadine e allo
sciopero generale all’Avana, la dittatura di Fulgencio Batista; per
aver costruito il primo Stato operaio, seppur deformato, a poche miglia
dagli Stati Uniti d’America e, inoltre, per aver guidato la resistenza
contro il 'blocco' e i tentativi di rovesciare il regime uscito dalla
rivoluzione del 1959.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il 'Movimiento 26 de Julio' non aveva un programma socialista, ma di
democrazia borgese progressista. Fidel Castro era infatti un
democratico borghese, e fin dall’inizio ha lottato per mantenere la
borghesia all’interno del governo, ma è stato costretto a rompere con la
borghesia liberale e l’imperialismo. Il carattere socialista della
rivoluzione, infatti, è stato proclamato nel 1961 in risposta alle
provocazioni statunitensi, dopo la sconfitta da parte delle milizie
popolari cubane del tentativo di invasione degli esuli cubani, armati
dall’imperialismo, alla Baia dei Porci.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La rivoluzione aveva spezzato lo Stato borghese, l’esercito di
Batista era stato liquidato, l’esercito ribelle formato da contadini
poveri, braccianti agricoli e operai in armi ha spinto la rivoluzione ad
andare avanti, a procedere nell’espropriazione della borghesia
nazionale, della grande proprietà terriera e del capitale straniero che
controllava l’Isola. Le stesse condizioni materiali, oltre che quelle
politiche, mettevano in evidenza come le rivendicazioni democratiche,
quali la riforma agraria e l’indipendenza nazionale, potevano essere
assicurate solo approfondendo il processo rivoluzionario verso la
rivoluzione socialista.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ma la rivoluzione socialista sarà presto interrotta: Fidel Castro
respinse la proposta di Che Guevara di realizzare un programma di
industrializzazione e di estensione della rivoluzione fuori dall’Isola, e
scelse di allearsi con la burocrazia stalinista dell’URSS facendo
proprio quel modello e applicandolo a Cuba. Il giovane Stato operaio
cubano, privato degli organismi di democrazia proletaria e chiuso
all’interno del perimetro costiero, nasceva deformato.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è stato il capo di un regime bonapartista. Il suo
potere si ergeva su un apparato burocratico che aveva concentrato il
potere in un partito unico e impedito l’emergere di organi di
autogoverno - i soviet - degli operai e dei contadini. Le libertà civili
e democratiche socialiste saranno progressivamente soffocate da parte
di una burocrazia dirigente privilegiata e controrivoluzionaria.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Le tendenze rivoluzionarie - tra le quali i trotskisti cubani - che
avevano partecipato al processo rivoluzionario, sono state duramente
represse.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nel corso dei successivi decenni, attraverso un percorso
contraddittorio, Castro sosterrà, via via: la diffusione della
strategia, burocratica e suicida, della guerriglia in America Latina,
staccando e isolando dalle masse operaie migliaia di giovani e così
favorendo il loro sterminio da parte dell’imperialismo e dei governi
borghesi latinoamericani; la repressione nel sangue della Primavera di
Praga del 1968; il governo di collaborazione di classe di Unità
popolare, in Cile, all’inizio degli anni '70; la rivoluzione "a tappe"
in Nicaragua ("il FSLN non deve creare una nuova Cuba") negli anni ’80;
il regime di Jaruselzky in Polonia nel 1981 e di Erich Honecker nella
Germania Est nel 1989.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Un piano inclinato di sconfitte per il movimento operaio, che si
concluderà con la restaurazione del capitalismo nei paesi del cosiddetto
“socialismo reale”.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Cuba, isolata dal blocco statunitense, privata del sostegno
dell’URSS, attraverserà un periodo difficile, noto come periodo
speciale, di fame e scarsità per le masse operaie e contadine. Nel 1997
il regime cubano apre agli investimenti stranieri e alla creazione di
imprese capitalistiche, senza modifiche sostanziali al regime politico,
mentre intensificava i rapporti con la Chiesa cattolica sanciti l’anno
successivo dalla visita del Papa Karol Wojtyla. Negli ultimi anni di
governo, infine, Fidel Castro ha sostenuto il regime di Chavez e i
governi progressisti dell’America Latina: il cosiddetto socialismo del
XXI secolo, che non ha mai messo in discussione il sistema
capitalistico.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Dopo il suo ritiro dalla politica attiva, Castro, rimasto lucido
fino alla fine, non ha fatto mancare il suo sostegno alla politica,
interna e internazionale, del fratello Raul e della burocrazia
restaurazionista dirigente. Una politica che, grazie al sostegno questa
volta della Chiesa cattolica di Papa Francesco, nel mentre avviava i
negoziati con l’imperialismo statunitense, accelerava all’interno il
processo di restaurazione capitalista e la penetrazione
dell’imperialismo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Da parte nostra, difendiamo e difenderemo le conquiste della
rivoluzione socialista cubana che hanno senza alcun dubbio, dopo
l’espropriazione della borghesia, migliorato significativamente le
condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle masse popolari
dell’Isola, garantendo l’educazione e la salute, la casa e il lavoro.
Proprio per questo, abbiamo sostenuto e sosteniamo la difesa di Cuba da
ogni forma di aggressione imperialista, la fine del blocco e la chiusura
della base imperialista di Guantánamo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Ma non difendiamo il regime burocratico restaurazionista, che rappresenta la casta privilegiata della società cubana.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La classe operaia cubana deve respingere la restaurazione
capitalista portata avanti dalla casta burocratica dirigente di Raul
Castro, costruire il proprio partito rivoluzionario, socialista e
internazionalista, distruggere l’apparato burocratico stalinista e
riprendere il percorso interrotto della costruzione socialista imponendo
il potere dei consigli degli operai, dei contadini e dei soldati.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Questa è l’unica alternativa realmente progressiva, quella proposta
da Trotsky e dalla Quarta Internazionale nel Programma di transizione
del 1938 contro l’infausta prospettiva della restaurazione capitalista
da parte della burocrazia stalinista in URSS.</div>
</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: justify;">
Antonino Marceca</h5>
<div class="colbox">
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-55893601269014026262017-01-02T16:59:00.001+01:002019-11-10T17:51:35.678+01:00La morte di Fidel Castro<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">La morte di Fidel Castro</span></h1>
</div>
<div class="colbox">
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
27 Novembre 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="Castro" height="524" src="https://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3862" width="620" /></div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br />
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è deceduto a Cuba all’età di novant'anni. Suo fratello Raul ha annunciato la scomparsa con un messaggio televisivo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Nel 2006 Fidel Castro ha subito un intervento chirurgico di urgenza;
i conseguenti esiti della patologia lo porteranno a lasciare prima
temporaneamente, poi nel 2008 definitivamente la direzione del potere
politico al fratello Raul Castro, nominato Presidente del Consiglio di
Stato e del Consiglio dei Ministri. Fidel Castro ha comunque mantenuto
un ruolo di indirizzo attraverso i suoi articoli sul Granma, il giornale
del Partito Comunista Cubano, in cui interveniva sui principali eventi
di politica interna e internazionale.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Per circa mezzo secolo Fidel Castro ha occupato la presidenza di
Cuba, nel corso della quale ha suscitato una feroce ostilità da parte
dell’imperialismo (oltre 600 attentati alla sua vita organizzati dalla
CIA), ma anche ammirazione da gran parte delle sinistre mondiali e dei
popoli oppressi per essere riuscito assieme a Che Guevara e Camilo
Cienfuegos a rovesciare, grazie al sostegno delle masse contadine e allo
sciopero generale all’Avana, la dittatura di Fulgencio Batista; per
aver costruito il primo Stato operaio, seppur deformato, a poche miglia
dagli Stati Uniti d’America e, inoltre, per aver guidato la resistenza
contro il 'blocco' e i tentativi di rovesciare il regime uscito dalla
rivoluzione del 1959.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il 'Movimiento 26 de Julio' non aveva un programma socialista, ma di
democrazia borgese progressista. Fidel Castro era infatti un
democratico borghese, e fin dall’inizio ha lottato per mantenere la
borghesia all’interno del governo, ma è stato costretto a rompere con la
borghesia liberale e l’imperialismo. Il carattere socialista della
rivoluzione, infatti, è stato proclamato nel 1961 in risposta alle
provocazioni statunitensi, dopo la sconfitta da parte delle milizie
popolari cubane del tentativo di invasione degli esuli cubani, armati
dall’imperialismo, alla Baia dei Porci.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La rivoluzione aveva spezzato lo Stato borghese, l’esercito di
Batista era stato liquidato, l’esercito ribelle formato da contadini
poveri, braccianti agricoli e operai in armi ha spinto la rivoluzione ad
andare avanti, a procedere nell’espropriazione della borghesia
nazionale, della grande proprietà terriera e del capitale straniero che
controllava l’Isola. Le stesse condizioni materiali, oltre che quelle
politiche, mettevano in evidenza come le rivendicazioni democratiche,
quali la riforma agraria e l’indipendenza nazionale, potevano essere
assicurate solo approfondendo il processo rivoluzionario verso la
rivoluzione socialista.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ma la rivoluzione socialista sarà presto interrotta: Fidel Castro
respinse la proposta di Che Guevara di realizzare un programma di
industrializzazione e di estensione della rivoluzione fuori dall’Isola, e
scelse di allearsi con la burocrazia stalinista dell’URSS facendo
proprio quel modello e applicandolo a Cuba. Il giovane Stato operaio
cubano, privato degli organismi di democrazia proletaria e chiuso
all’interno del perimetro costiero, nasceva deformato.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è stato il capo di un regime bonapartista. Il suo
potere si ergeva su un apparato burocratico che aveva concentrato il
potere in un partito unico e impedito l’emergere di organi di
autogoverno - i soviet - degli operai e dei contadini. Le libertà civili
e democratiche socialiste saranno progressivamente soffocate da parte
di una burocrazia dirigente privilegiata e controrivoluzionaria.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Le tendenze rivoluzionarie - tra le quali i trotskisti cubani - che
avevano partecipato al processo rivoluzionario, sono state duramente
represse.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nel corso dei successivi decenni, attraverso un percorso
contraddittorio, Castro sosterrà, via via: la diffusione della
strategia, burocratica e suicida, della guerriglia in America Latina,
staccando e isolando dalle masse operaie migliaia di giovani e così
favorendo il loro sterminio da parte dell’imperialismo e dei governi
borghesi latinoamericani; la repressione nel sangue della Primavera di
Praga del 1968; il governo di collaborazione di classe di Unità
popolare, in Cile, all’inizio degli anni '70; la rivoluzione "a tappe"
in Nicaragua ("il FSLN non deve creare una nuova Cuba") negli anni ’80;
il regime di Jaruselzky in Polonia nel 1981 e di Erich Honecker nella
Germania Est nel 1989.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Un piano inclinato di sconfitte per il movimento operaio, che si
concluderà con la restaurazione del capitalismo nei paesi del cosiddetto
“socialismo reale”.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Cuba, isolata dal blocco statunitense, privata del sostegno
dell’URSS, attraverserà un periodo difficile, noto come periodo
speciale, di fame e scarsità per le masse operaie e contadine. Nel 1997
il regime cubano apre agli investimenti stranieri e alla creazione di
imprese capitalistiche, senza modifiche sostanziali al regime politico,
mentre intensificava i rapporti con la Chiesa cattolica sanciti l’anno
successivo dalla visita del Papa Karol Wojtyla. Negli ultimi anni di
governo, infine, Fidel Castro ha sostenuto il regime di Chavez e i
governi progressisti dell’America Latina: il cosiddetto socialismo del
XXI secolo, che non ha mai messo in discussione il sistema
capitalistico.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Dopo il suo ritiro dalla politica attiva, Castro, rimasto lucido
fino alla fine, non ha fatto mancare il suo sostegno alla politica,
interna e internazionale, del fratello Raul e della burocrazia
restaurazionista dirigente. Una politica che, grazie al sostegno questa
volta della Chiesa cattolica di Papa Francesco, nel mentre avviava i
negoziati con l’imperialismo statunitense, accelerava all’interno il
processo di restaurazione capitalista e la penetrazione
dell’imperialismo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Da parte nostra, difendiamo e difenderemo le conquiste della
rivoluzione socialista cubana che hanno senza alcun dubbio, dopo
l’espropriazione della borghesia, migliorato significativamente le
condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle masse popolari
dell’Isola, garantendo l’educazione e la salute, la casa e il lavoro.
Proprio per questo, abbiamo sostenuto e sosteniamo la difesa di Cuba da
ogni forma di aggressione imperialista, la fine del blocco e la chiusura
della base imperialista di Guantánamo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Ma non difendiamo il regime burocratico restaurazionista, che rappresenta la casta privilegiata della società cubana.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La classe operaia cubana deve respingere la restaurazione
capitalista portata avanti dalla casta burocratica dirigente di Raul
Castro, costruire il proprio partito rivoluzionario, socialista e
internazionalista, distruggere l’apparato burocratico stalinista e
riprendere il percorso interrotto della costruzione socialista imponendo
il potere dei consigli degli operai, dei contadini e dei soldati.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Questa è l’unica alternativa realmente progressiva, quella proposta
da Trotsky e dalla Quarta Internazionale nel Programma di transizione
del 1938 contro l’infausta prospettiva della restaurazione capitalista
da parte della burocrazia stalinista in URSS.</div>
</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: justify;">
Antonino Marceca</h5>
<div class="colbox">
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-81248067624800932322017-01-02T16:55:00.002+01:002019-11-10T17:51:36.634+01:00<h3 class="title_indiceInternal">
</h3>
<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">La morte di Fidel Castro</span></h1>
</div>
<div class="colbox">
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
27 Novembre 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="Castro" height="524" src="https://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3862" width="620" />
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br />
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è deceduto a Cuba all’età di novant'anni. Suo fratello Raul ha annunciato la scomparsa con un messaggio televisivo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Nel 2006 Fidel Castro ha subito un intervento chirurgico di urgenza;
i conseguenti esiti della patologia lo porteranno a lasciare prima
temporaneamente, poi nel 2008 definitivamente la direzione del potere
politico al fratello Raul Castro, nominato Presidente del Consiglio di
Stato e del Consiglio dei Ministri. Fidel Castro ha comunque mantenuto
un ruolo di indirizzo attraverso i suoi articoli sul Granma, il giornale
del Partito Comunista Cubano, in cui interveniva sui principali eventi
di politica interna e internazionale.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Per circa mezzo secolo Fidel Castro ha occupato la presidenza di
Cuba, nel corso della quale ha suscitato una feroce ostilità da parte
dell’imperialismo (oltre 600 attentati alla sua vita organizzati dalla
CIA), ma anche ammirazione da gran parte delle sinistre mondiali e dei
popoli oppressi per essere riuscito assieme a Che Guevara e Camilo
Cienfuegos a rovesciare, grazie al sostegno delle masse contadine e allo
sciopero generale all’Avana, la dittatura di Fulgencio Batista; per
aver costruito il primo Stato operaio, seppur deformato, a poche miglia
dagli Stati Uniti d’America e, inoltre, per aver guidato la resistenza
contro il 'blocco' e i tentativi di rovesciare il regime uscito dalla
rivoluzione del 1959.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il 'Movimiento 26 de Julio' non aveva un programma socialista, ma di
democrazia borgese progressista. Fidel Castro era infatti un
democratico borghese, e fin dall’inizio ha lottato per mantenere la
borghesia all’interno del governo, ma è stato costretto a rompere con la
borghesia liberale e l’imperialismo. Il carattere socialista della
rivoluzione, infatti, è stato proclamato nel 1961 in risposta alle
provocazioni statunitensi, dopo la sconfitta da parte delle milizie
popolari cubane del tentativo di invasione degli esuli cubani, armati
dall’imperialismo, alla Baia dei Porci.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La rivoluzione aveva spezzato lo Stato borghese, l’esercito di
Batista era stato liquidato, l’esercito ribelle formato da contadini
poveri, braccianti agricoli e operai in armi ha spinto la rivoluzione ad
andare avanti, a procedere nell’espropriazione della borghesia
nazionale, della grande proprietà terriera e del capitale straniero che
controllava l’Isola. Le stesse condizioni materiali, oltre che quelle
politiche, mettevano in evidenza come le rivendicazioni democratiche,
quali la riforma agraria e l’indipendenza nazionale, potevano essere
assicurate solo approfondendo il processo rivoluzionario verso la
rivoluzione socialista.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ma la rivoluzione socialista sarà presto interrotta: Fidel Castro
respinse la proposta di Che Guevara di realizzare un programma di
industrializzazione e di estensione della rivoluzione fuori dall’Isola, e
scelse di allearsi con la burocrazia stalinista dell’URSS facendo
proprio quel modello e applicandolo a Cuba. Il giovane Stato operaio
cubano, privato degli organismi di democrazia proletaria e chiuso
all’interno del perimetro costiero, nasceva deformato.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è stato il capo di un regime bonapartista. Il suo
potere si ergeva su un apparato burocratico che aveva concentrato il
potere in un partito unico e impedito l’emergere di organi di
autogoverno - i soviet - degli operai e dei contadini. Le libertà civili
e democratiche socialiste saranno progressivamente soffocate da parte
di una burocrazia dirigente privilegiata e controrivoluzionaria.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Le tendenze rivoluzionarie - tra le quali i trotskisti cubani - che
avevano partecipato al processo rivoluzionario, sono state duramente
represse.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nel corso dei successivi decenni, attraverso un percorso
contraddittorio, Castro sosterrà, via via: la diffusione della
strategia, burocratica e suicida, della guerriglia in America Latina,
staccando e isolando dalle masse operaie migliaia di giovani e così
favorendo il loro sterminio da parte dell’imperialismo e dei governi
borghesi latinoamericani; la repressione nel sangue della Primavera di
Praga del 1968; il governo di collaborazione di classe di Unità
popolare, in Cile, all’inizio degli anni '70; la rivoluzione "a tappe"
in Nicaragua ("il FSLN non deve creare una nuova Cuba") negli anni ’80;
il regime di Jaruselzky in Polonia nel 1981 e di Erich Honecker nella
Germania Est nel 1989.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Un piano inclinato di sconfitte per il movimento operaio, che si
concluderà con la restaurazione del capitalismo nei paesi del cosiddetto
“socialismo reale”.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Cuba, isolata dal blocco statunitense, privata del sostegno
dell’URSS, attraverserà un periodo difficile, noto come periodo
speciale, di fame e scarsità per le masse operaie e contadine. Nel 1997
il regime cubano apre agli investimenti stranieri e alla creazione di
imprese capitalistiche, senza modifiche sostanziali al regime politico,
mentre intensificava i rapporti con la Chiesa cattolica sanciti l’anno
successivo dalla visita del Papa Karol Wojtyla. Negli ultimi anni di
governo, infine, Fidel Castro ha sostenuto il regime di Chavez e i
governi progressisti dell’America Latina: il cosiddetto socialismo del
XXI secolo, che non ha mai messo in discussione il sistema
capitalistico.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Dopo il suo ritiro dalla politica attiva, Castro, rimasto lucido
fino alla fine, non ha fatto mancare il suo sostegno alla politica,
interna e internazionale, del fratello Raul e della burocrazia
restaurazionista dirigente. Una politica che, grazie al sostegno questa
volta della Chiesa cattolica di Papa Francesco, nel mentre avviava i
negoziati con l’imperialismo statunitense, accelerava all’interno il
processo di restaurazione capitalista e la penetrazione
dell’imperialismo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Da parte nostra, difendiamo e difenderemo le conquiste della
rivoluzione socialista cubana che hanno senza alcun dubbio, dopo
l’espropriazione della borghesia, migliorato significativamente le
condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle masse popolari
dell’Isola, garantendo l’educazione e la salute, la casa e il lavoro.
Proprio per questo, abbiamo sostenuto e sosteniamo la difesa di Cuba da
ogni forma di aggressione imperialista, la fine del blocco e la chiusura
della base imperialista di Guantánamo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Ma non difendiamo il regime burocratico restaurazionista, che rappresenta la casta privilegiata della società cubana.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La classe operaia cubana deve respingere la restaurazione
capitalista portata avanti dalla casta burocratica dirigente di Raul
Castro, costruire il proprio partito rivoluzionario, socialista e
internazionalista, distruggere l’apparato burocratico stalinista e
riprendere il percorso interrotto della costruzione socialista imponendo
il potere dei consigli degli operai, dei contadini e dei soldati.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Questa è l’unica alternativa realmente progressiva, quella proposta
da Trotsky e dalla Quarta Internazionale nel Programma di transizione
del 1938 contro l’infausta prospettiva della restaurazione capitalista
da parte della burocrazia stalinista in URSS.</div>
</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: justify;">
Antonino Marceca</h5>
<div class="colbox">
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-78607497949781211542017-01-02T14:59:00.000+01:002019-11-10T17:51:36.401+01:00<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">La morte di Fidel Castro</span></h1>
</div>
<div class="colbox">
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
27 Novembre 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="Castro" height="524" src="https://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3862" width="620" />
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br />
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è deceduto a Cuba all’età di novant'anni. Suo fratello Raul ha annunciato la scomparsa con un messaggio televisivo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Nel 2006 Fidel Castro ha subito un intervento chirurgico di urgenza;
i conseguenti esiti della patologia lo porteranno a lasciare prima
temporaneamente, poi nel 2008 definitivamente la direzione del potere
politico al fratello Raul Castro, nominato Presidente del Consiglio di
Stato e del Consiglio dei Ministri. Fidel Castro ha comunque mantenuto
un ruolo di indirizzo attraverso i suoi articoli sul Granma, il giornale
del Partito Comunista Cubano, in cui interveniva sui principali eventi
di politica interna e internazionale.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Per circa mezzo secolo Fidel Castro ha occupato la presidenza di
Cuba, nel corso della quale ha suscitato una feroce ostilità da parte
dell’imperialismo (oltre 600 attentati alla sua vita organizzati dalla
CIA), ma anche ammirazione da gran parte delle sinistre mondiali e dei
popoli oppressi per essere riuscito assieme a Che Guevara e Camilo
Cienfuegos a rovesciare, grazie al sostegno delle masse contadine e allo
sciopero generale all’Avana, la dittatura di Fulgencio Batista; per
aver costruito il primo Stato operaio, seppur deformato, a poche miglia
dagli Stati Uniti d’America e, inoltre, per aver guidato la resistenza
contro il 'blocco' e i tentativi di rovesciare il regime uscito dalla
rivoluzione del 1959.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il 'Movimiento 26 de Julio' non aveva un programma socialista, ma di
democrazia borgese progressista. Fidel Castro era infatti un
democratico borghese, e fin dall’inizio ha lottato per mantenere la
borghesia all’interno del governo, ma è stato costretto a rompere con la
borghesia liberale e l’imperialismo. Il carattere socialista della
rivoluzione, infatti, è stato proclamato nel 1961 in risposta alle
provocazioni statunitensi, dopo la sconfitta da parte delle milizie
popolari cubane del tentativo di invasione degli esuli cubani, armati
dall’imperialismo, alla Baia dei Porci.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La rivoluzione aveva spezzato lo Stato borghese, l’esercito di
Batista era stato liquidato, l’esercito ribelle formato da contadini
poveri, braccianti agricoli e operai in armi ha spinto la rivoluzione ad
andare avanti, a procedere nell’espropriazione della borghesia
nazionale, della grande proprietà terriera e del capitale straniero che
controllava l’Isola. Le stesse condizioni materiali, oltre che quelle
politiche, mettevano in evidenza come le rivendicazioni democratiche,
quali la riforma agraria e l’indipendenza nazionale, potevano essere
assicurate solo approfondendo il processo rivoluzionario verso la
rivoluzione socialista.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ma la rivoluzione socialista sarà presto interrotta: Fidel Castro
respinse la proposta di Che Guevara di realizzare un programma di
industrializzazione e di estensione della rivoluzione fuori dall’Isola, e
scelse di allearsi con la burocrazia stalinista dell’URSS facendo
proprio quel modello e applicandolo a Cuba. Il giovane Stato operaio
cubano, privato degli organismi di democrazia proletaria e chiuso
all’interno del perimetro costiero, nasceva deformato.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è stato il capo di un regime bonapartista. Il suo
potere si ergeva su un apparato burocratico che aveva concentrato il
potere in un partito unico e impedito l’emergere di organi di
autogoverno - i soviet - degli operai e dei contadini. Le libertà civili
e democratiche socialiste saranno progressivamente soffocate da parte
di una burocrazia dirigente privilegiata e controrivoluzionaria.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Le tendenze rivoluzionarie - tra le quali i trotskisti cubani - che
avevano partecipato al processo rivoluzionario, sono state duramente
represse.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nel corso dei successivi decenni, attraverso un percorso
contraddittorio, Castro sosterrà, via via: la diffusione della
strategia, burocratica e suicida, della guerriglia in America Latina,
staccando e isolando dalle masse operaie migliaia di giovani e così
favorendo il loro sterminio da parte dell’imperialismo e dei governi
borghesi latinoamericani; la repressione nel sangue della Primavera di
Praga del 1968; il governo di collaborazione di classe di Unità
popolare, in Cile, all’inizio degli anni '70; la rivoluzione "a tappe"
in Nicaragua ("il FSLN non deve creare una nuova Cuba") negli anni ’80;
il regime di Jaruselzky in Polonia nel 1981 e di Erich Honecker nella
Germania Est nel 1989.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Un piano inclinato di sconfitte per il movimento operaio, che si
concluderà con la restaurazione del capitalismo nei paesi del cosiddetto
“socialismo reale”.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Cuba, isolata dal blocco statunitense, privata del sostegno
dell’URSS, attraverserà un periodo difficile, noto come periodo
speciale, di fame e scarsità per le masse operaie e contadine. Nel 1997
il regime cubano apre agli investimenti stranieri e alla creazione di
imprese capitalistiche, senza modifiche sostanziali al regime politico,
mentre intensificava i rapporti con la Chiesa cattolica sanciti l’anno
successivo dalla visita del Papa Karol Wojtyla. Negli ultimi anni di
governo, infine, Fidel Castro ha sostenuto il regime di Chavez e i
governi progressisti dell’America Latina: il cosiddetto socialismo del
XXI secolo, che non ha mai messo in discussione il sistema
capitalistico.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Dopo il suo ritiro dalla politica attiva, Castro, rimasto lucido
fino alla fine, non ha fatto mancare il suo sostegno alla politica,
interna e internazionale, del fratello Raul e della burocrazia
restaurazionista dirigente. Una politica che, grazie al sostegno questa
volta della Chiesa cattolica di Papa Francesco, nel mentre avviava i
negoziati con l’imperialismo statunitense, accelerava all’interno il
processo di restaurazione capitalista e la penetrazione
dell’imperialismo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Da parte nostra, difendiamo e difenderemo le conquiste della
rivoluzione socialista cubana che hanno senza alcun dubbio, dopo
l’espropriazione della borghesia, migliorato significativamente le
condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle masse popolari
dell’Isola, garantendo l’educazione e la salute, la casa e il lavoro.
Proprio per questo, abbiamo sostenuto e sosteniamo la difesa di Cuba da
ogni forma di aggressione imperialista, la fine del blocco e la chiusura
della base imperialista di Guantánamo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Ma non difendiamo il regime burocratico restaurazionista, che rappresenta la casta privilegiata della società cubana.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La classe operaia cubana deve respingere la restaurazione
capitalista portata avanti dalla casta burocratica dirigente di Raul
Castro, costruire il proprio partito rivoluzionario, socialista e
internazionalista, distruggere l’apparato burocratico stalinista e
riprendere il percorso interrotto della costruzione socialista imponendo
il potere dei consigli degli operai, dei contadini e dei soldati.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Questa è l’unica alternativa realmente progressiva, quella proposta
da Trotsky e dalla Quarta Internazionale nel Programma di transizione
del 1938 contro l’infausta prospettiva della restaurazione capitalista
da parte della burocrazia stalinista in URSS.</div>
</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: justify;">
Antonino Marceca</h5>
<div class="colbox">
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-22807953026328357802017-01-02T14:56:00.000+01:002019-11-10T17:51:35.187+01:00<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">La morte di Fidel Castro</span></h1>
</div>
<div class="colbox">
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
27 Novembre 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="Castro" height="524" src="https://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3862" width="620" />
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br />
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è deceduto a Cuba all’età di novant'anni. Suo fratello Raul ha annunciato la scomparsa con un messaggio televisivo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Nel 2006 Fidel Castro ha subito un intervento chirurgico di urgenza;
i conseguenti esiti della patologia lo porteranno a lasciare prima
temporaneamente, poi nel 2008 definitivamente la direzione del potere
politico al fratello Raul Castro, nominato Presidente del Consiglio di
Stato e del Consiglio dei Ministri. Fidel Castro ha comunque mantenuto
un ruolo di indirizzo attraverso i suoi articoli sul Granma, il giornale
del Partito Comunista Cubano, in cui interveniva sui principali eventi
di politica interna e internazionale.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Per circa mezzo secolo Fidel Castro ha occupato la presidenza di
Cuba, nel corso della quale ha suscitato una feroce ostilità da parte
dell’imperialismo (oltre 600 attentati alla sua vita organizzati dalla
CIA), ma anche ammirazione da gran parte delle sinistre mondiali e dei
popoli oppressi per essere riuscito assieme a Che Guevara e Camilo
Cienfuegos a rovesciare, grazie al sostegno delle masse contadine e allo
sciopero generale all’Avana, la dittatura di Fulgencio Batista; per
aver costruito il primo Stato operaio, seppur deformato, a poche miglia
dagli Stati Uniti d’America e, inoltre, per aver guidato la resistenza
contro il 'blocco' e i tentativi di rovesciare il regime uscito dalla
rivoluzione del 1959.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il 'Movimiento 26 de Julio' non aveva un programma socialista, ma di
democrazia borgese progressista. Fidel Castro era infatti un
democratico borghese, e fin dall’inizio ha lottato per mantenere la
borghesia all’interno del governo, ma è stato costretto a rompere con la
borghesia liberale e l’imperialismo. Il carattere socialista della
rivoluzione, infatti, è stato proclamato nel 1961 in risposta alle
provocazioni statunitensi, dopo la sconfitta da parte delle milizie
popolari cubane del tentativo di invasione degli esuli cubani, armati
dall’imperialismo, alla Baia dei Porci.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La rivoluzione aveva spezzato lo Stato borghese, l’esercito di
Batista era stato liquidato, l’esercito ribelle formato da contadini
poveri, braccianti agricoli e operai in armi ha spinto la rivoluzione ad
andare avanti, a procedere nell’espropriazione della borghesia
nazionale, della grande proprietà terriera e del capitale straniero che
controllava l’Isola. Le stesse condizioni materiali, oltre che quelle
politiche, mettevano in evidenza come le rivendicazioni democratiche,
quali la riforma agraria e l’indipendenza nazionale, potevano essere
assicurate solo approfondendo il processo rivoluzionario verso la
rivoluzione socialista.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ma la rivoluzione socialista sarà presto interrotta: Fidel Castro
respinse la proposta di Che Guevara di realizzare un programma di
industrializzazione e di estensione della rivoluzione fuori dall’Isola, e
scelse di allearsi con la burocrazia stalinista dell’URSS facendo
proprio quel modello e applicandolo a Cuba. Il giovane Stato operaio
cubano, privato degli organismi di democrazia proletaria e chiuso
all’interno del perimetro costiero, nasceva deformato.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è stato il capo di un regime bonapartista. Il suo
potere si ergeva su un apparato burocratico che aveva concentrato il
potere in un partito unico e impedito l’emergere di organi di
autogoverno - i soviet - degli operai e dei contadini. Le libertà civili
e democratiche socialiste saranno progressivamente soffocate da parte
di una burocrazia dirigente privilegiata e controrivoluzionaria.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Le tendenze rivoluzionarie - tra le quali i trotskisti cubani - che
avevano partecipato al processo rivoluzionario, sono state duramente
represse.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nel corso dei successivi decenni, attraverso un percorso
contraddittorio, Castro sosterrà, via via: la diffusione della
strategia, burocratica e suicida, della guerriglia in America Latina,
staccando e isolando dalle masse operaie migliaia di giovani e così
favorendo il loro sterminio da parte dell’imperialismo e dei governi
borghesi latinoamericani; la repressione nel sangue della Primavera di
Praga del 1968; il governo di collaborazione di classe di Unità
popolare, in Cile, all’inizio degli anni '70; la rivoluzione "a tappe"
in Nicaragua ("il FSLN non deve creare una nuova Cuba") negli anni ’80;
il regime di Jaruselzky in Polonia nel 1981 e di Erich Honecker nella
Germania Est nel 1989.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Un piano inclinato di sconfitte per il movimento operaio, che si
concluderà con la restaurazione del capitalismo nei paesi del cosiddetto
“socialismo reale”.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Cuba, isolata dal blocco statunitense, privata del sostegno
dell’URSS, attraverserà un periodo difficile, noto come periodo
speciale, di fame e scarsità per le masse operaie e contadine. Nel 1997
il regime cubano apre agli investimenti stranieri e alla creazione di
imprese capitalistiche, senza modifiche sostanziali al regime politico,
mentre intensificava i rapporti con la Chiesa cattolica sanciti l’anno
successivo dalla visita del Papa Karol Wojtyla. Negli ultimi anni di
governo, infine, Fidel Castro ha sostenuto il regime di Chavez e i
governi progressisti dell’America Latina: il cosiddetto socialismo del
XXI secolo, che non ha mai messo in discussione il sistema
capitalistico.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Dopo il suo ritiro dalla politica attiva, Castro, rimasto lucido
fino alla fine, non ha fatto mancare il suo sostegno alla politica,
interna e internazionale, del fratello Raul e della burocrazia
restaurazionista dirigente. Una politica che, grazie al sostegno questa
volta della Chiesa cattolica di Papa Francesco, nel mentre avviava i
negoziati con l’imperialismo statunitense, accelerava all’interno il
processo di restaurazione capitalista e la penetrazione
dell’imperialismo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Da parte nostra, difendiamo e difenderemo le conquiste della
rivoluzione socialista cubana che hanno senza alcun dubbio, dopo
l’espropriazione della borghesia, migliorato significativamente le
condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle masse popolari
dell’Isola, garantendo l’educazione e la salute, la casa e il lavoro.
Proprio per questo, abbiamo sostenuto e sosteniamo la difesa di Cuba da
ogni forma di aggressione imperialista, la fine del blocco e la chiusura
della base imperialista di Guantánamo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Ma non difendiamo il regime burocratico restaurazionista, che rappresenta la casta privilegiata della società cubana.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La classe operaia cubana deve respingere la restaurazione
capitalista portata avanti dalla casta burocratica dirigente di Raul
Castro, costruire il proprio partito rivoluzionario, socialista e
internazionalista, distruggere l’apparato burocratico stalinista e
riprendere il percorso interrotto della costruzione socialista imponendo
il potere dei consigli degli operai, dei contadini e dei soldati.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Questa è l’unica alternativa realmente progressiva, quella proposta
da Trotsky e dalla Quarta Internazionale nel Programma di transizione
del 1938 contro l’infausta prospettiva della restaurazione capitalista
da parte della burocrazia stalinista in URSS.</div>
</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: justify;">
Antonino Marceca</h5>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-21385111316072501302017-01-02T14:52:00.003+01:002019-11-10T17:51:35.022+01:00<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">La morte di Fidel Castro</span></h1>
</div>
<div class="colbox">
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
27 Novembre 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="Castro" height="524" src="https://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3862" width="620" />
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br />
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è deceduto a Cuba all’età di novant'anni. Suo fratello Raul ha annunciato la scomparsa con un messaggio televisivo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Nel 2006 Fidel Castro ha subito un intervento chirurgico di urgenza;
i conseguenti esiti della patologia lo porteranno a lasciare prima
temporaneamente, poi nel 2008 definitivamente la direzione del potere
politico al fratello Raul Castro, nominato Presidente del Consiglio di
Stato e del Consiglio dei Ministri. Fidel Castro ha comunque mantenuto
un ruolo di indirizzo attraverso i suoi articoli sul Granma, il giornale
del Partito Comunista Cubano, in cui interveniva sui principali eventi
di politica interna e internazionale.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Per circa mezzo secolo Fidel Castro ha occupato la presidenza di
Cuba, nel corso della quale ha suscitato una feroce ostilità da parte
dell’imperialismo (oltre 600 attentati alla sua vita organizzati dalla
CIA), ma anche ammirazione da gran parte delle sinistre mondiali e dei
popoli oppressi per essere riuscito assieme a Che Guevara e Camilo
Cienfuegos a rovesciare, grazie al sostegno delle masse contadine e allo
sciopero generale all’Avana, la dittatura di Fulgencio Batista; per
aver costruito il primo Stato operaio, seppur deformato, a poche miglia
dagli Stati Uniti d’America e, inoltre, per aver guidato la resistenza
contro il 'blocco' e i tentativi di rovesciare il regime uscito dalla
rivoluzione del 1959.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il 'Movimiento 26 de Julio' non aveva un programma socialista, ma di
democrazia borgese progressista. Fidel Castro era infatti un
democratico borghese, e fin dall’inizio ha lottato per mantenere la
borghesia all’interno del governo, ma è stato costretto a rompere con la
borghesia liberale e l’imperialismo. Il carattere socialista della
rivoluzione, infatti, è stato proclamato nel 1961 in risposta alle
provocazioni statunitensi, dopo la sconfitta da parte delle milizie
popolari cubane del tentativo di invasione degli esuli cubani, armati
dall’imperialismo, alla Baia dei Porci.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La rivoluzione aveva spezzato lo Stato borghese, l’esercito di
Batista era stato liquidato, l’esercito ribelle formato da contadini
poveri, braccianti agricoli e operai in armi ha spinto la rivoluzione ad
andare avanti, a procedere nell’espropriazione della borghesia
nazionale, della grande proprietà terriera e del capitale straniero che
controllava l’Isola. Le stesse condizioni materiali, oltre che quelle
politiche, mettevano in evidenza come le rivendicazioni democratiche,
quali la riforma agraria e l’indipendenza nazionale, potevano essere
assicurate solo approfondendo il processo rivoluzionario verso la
rivoluzione socialista.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ma la rivoluzione socialista sarà presto interrotta: Fidel Castro
respinse la proposta di Che Guevara di realizzare un programma di
industrializzazione e di estensione della rivoluzione fuori dall’Isola, e
scelse di allearsi con la burocrazia stalinista dell’URSS facendo
proprio quel modello e applicandolo a Cuba. Il giovane Stato operaio
cubano, privato degli organismi di democrazia proletaria e chiuso
all’interno del perimetro costiero, nasceva deformato.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è stato il capo di un regime bonapartista. Il suo
potere si ergeva su un apparato burocratico che aveva concentrato il
potere in un partito unico e impedito l’emergere di organi di
autogoverno - i soviet - degli operai e dei contadini. Le libertà civili
e democratiche socialiste saranno progressivamente soffocate da parte
di una burocrazia dirigente privilegiata e controrivoluzionaria.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Le tendenze rivoluzionarie - tra le quali i trotskisti cubani - che
avevano partecipato al processo rivoluzionario, sono state duramente
represse.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nel corso dei successivi decenni, attraverso un percorso
contraddittorio, Castro sosterrà, via via: la diffusione della
strategia, burocratica e suicida, della guerriglia in America Latina,
staccando e isolando dalle masse operaie migliaia di giovani e così
favorendo il loro sterminio da parte dell’imperialismo e dei governi
borghesi latinoamericani; la repressione nel sangue della Primavera di
Praga del 1968; il governo di collaborazione di classe di Unità
popolare, in Cile, all’inizio degli anni '70; la rivoluzione "a tappe"
in Nicaragua ("il FSLN non deve creare una nuova Cuba") negli anni ’80;
il regime di Jaruselzky in Polonia nel 1981 e di Erich Honecker nella
Germania Est nel 1989.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Un piano inclinato di sconfitte per il movimento operaio, che si
concluderà con la restaurazione del capitalismo nei paesi del cosiddetto
“socialismo reale”.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Cuba, isolata dal blocco statunitense, privata del sostegno
dell’URSS, attraverserà un periodo difficile, noto come periodo
speciale, di fame e scarsità per le masse operaie e contadine. Nel 1997
il regime cubano apre agli investimenti stranieri e alla creazione di
imprese capitalistiche, senza modifiche sostanziali al regime politico,
mentre intensificava i rapporti con la Chiesa cattolica sanciti l’anno
successivo dalla visita del Papa Karol Wojtyla. Negli ultimi anni di
governo, infine, Fidel Castro ha sostenuto il regime di Chavez e i
governi progressisti dell’America Latina: il cosiddetto socialismo del
XXI secolo, che non ha mai messo in discussione il sistema
capitalistico.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Dopo il suo ritiro dalla politica attiva, Castro, rimasto lucido
fino alla fine, non ha fatto mancare il suo sostegno alla politica,
interna e internazionale, del fratello Raul e della burocrazia
restaurazionista dirigente. Una politica che, grazie al sostegno questa
volta della Chiesa cattolica di Papa Francesco, nel mentre avviava i
negoziati con l’imperialismo statunitense, accelerava all’interno il
processo di restaurazione capitalista e la penetrazione
dell’imperialismo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Da parte nostra, difendiamo e difenderemo le conquiste della
rivoluzione socialista cubana che hanno senza alcun dubbio, dopo
l’espropriazione della borghesia, migliorato significativamente le
condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle masse popolari
dell’Isola, garantendo l’educazione e la salute, la casa e il lavoro.
Proprio per questo, abbiamo sostenuto e sosteniamo la difesa di Cuba da
ogni forma di aggressione imperialista, la fine del blocco e la chiusura
della base imperialista di Guantánamo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Ma non difendiamo il regime burocratico restaurazionista, che rappresenta la casta privilegiata della società cubana.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La classe operaia cubana deve respingere la restaurazione
capitalista portata avanti dalla casta burocratica dirigente di Raul
Castro, costruire il proprio partito rivoluzionario, socialista e
internazionalista, distruggere l’apparato burocratico stalinista e
riprendere il percorso interrotto della costruzione socialista imponendo
il potere dei consigli degli operai, dei contadini e dei soldati.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Questa è l’unica alternativa realmente progressiva, quella proposta
da Trotsky e dalla Quarta Internazionale nel Programma di transizione
del 1938 contro l’infausta prospettiva della restaurazione capitalista
da parte della burocrazia stalinista in URSS.</div>
</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: justify;">
Antonino Marceca</h5>
<div class="colbox">
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-81992509096283459322017-01-02T14:48:00.002+01:002019-11-10T17:51:36.732+01:00<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
La morte di Fidel Castro</h1>
</div>
<div class="colbox">
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
27 Novembre 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="Castro" height="524" src="https://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3862" width="620" />
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br />
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è deceduto a Cuba all’età di novant'anni. Suo fratello Raul ha annunciato la scomparsa con un messaggio televisivo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Nel 2006 Fidel Castro ha subito un intervento chirurgico di urgenza;
i conseguenti esiti della patologia lo porteranno a lasciare prima
temporaneamente, poi nel 2008 definitivamente la direzione del potere
politico al fratello Raul Castro, nominato Presidente del Consiglio di
Stato e del Consiglio dei Ministri. Fidel Castro ha comunque mantenuto
un ruolo di indirizzo attraverso i suoi articoli sul Granma, il giornale
del Partito Comunista Cubano, in cui interveniva sui principali eventi
di politica interna e internazionale.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Per circa mezzo secolo Fidel Castro ha occupato la presidenza di
Cuba, nel corso della quale ha suscitato una feroce ostilità da parte
dell’imperialismo (oltre 600 attentati alla sua vita organizzati dalla
CIA), ma anche ammirazione da gran parte delle sinistre mondiali e dei
popoli oppressi per essere riuscito assieme a Che Guevara e Camilo
Cienfuegos a rovesciare, grazie al sostegno delle masse contadine e allo
sciopero generale all’Avana, la dittatura di Fulgencio Batista; per
aver costruito il primo Stato operaio, seppur deformato, a poche miglia
dagli Stati Uniti d’America e, inoltre, per aver guidato la resistenza
contro il 'blocco' e i tentativi di rovesciare il regime uscito dalla
rivoluzione del 1959.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il 'Movimiento 26 de Julio' non aveva un programma socialista, ma di
democrazia borgese progressista. Fidel Castro era infatti un
democratico borghese, e fin dall’inizio ha lottato per mantenere la
borghesia all’interno del governo, ma è stato costretto a rompere con la
borghesia liberale e l’imperialismo. Il carattere socialista della
rivoluzione, infatti, è stato proclamato nel 1961 in risposta alle
provocazioni statunitensi, dopo la sconfitta da parte delle milizie
popolari cubane del tentativo di invasione degli esuli cubani, armati
dall’imperialismo, alla Baia dei Porci.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La rivoluzione aveva spezzato lo Stato borghese, l’esercito di
Batista era stato liquidato, l’esercito ribelle formato da contadini
poveri, braccianti agricoli e operai in armi ha spinto la rivoluzione ad
andare avanti, a procedere nell’espropriazione della borghesia
nazionale, della grande proprietà terriera e del capitale straniero che
controllava l’Isola. Le stesse condizioni materiali, oltre che quelle
politiche, mettevano in evidenza come le rivendicazioni democratiche,
quali la riforma agraria e l’indipendenza nazionale, potevano essere
assicurate solo approfondendo il processo rivoluzionario verso la
rivoluzione socialista.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ma la rivoluzione socialista sarà presto interrotta: Fidel Castro
respinse la proposta di Che Guevara di realizzare un programma di
industrializzazione e di estensione della rivoluzione fuori dall’Isola, e
scelse di allearsi con la burocrazia stalinista dell’URSS facendo
proprio quel modello e applicandolo a Cuba. Il giovane Stato operaio
cubano, privato degli organismi di democrazia proletaria e chiuso
all’interno del perimetro costiero, nasceva deformato.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Fidel Castro è stato il capo di un regime bonapartista. Il suo
potere si ergeva su un apparato burocratico che aveva concentrato il
potere in un partito unico e impedito l’emergere di organi di
autogoverno - i soviet - degli operai e dei contadini. Le libertà civili
e democratiche socialiste saranno progressivamente soffocate da parte
di una burocrazia dirigente privilegiata e controrivoluzionaria.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Le tendenze rivoluzionarie - tra le quali i trotskisti cubani - che
avevano partecipato al processo rivoluzionario, sono state duramente
represse.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nel corso dei successivi decenni, attraverso un percorso
contraddittorio, Castro sosterrà, via via: la diffusione della
strategia, burocratica e suicida, della guerriglia in America Latina,
staccando e isolando dalle masse operaie migliaia di giovani e così
favorendo il loro sterminio da parte dell’imperialismo e dei governi
borghesi latinoamericani; la repressione nel sangue della Primavera di
Praga del 1968; il governo di collaborazione di classe di Unità
popolare, in Cile, all’inizio degli anni '70; la rivoluzione "a tappe"
in Nicaragua ("il FSLN non deve creare una nuova Cuba") negli anni ’80;
il regime di Jaruselzky in Polonia nel 1981 e di Erich Honecker nella
Germania Est nel 1989.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Un piano inclinato di sconfitte per il movimento operaio, che si
concluderà con la restaurazione del capitalismo nei paesi del cosiddetto
“socialismo reale”.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Cuba, isolata dal blocco statunitense, privata del sostegno
dell’URSS, attraverserà un periodo difficile, noto come periodo
speciale, di fame e scarsità per le masse operaie e contadine. Nel 1997
il regime cubano apre agli investimenti stranieri e alla creazione di
imprese capitalistiche, senza modifiche sostanziali al regime politico,
mentre intensificava i rapporti con la Chiesa cattolica sanciti l’anno
successivo dalla visita del Papa Karol Wojtyla. Negli ultimi anni di
governo, infine, Fidel Castro ha sostenuto il regime di Chavez e i
governi progressisti dell’America Latina: il cosiddetto socialismo del
XXI secolo, che non ha mai messo in discussione il sistema
capitalistico.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Dopo il suo ritiro dalla politica attiva, Castro, rimasto lucido
fino alla fine, non ha fatto mancare il suo sostegno alla politica,
interna e internazionale, del fratello Raul e della burocrazia
restaurazionista dirigente. Una politica che, grazie al sostegno questa
volta della Chiesa cattolica di Papa Francesco, nel mentre avviava i
negoziati con l’imperialismo statunitense, accelerava all’interno il
processo di restaurazione capitalista e la penetrazione
dell’imperialismo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Da parte nostra, difendiamo e difenderemo le conquiste della
rivoluzione socialista cubana che hanno senza alcun dubbio, dopo
l’espropriazione della borghesia, migliorato significativamente le
condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle masse popolari
dell’Isola, garantendo l’educazione e la salute, la casa e il lavoro.
Proprio per questo, abbiamo sostenuto e sosteniamo la difesa di Cuba da
ogni forma di aggressione imperialista, la fine del blocco e la chiusura
della base imperialista di Guantánamo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Ma non difendiamo il regime burocratico restaurazionista, che rappresenta la casta privilegiata della società cubana.
</div>
<div style="text-align: justify;">
La classe operaia cubana deve respingere la restaurazione
capitalista portata avanti dalla casta burocratica dirigente di Raul
Castro, costruire il proprio partito rivoluzionario, socialista e
internazionalista, distruggere l’apparato burocratico stalinista e
riprendere il percorso interrotto della costruzione socialista imponendo
il potere dei consigli degli operai, dei contadini e dei soldati.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Questa è l’unica alternativa realmente progressiva, quella proposta
da Trotsky e dalla Quarta Internazionale nel Programma di transizione
del 1938 contro l’infausta prospettiva della restaurazione capitalista
da parte della burocrazia stalinista in URSS.</div>
</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: justify;">
Antonino Marceca</h5>
<div class="colbox">
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-59063518629443753602016-12-10T14:53:00.000+01:002016-12-10T14:53:20.669+01:00<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">La disfatta del renzismo</span></h1>
</div>
<div class="colbox">
<h2 class="stitle_paginaArt">
Per una soluzione di classe alla crisi della Repubblica</h2>
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
5 Dicembre 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFmE5BL98GXHcb3MVnyArnbGL8gIUCqcCApd8pFSPXE1IYvbvNDXTLccLN-TzoSbSZR7TRqYnUirs05arOJfF667odca-PT5_VnB0LWa5zx_LHIwVWSkRcfoIiCOOiPwK7DCy_HfBI3iCk/s1600/Renzie.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFmE5BL98GXHcb3MVnyArnbGL8gIUCqcCApd8pFSPXE1IYvbvNDXTLccLN-TzoSbSZR7TRqYnUirs05arOJfF667odca-PT5_VnB0LWa5zx_LHIwVWSkRcfoIiCOOiPwK7DCy_HfBI3iCk/s320/Renzie.jpg" width="320" /></a></div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br />
<br />
Il renzismo ha consumato una autentica disfatta.
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
La combinazione dell'altissima partecipazione al voto (70%) con la
valanga del No (quasi il 60%) offre un'indicazione inequivoca. Il
plebiscito della maggioranza silenziosa che Renzi aveva invocato per sé
si è capovolto contro di lui e il suo governo. La tendenziale omogeneità
della vittoria del No sull'intero territorio nazionale (con la parziale
eccezione toscana) rafforza l'imponenza del pronunciamento.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il populismo di governo e il suo progetto bonapartista conoscono una
sconfitta senza ritorno. Il tentativo di sfondamento nell'elettorato di
centrodestra nel nome della stabilità politica contro il salto nel
buio; il tentativo di incursione nell'elettorato grillino e leghista nel
nome del taglio delle poltrone e dei politici contro la casta; la
pioggia parallela di mancette elettorali e richiami clientelari nella
legge di stabilità; l'occupazione, infine, a reti unificate dei canali
della comunicazione pubblica, hanno tutti mancato nel loro insieme il
proprio obiettivo. Non è colpa dello spartito in sé, ma del suo
interprete. Il renzismo arrivava alla prova decisiva del referendum
istituzionale in uno stato di profonda crisi di consenso, registrata da
tutti i pronunciamenti elettorali dei due ultimi anni. Una crisi
apertasi a partire dallo scontro sociale su Jobs Act e Buona scuola, e
poi approfonditasi nella fase successiva. La disfatta referendaria ha
confermato e pesantemente aggravato questa crisi.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La disfatta del renzismo e del suo progetto bonapartista è un fatto
straordinariamente positivo. Tanto quanto una sua vittoria sarebbe stata
catastrofica per i lavoratori. Ma ciò non significa che il
pronunciamento di massa del No abbia una valenza politica uniforme. I
blocchi sociali interclassisti del populismo di opposizione hanno
sostanzialmente tenuto nei propri riferimenti politici, sommandosi
contro il governo. Ha tenuto massicciamente il blocco sociale della Lega
, come emerge dal voto veneto. Ha tenuto il grosso dell'elettorato di
Forza Italia attorno al richiamo di un pur indebolito Berlusconi. Ha
tenuto il grosso dell'elettorato grillino, come emerge dal voto nel Sud,
a Roma, a Torino. Su questo versante il No ha avuto il marchio di una
“pancia di destra”. Ma parallelamente si è espresso contro Renzi un
settore di classe lavoratrice legato alla tradizione della sinistra
politica e sindacale, nelle sue diverse articolazioni e organizzazioni
(CGIL, FIOM, sindacati di base...), e attorno ad esso il grosso di un
popolo della sinistra segnato da una cultura democratica e
costituzionale con i suoi riferimenti portanti (ANPI): un settore di
classe e un popolo compositi che hanno affollato in tante parti d'Italia
le iniziative dei comitati del No, con livelli di partecipazione e
coinvolgimento spesso sorprendenti. Questo è il versante progressivo del
pronunciamento anti-Renzi. Il versante che può e deve assumersi ora la
responsabilità di una propria risposta e di una propria soluzione alla
crisi politica e istituzionale che la disfatta di Renzi ha aperto.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La disfatta del renzismo segna la sconfitta della Seconda
Repubblica. La Riforma costituzionale Renzi-Boschi non era solo il
progetto bonapartista dell'uomo solo al comando. Era anche, perciò
stesso, l'atteso completamento del lungo processo di riforma
istituzionale che dai primi anni Novanta ha investito gli assetti
politici e istituzionali della Repubblica, a partire dai comuni e dalle
Regioni. Un processo di progressiva costituzionalizzazione di governi di
minoranza, grazie al combinato di leggi maggioritarie e potenziamento
degli esecutivi. Un processo funzionale allo sviluppo dell'aggressione
sociale ai lavoratori e alla lavoratrici, allo smantellamento
progressivo dei loro diritti e conquiste, a vantaggio dei profitti
padronali e nel quadro dei vincoli UE. Riforma Boschi e Italicum
dovevano completare e chiudere la transizione alla Seconda Repubblica,
col plauso di tutto il grande capitale, interno e internazionale.
Proprio per questo la disfatta di Renzi non è solo la sconfitta di un
aspirante Bonaparte. È anche la sconfitta di un lungo corso politico
istituzionale.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Per questa stessa ragione il movimento operaio deve porsi
all'altezza della crisi che ora si è aperta e indicare la propria
soluzione. Autonoma, di classe, totalmente alternativa e contrapposta a
quelle prospettate dagli altri soggetti del campo del No.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La crisi politica e istituzionale che si è aperta vede in campo, da
protagonisti, diversi avversari della classe lavoratrice. La presidenza
della Repubblica cercherà di incardinare una soluzione di governo che
regga la pressione del capitale finanziario, tamponi la crisi delle
banche, conduca in porto una legge di stabilità che regala altri 20
miliardi a imprese e banche, gestisca il negoziato nella UE, istruisca
in un parlamento assai più instabile una nuova legge elettorale che
garantisca “governabilità” (antioperaia). Non sarà facile. Intanto, sul
fronte del No ogni soggetto dispiega il suo gioco. Ma sempre contro i
lavoratori. La Lega di Salvini punta alla rapida scalata del
centrodestra con un messaggio trumpista e lepenista, fondato su caccia
ai migranti e nazionalismo antieuropeo. Berlusconi punta a recuperare
uno spazio negoziale col PD indebolito su legge elettorali, riforma
istituzionale, ulteriore detassazione delle imprese. Il M5S invoca
elezioni subito, in compagnia della Lega, per provare a capitalizzare a
proprio vantaggio la spinta del No, conquistare il potere, e affermare
il proprio disegno di Repubblica plebiscitaria via web, che contrappone
reddito di cittadinanza alla ripartizione del lavoro, punta
all'abolizione dell'Irap, solletica gli umori xenofobi e nazionalisti.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il movimento operaio non ha nulla a che spartire con questi disegni,
tutti mirati contro i suoi interessi sociali. Tutti interessati a
costruire sulle rovine del renzismo diverse soluzioni reazionarie.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Al contrario. Di fronte alla bancarotta della Seconda Repubblica, si
tratta di battersi per una soluzione operaia della crisi. Una soluzione
che volti finalmente pagina. Che chiami in causa le classi dirigenti
del Paese, tutti i loro poteri e tutti i loro partiti. Che rivendichi la
cancellazione delle leggi antioperaie di trent'anni, a partire dal Jobs
Act e Buona scuola. Che ponga al centro dello scontro le ragioni di
classe del lavoro, contro ogni loro subordinazione al capitale. Che
rivendichi il diritto alla piena rappresentanza proporzionale di queste
ragioni, contro ogni loro subordinazione alla governabilità del sistema.
È la prospettiva di una repubblica dei lavoratori, basata sulla loro
forza e la loro organizzazione. L'unica che possa abolire il debito
pubblico verso le banche e nazionalizzarle, espropriare i capitalisti
che licenziano ed inquinano, ripartire tra tutti il lavoro attraverso
una riduzione generale e progressiva dell'orario di lavoro a parità di
paga, cancellare le leggi di precarizzazione del lavoro, sviluppare un
grande piano di nuovo lavoro, a partire dal riassetto idrogeologico del
territorio e la messa in sicurezza antisismica dell'intero patrimonio
edilizio pubblico e privato. Nessuna di queste misure è rinunciabile.
Nessuna di esse può essere realizzata dagli avversari dei lavoratori,
dentro il quadro capitalistico, dentro la UE. Solo una rottura
anticapitalista, solo un governo dei lavoratori può realizzarle.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Proponiamo il più ampio fronte unico di lotta del movimento operaio e
delle sue organizzazioni attorno a questo programma indipendente, e a
questa autonoma prospettiva politica. E dentro questa prospettiva
diciamo con chiarezza che vanno archiviati e respinti gli accordi
sindacali a perdere siglati dalla burocrazia sindacale alla vigilia del
referendum istituzionale, nel settore privato (metalmeccanici) come nel
settore pubblico (pubblico impiego) come nei servizi (igiene
ambientale). Regali al padronato per scalare la segreteria CGIL
(Landini), regali al governo per compiacere l'unità con la CISL
renziana. Regali da revocare, subito, a partire dal No delle assemblee
dei lavoratori. Il No a Renzi diventi il No di classe del mondo del
lavoro a decenni di sacrifici e umiliazioni. Ora basta. È l'ora di
costruire una riscossa. È ora di ripartire da una piattaforma di lotta
unificante, da una vertenza generale che l'accompagni, da una
mobilitazione prolungata che l'imponga.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il PCL si batte e si batterà come sempre in ogni lotta per aprire questa pagina nuova.</div>
</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: justify;">
Partito Comunista dei Lavoratori</h5>
<div class="colbox">
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-3167996477808184152016-11-03T14:19:00.000+01:002016-11-03T14:19:17.240+01:00
<h3 class="western">
<span style="color: red;">Quarta Internazionale</span></h3>
<h1 class="western">
La voce del <span style="color: red;">marxismo rivoluzionario</span> al Social
Forum dell'Europa centrale e orientale</h1>
<h5 class="western">
5 Luglio 2016</h5>
Proponiamo la traduzione in italiano del <a href="http://redmed.org/article/voice-revolutionary-marxism-heard-social-forum-central-and-eastern-europe">resconto
pubblicato su redmed riguardo il Social Forum dell'Europa centrale e
orientale</a>.<br />
Durante il Social Forum dell'Europa centrale e orientale, che si è
tenuto a Breslavia (Polonia) tra l'11 e il 13 marzo, si è fatta
sentire di nuovo la voce del marxismo in questa regione, dove sono
stati al potere per quasi cinquant'anni degli stati operai
burocratizzati. Ma questa volta il marxismo non è stato
rappresentato dallo stalinismo, bensì dal marxismo rivoluzionario.
<br />
<div align="justify">
A Breslavia, la quarta più grande città polacca,
il forum è incominciato con l'evento d'apertura dell'11 marzo.
Insieme ai paesi centro-orientali come Polonia, Russia, Bielorussia,
Ucraina, Germania, Repubblica Ceca e Ungheria, sono stati
rappresentati vari paesi balcanici, Hong Kong, gli Usa e persino il
Camerun . Anche il Partito dei Lavoratori Rivoluzionari (DIP) e il
nostro partito fratello, l'EEK (il Partito Rivoluzionario dei
Lavoratori), sezione greca del CRQI (Il Coordinamento per la
Rifondazione della Quarta Internazionale), erano fra i partecipanti.</div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
<strong>L'incontro inaugurale</strong></div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
All'incontro inaugurale l'economista marxista
franco-egiziano Samir Amin, direttore del “Third World Forum”, ha
tenuto il primo intervento via Skype. Ha discusso dell'importanza
della lotta dei movimenti sociali. Dopo Amin, Kontantina Kouneva,
parlamentare europea, ha preso la parola. Anii fa, Kuneva è stata
attaccata da un assalito diretto dai padroni mentre stava
organizzando la sindacalizzazione degli addetti alle pulizie in
Grecia, dove lavorava come rifugiata bulgara. Ha indicato come le
rivoluzioni arabe stessero rifluendo a casa dell'intervento
imperialista, e di come l'UE attraversi una profonda crisi. Ha
sottolineato poi come l'UE sia su un terreno scivoloso per quanto
riguarda la cosiddetta “Brexit” e la sospensione di fatto di
Schengen. Secondo Kouneva, si è stabilito su tutta l'UE un
“equilibrio del terrore” con l'ascesa del fascismo e di politiche
di destra da una parte, e l'ascesa della sinistra dall'altra.</div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
Mazin Qumsiyeh, scienziato palestinese e direttore
del Museo di Storia Naturale della Palestina, ha parlato via Skype,
dal momento che lo Stato polacco gli ha negato il visto. Ha descritto
le sfide che il popolo palestinese ha affrontato sin dalla Nakba. Ha
affermato che il sionismo sia destinato alla sconfitto, come successo
al nazismo e all'apartheid, perché contrario alla natura umana.
Ponendo l'enfasi sull'importanza della comunità internazionale nella
lotta contro il sionismo, ha invitato tutti i partecipanti a unirsi
al Movimento BDS (Boicotta, Disinvesti, Sanziona): il DIP (Partito
Rivoluzionario dei Lavoratori) partecipa attivamente nel BDS turco.</div>
<div align="justify">
Michael Collon, giornalista e scrittore belga, ha
affermato che le tesi del “nuovo ordine mondiale” e della “fine
della storia” sono collassate, e che le guerre imperialiste di oggi
si presentano come proxy wars [guerre per interposta persona].
L'ultimo oratore è stato un rappresentante dell'ANAC (American
National Anti-War Coalition) [Coalizione Nazionale Americana contro
la Guerra]. Ha affermato che gli USA si trovano alla radice di ogni
problema della regione, dalla crisi economica alla crisi dei
profughi, e che la loro organizzazione stia combattendo contro tutte
le guerre che gli USA conducono. Dopo il concerto ad opera di un
partecipante bulgaro, la prima giornata del forum è terminata.</div>
<div align="justify">
<br />
<br />
</div>
<strong>Diversità del forum</strong><br />
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
<strong><span style="font-weight: normal;">Durante
i due giorni seguenti si sono tenute numerose sessioni plenarie e
seminari su svariati temi. Tra i temi discussi ci sono stati la
militarizzazione dell'Europa centro-orientale, il ruolo della NATO,
la crescita del nazionalismo e del fascismo nella regione,
l'interazione del femminismo con altre lotte sociali, le conseguenze
negative del collasso degli stati operai burocratizzati, la
periferizzazione dell'Europa orientale, le lotte dei lavoratori,
sindacali e dei movimenti sociali, la reazione </span></strong><strong><span style="font-weight: normal;">dell'Europa</span></strong><strong><span style="font-weight: normal;">
orientale all'influsso dei rifugiati/immigrati, così come le lotte
imminenti e la questione del programma politico. Lo scopo delle
sessioni era sollevare coscienza politica in Europa orientale e sul
programma della Federazione Balcanica.</span></strong></div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
Il culmine della prima sessione, dedicata alle
politiche volte alla sottomissione dell'Europa orientale all'UE e
alla NATO, è stato il discorso sul Massacro di Odessa. In questo
orrendo macello accaduto il 2 maggio 2014, circa due mesi dopo i
fatti di Maidan, dei fascisti hanno ucciso 44 militanti di sinistra
dando fuoco alla casa del sindacato a Odessa, in Ucraina. Questo
massacro è stato un emblema dell'emergere della reazione e del
fascismo in Europa orientale. Regimi oppressivi, proprio come quello
che l'AKP sta cercando di stabilire in Turchia, si sono consolidati
in Ungheria e in Polonia. Oltre a JobbiK, il partito dichiaratamente
nazista secondo alle recenti elezioni ungheresi, nei giorni di
svolgimento del forum un partito filo-nazista in Slovacchia ha
ottenuto circa il 10% dei voti.</div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
In ogni caso, il progetto imperialista di
conquista dell'Europa orientale fronteggia profonde contraddizioni.
L'espressione più chiara di ciò è il fatto che lo sforzo dell'UE
per accaparrarsi l'Ucraina ha portato a una guerra civile in quel
paese. Le due “repubbliche popolai” proclamate a Donetsk e
Lugansk sono state tra i temi più dibattuti nel dettaglio durante la
sessione. Yuri Shanin ha partecipato via Skype dall'Ucraina nella
sessione riguardante l'espansione dell'UE e della NATO.</div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
<strong>Il collasso degli Stati operai
burocratizzati</strong></div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify" style="font-weight: normal;">
<span style="font-family: Liberation Serif, serif;"><span style="font-size: small;">Una
delle sessioni più produttive del forum è stata quella riguardo il
collasso degli stati operai burocratizzati i quali hanno dominato per
più di quarant'anni l'Europa orientale e i Balcani, e riguardo le
conseguenze del loro collasso. Molte degli interventi di questa
sessione sono stati eccezionali. Oltre ai due oratori polacchi,
oratori dall'Ungheria, dalla Slovenia, dalla Bielorussia e dalla
Bulgaria hanno illustrato il processo nei rispettivi paesi nel
dettaglio.</span></span></div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify" style="font-weight: normal;">
<span style="font-family: Liberation Serif, serif;"><span style="font-size: small;">È
utile riportare alcuni dei punti in comune di questi interventi.
Tutti gli oratori, al contrario di ciò che sostengono la borghesia e
i rinnegati ex-stalinisti, hanno affermato che durante il periodo
degli stati operai burocratizzati l'infrastruttura industriale si è
rafforzata e, ancor più importante, che quel periodo fosse
inequivocabilmente superiore alla situazione attuale per quanto
riguarda i diritti sociali. Hanno spiegato come la povertà sia in
aumento in seno alla classe operaia e alle classi sfruttate, così
come la disoccupazione in questi paesi, dai quali era sparita per
mezzo secolo; le ineguaglianze e altri mali del capitalismo sono
emersi dopo il collasso degli stati operai burocratizzati.</span></span></div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify" style="font-weight: normal;">
<span style="font-family: Liberation Serif, serif;"><span style="font-size: small;">In
ogni caso, i discorsi hanno registrato una mancanza notevole. La
degenerazione burocratica degli Stati operai, che ha portato alla
restaurazione del capitalismo e alla ricostituzione della classe
capitalista da parte della burocrazia, non è stata affrontata dai
relatori. Questa è una delle ragioni per cui un dialogo tra il
marxismo rivoluzionario e gli intellettuali di queste società è di
importanza vitale.</span></span></div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
<strong>La lotta per l'emancipazione delle donne</strong></div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
Parallelamente alla sezione sul collasso degli
Stati operai burocratizzati, si è tenuta una sessione
sull'interazione del femminismo con altre lotte sociale. Oltre agli
oratori dalla Tunisia, dalla Polonia e dalla Bielorussia, la nostra
compagna Armagan ha tenuto un discorso in nome del Partito
Rivoluzionario dei Lavoratori [Turchia]. La nostra compagna,
riferendosi alla lotta delle donne in Turchia e in Kurdistan, ha
illustrato le necessarie forme di lotta e ha denunciato l'assalto al
lavoro femminile, illustrando come la nuova legislazione relativa ai
contratti occasionali e alla maternità rendono il lavoro femminile
più flessibile e precario. Ha descritto le politiche sessiste e
oppressive del governo AKP sulla vita e sui corpi delle donne, e ha
trattato la lotta che sta montando contro queste politiche. La
compagna ha spigato che la guerra non è una semplice minaccia contro
le vite delle donne: le donne hanno sempre pagato il prezzo più alto
nel corso della guerra. Ha sottolineato l'orrenda diffusione della
violenza contro le donne, e l'importanza della costituzione di
organizzazioni di autodifesa. Ha aggiunto che la collera delle donne
contro tutte queste aggressioni si è manifestata nella rivolta
popolare in seguito a “Gezi Park” e alla lotta delle donne kurde.
La compagna ha affermato che l'emancipazione contro il capitalismo a
dominazione maschile e contro la barbarie prodotta dai governi
reazionari del Medio Oriente può essere ottenuta solo sotto la
direzione delle donne proletarie. La sessione di dibattito seguente
si è concentrata sul discorso della nostra compagna: quasi tutte le
domande sono state indirizzate a lei. Dunque, su suggerimento degli
altri oratori, la compagna ha tenuto un secondo discorso di quindici
minuti per rispondere alle questione e per presentare così nel
dettaglio la sua prospettiva.</div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
<strong>Emancipazione con i rifugiati, non dai
rifugiati!</strong></div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
Una delle due sessioni parallele della mattina
dell'ultimo giorno del Social Forum verteva sulla lotta antifascista
e antirazzista nel contesto della questione dei rifugiati. In questa
sessione, l'ungherese Matyas Benyik si è concentrato sull'ascesa del
partito apertamente nazista Jobbik, e sulla minaccia che queste
condizioni politiche costituiscono per i rifugiati. La slovacca
Tatyana Ondzikowa ha fatto notare come il governo della Slovacchia
sia ostile verso i rifugiati e abbia accettato solo quattro domande
d'asilo. Ha detto che lei e la sua organizzazioni stavano conducendo
attività solidali coi rifugiati, dal sostegno psicologico a campagne
di raccolta fondi. Hermann Dworczak, dall'Austria, ha attirato
l'attenzione verso l'ascesa dei partiti fascisti in Europa,
affermando anche la necessità di campagne di solidarietà con i
rifugiati. Ha affermato che in Austria è stata organizzata una
dimostrazione di sessantamila persone in solidarietà ai rifugiati.
Ha rimarcato poi il bisogno di un'iniziativa comune in tutta Europa,
suggerendo la possibilità di una conferenza sulla questione dei
rifugiati.</div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
L'ultima oratrice della sessione di questa
sessione è stata Armagan, del DIP turco: ha sottolineato la sua
provenienza da un paese dove 800 persone sono morte nel giro di un
anno mentre tentavano di lasciarlo per sbarcare in Grecia. Ha
spiegato che proprio questa è la tragedia della società
capitalista. Ha descritto l'impatto della guerra civile siriana
sull'attuale crisi dei rifugiati e sull'abominevole ruolo giocato dal
governo AKP e da Erdogan in questa guerra. Ha dichiarato che i
rifgiati siriani stanno vivendo e lavorando in condizioni atroci in
Turchia, e che questo li ha portati a tentare ogni possibile via per
raggiungere l'Europa. Ha spiegato come l'AKP stia usando gli oltre
due milioni di rifugiati in Turchia per ricattare l'UE, e di come il
destino di milioni di persone venga usato come un asso da giocare
nelle trattative segrete tra gli imperialismi dell'UE e l'AKP.</div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
La nostra compagna ha indicato la necessità di
connettere le rivendicazioni immediate dei rifugiati, la lotta
antifascista e antirazzista con la lotta per il socialismo: fino a
che il capitalismo imperialista sussiste, non c'è soluzione reale
alla crisi dei rifugiati. Ha concluso dicendo che solo il trionfo
mondiale del socialismo risolverebbe il problema, e che quando verrà
questo giorno, i popoli viaggeranno non per necessità ma per
esplorare nuove e diverse culture di un mondo senza guerre, senza
sfruttamento, senza confini e senza classi.</div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
<strong>Dibattito sulla prospettiva futura</strong></div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
In generale, diverse sessioni parallele si sono
tenute contemporaneamente. Ci sono state unicamente due sessioni
plenarie a fine giornata, una il sabato un'altra la domenica. La
seconda è stata opportunamente dedicata alla strategia della lotta.
Ma il tema non è stato affrontato globalmente così come meritava.</div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
La discussione cruciale ha avuto luogo alla
sessione plenaria di sabato: la prospettiva per il futuro è stata
discussa in questa sessione. La caratteristica principale di questa
sessione è consistita nel non limitarsi all'Europa orientale,
nell'estendersi all'Europa occidentale, al Mediterraneo, al Medio
Oriente e persino all'Africa, con una ricca prospettiva
internazionalista.</div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
Il primo oratore di questa sessione è stato
Matyas Benyik, dall'Ungheria: ha descritto la pericolosa situazione
politica nel suo paese; nel contesto delle elezioni generali del
2014,. Benard Founou, che ha parlato in nome del “Forum del Terzo
Mondo”, fondato dal celebre economista marxista franco-egiziano
Samir Amin, ha illustrato l'importanza dell'anti-imperialismo
spiegando come l'Africa sia stata forzata a utilizzare tecnologie e
prodotti obsoleti sotto la pressione del sistema mondiale. Jan
Mayicek dalla Repubblica Ceca ha parlato delle attività del Comitato
Anti-TTIP, che si estende in tutta Europa. TTIP è la sigla del
trattato di libero scambio e di investimenti in corso di adozione tra
le due potenze imperialiste, USA e Ue, giustificato con la retorica
degli “interessi nazionali”. Le attività di successo del
Comitato Anti-TTIP stanno contribuendo alla creazione di
un'opposizione notevole all'accordo tra le masse europee. Thomas
Maier del movimento BDS ha parlato a proposito delle attività per la
liberazione del popolo palestinese.</div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
Uno degli oratori più impressionanti della
sessione è stato il segretario generale dell'EEK, il nostro partito
fratello in Grecia. Nel suo coinvolgente discorso, costantemente
interrotto da applausi, ha mostrato come le contraddizioni del
capitalismo mondiale mettono in connessione le sorti di diverse
regioni. Ha indicato come il vasto flusso di immigrati/rifugiati,
causato dalle guerre (in primis quella siriana, ma anche quelle in
Afghanistan, Iraq, Libia) provocate dall'imperialismo, abbia creato
una situazione in cui gli eventi in Europa e nel Medio Oriente si
sono condizionati a vicenda. Ha affermato che la tensione tra il
blocco USA-UE e la Federazione Russa ha creato una faglia da nord a
sud. Ha esposto alcuni dei problemi che contrappongono i due blocchi.
Questi problemi vanno dalla consolidazione dell'imperialismo nel Mar
Baltico alla concessione del Mare Egeo alla NATO con la scusante del
controllo del flusso di rifugiati, al coinvolgimento della Russia
nella guerra civile siriana. Matsas ha affermato che l'UE è
sull'orlo del collasso, sotto la pressione delle sue contraddizioni;
ha concluso il suo discorso con una citazione della grande
rivoluzionaria polacca Rosa Luxemburg dicendo che l'unica possibile
soluzione è il socialismo internazionalista, che l'unica alternativa
è la barbarie.</div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
L'ultimo oratore di questa sessione è stato
Sungur Savran del DIP di Turchia. Ha cominciato il suo discorso
invitando il pubblico a mostrare solidarietà al popolo kurdo contro
il giro di vite al quale è sottoposto come risultato della propria
lottà per la libertà. L'applauso che ha ricevuto dalla sala
strapiena è stato l'espressione della solidarietà dei presenti
verso il popolo kurdo. Nel suo discorso, il nostro compagno ha
affermato che il capitalismo sta trascinando l'umanità in una guerra
mondiale tramite le crisi economiche e le tendenze barbariche in
tutto il mondo (seppure in varie forme), entrambi forme del
capitalismo stesso. Ha sottolineato che il pacifismo non può essere
la soluzione e che l'unica via per resistere alla tendenza versa una
guerra mondiale sarebbe lo scoppio di una guerra di classe e
rivoluzionaria. Il nostro compagno ha altresì reso omaggio alle
numerose rivolte polacche (1956, 1968, 1970, 1979-81) contro la
burocrazia stalinista durante il periodo degli Stati operai
burocratizzati, così come ha evocato la più importante
rivoluzionaria del ventesimo secolo, Rosa Luxembrurg. Ha infine detto
che il socialismo, in opposizione alla barbarie odierna, potrà
essere costruito sulla base dell'onda rivoluzionaria partita nel
2011, e che la maggiore colpa ricade sul movimento socialista,
completamente confuso sulla questione della costruzione di una
avanguardia rivoluzionaria. Ha concluso il suo discorso con un
appello alla costruzione di partiti rivoluzionari in tutti i paesi e
di un'Internazionale per unire tutti questi partiti.</div>
<br />
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
<strong>Diffondere l'internazionalismo nell'Europa
orientale</strong></div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
Il Forum Sociale dell'Europa Centrale ed Orientale
non è stato un circolo per le chiacchiere tra marxisti
rivoluzionari. Questo è evento è stato importante come occasione
per l'incontro con forze e con individui coi quali potranno essere
portate avanti attività internazionali. Una grande bandiera RedMed
ed una bandiera del DIP sono state la prima cosa che i partecipanti
potevano osservare nella sala. I militanti del DIP, insieme a quelli
dell'EEK, hanno presentato nel loro stand comune le loro
pubblicazioni. Inoltre, erano disponibili anche l'ultimo numero del
giornale Gerçek (“la Verità”), diversi numeri della nostra
rivista teorica Devrimci Marksizm (“Marxismo Rivoluzionario”),
alcuni volantini del Partito Rivoluzionario dei Lavoratori.
Inizialmente è stato adottato un appello del Congresso Straordinario
del Partito Rivoluzionario dei Lavoratori rivolto alle forze
internazionali di sinistra, per trasformare la guerra mondiale
incombente in una guerra rivoluzionaria di classe. Il secondo appello
riguardava la crisi dei profughi. Mentre questi primi due erano
formulati in inglese, la terza dichiarazione era sia in turco sia in
kurdo: si concentrava sulla guerra contro il popolo kurdo e sulla
situazione politica in Kurdistan. Questo scritto bilingue ha attratto
l'attenzione di molti dei partecipanti, anche se molti di loro non
parlavano né il turco né il kurdo. Alcuni di questi partecipanti
erano rimasti molto impressionati dal nostro volantino bilingue e
hanno deciso di portarselo in patria per mostrarlo ad amici e
compagni. Erano presenti presso il nostro banchetto anche le
risoluzioni della Terza Conferenza Euro-Mediterranea del luglio 2015,
tenutasi ad Atene. Questa brochure è stata particolarmente
apprezzata dai partecipanti provenienti dai paesi dei Balcani.</div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
Nella manifestazione organizzata durante il
secondo giorno del Forum, l'EEK e il DIP hanno partecipato sotto la
bandiera di RedMed.</div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
<strong>Dichiarazione finale</strong></div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
Il Forum Sociale dell'Europa Centrale ed Orientale
è stato un evento organizzato da una manciata di persone (Ewa
Groszewska, Monika Karbowska, Piotr Lewandonski e Naila Wardi, prima
di tutto) con assoluta abnegazione. Ogni aspetto dell'iniziativa
mostrava il segno di grandi capacità organizzative. I compagni che
hanno affrontato questa coraggiosa impresa meritano i più sinceri
complimenti.</div>
<br />
<br />
<br />
<div align="justify">
L'evento è stato un inizio molto importante per
stabilire contatti a livello di Europa centro-orientale e dei
Balcani. Varie idee sono circolate al termine del Forum su come
procedere in futuro. Ma una cosa è certo: questo lavoro deve essere
assolutamente portato avanti.</div>
<br />
<br />
<br />
<div class="western">
<span style="color: red;">RedMed</span></div>
<h3 class="western">
<span style="background-color: #666666;"><br /></span></h3>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-81495118144777589202016-10-03T16:42:00.002+02:002016-10-03T16:42:31.775+02:00<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt" style="text-align: justify;">
<span style="color: red;">NO alla Costituzione di Renzi</span></h1>
</div>
<div class="colbox" style="text-align: justify;">
<h2 class="stitle_paginaArt">
Per un No di classe e anticapitalista al progetto bonapartista del renzismo</h2>
</div>
<h5 class="data_paginaArt" style="text-align: justify;">
30 Settembre 2016</h5>
<div class="colbox" style="text-align: justify;">
<div class="descr_paginaArt">
<span style="color: red;">La nostra adesione alla manifestazione del 22 ottobre</span></div>
</div>
<div class="colbox" style="text-align: justify;">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="renziboschi" height="366" src="https://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3794" width="620" />
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br />
<br />
Il <span style="color: red;">PCL</span> aderisce al "Coordinamento per il No sociale alla riforma
costituzionale" del governo Renzi. E dunque partecipa alla
manifestazione nazionale promossa dal Coordinamento per il 22 ottobre a
Roma. Un appuntamento importante che impegna da subito tutte le
strutture del nostro partito.
<br />
<br />
<br />
UNA RIFORMA ISTITUZIONALE CONTRO IL LAVORO
<br />
<br />
Il renzismo investe nel referendum istituzionale tutte le proprie
forze. Il referendum istituzionale è un passaggio decisivo del progetto
bonapartista del renzismo. Un progetto mirato all'"uomo solo al comando"
dentro un netto rafforzamento dei poteri del governo e del suo Capo
rispetto ad ogni altro potere istituzionale. Ma anche un progetto
nitidamente di classe, che mira a tradurre sul piano istituzionale la
vittoria sociale del capitale sul lavoro e a determinare un netto
rafforzamento delle leve di aggressione sociale ai lavoratori e alle
protezioni sociali. Questa è la ragione della convergenza attorno al Sì
di tutti i poteri forti del grande capitale, ad ogni livello: italiano,
europeo, internazionale.
<br />
<br />
La Confindustria in particolare sta sviluppando un livello inedito
di proiezione attiva attorno al Sì con una campagna squisitamente
classista e una pubblicizzazione delle proprie ragioni di classe:
maggiore velocità d'attuazione delle misure governative a favore dei
profitti, minori intralci parlamentari grazie alla corsia privilegiata
per le misure filopadronali dell'esecutivo, eliminazione delle possibili
resistenze regionali a vantaggio di grandi opere sventra-Italia. Da qui
una mobilitazione straordinaria delle associazioni territoriali di
Confindustria.
<br />
<br />
Il referendum del 4 dicembre è dunque, sotto ogni profilo, un appuntamento dello scontro di classe in Italia.
<br />
<br />
<br />
PASSIVITÀ E DEBOLEZZE NEL FRONTE DEL NO
<br />
<br />
Alla massima determinazione del fronte padronale non corrisponde una
mobilitazione speculare del movimento operaio. Al contrario.
<br />
<br />
La CGIL ha impiegato mesi di imbarazzato silenzio per approdare
finalmente alla indicazione del No. Ma un No in punta di piedi, senza
partecipazione ai comitati, senza campagna di reale mobilitazione. Gli
accordi con Confindustria attorno alla partita degli ammortizzatori, la
ritrovata relazione negoziale col governo sul pessimo terreno delle
pensioni (con copertura di fatto alla truffa dell'Ape), i rapporti
unitari con la CISL salita sul carro di Renzi e del Sì, rafforzano la
passività dell'apparato CGIL proprio nel momento del massimo affondo
istituzionale del renzismo. Mentre la burocrazia dirigente della FIOM,
impegnata a perseguire un pessimo accordo contrattuale con
Federmeccanica, copre Susanna Camusso su tutta la linea. Il risultato è
l'assenza di una mobilitazione sociale e di massa contro il governo nei
mesi decisivi dello scontro referendario: che significa oltretutto
lasciare campo libero a Renzi sul terreno delle mance e delle regalie
avvelenate in fatto di Legge di stabilità, con tanto di televendita a
reti unificate.
<br />
<br />
Ma non è tutto. Le sinistre riformiste impegnate sul No si affidano a
una gestione del confronto referendario egemonizzata da professori
liberalprogressisti, che resta tutta interna ad una dimensione
esclusivamente accademico-istituzionale, senza riferimenti sociali e di
classe, senza neppure una chiara e netta contrapposizione politica al
governo, nel nome di un "confronto esclusivo sul merito": come se fosse
possibile separare il merito reazionario della riforma istituzionale
dalla natura reazionaria del governo che la promuove. La conseguenza è
quella di un confronto tecnico-giuridico da addetti ai lavori, incapace
di parlare ai lavoratori e alle grandi masse, proprio nel momento in cui
il governo moltiplica annunci di regalie sociali e sventola i quesiti
populisti della scheda referendaria sul “taglio di politici e poltrone”.
<br />
Dunque una campagna del No estremamente debole nella sua
impostazione, spesso ridotta sulla difensiva, impacciata e contorta nei
suoi argomenti, esposta al fuoco concentrato della demagogia reazionaria
del renzismo.
<br />
<br />
<br />
PER IL PIÙ AMPIO FRONTE UNICO DI CLASSE A SOSTEGNO DEL NO
<br />
<br />
Per queste ragioni la formazione del Coordinamento per il No sociale alla riforma Renzi è un fatto importante.
<br />
<br />
È più che mai necessario e urgente contrapporre alla campagna
classista di Confindustria a favore del Sì una campagna di classe del
movimento operaio a favore del No. Una campagna che dia una
riconoscibilità sociale alle ragioni del No agli occhi di milioni di
lavoratori e lavoratrici, precari, disoccupati che sono le vittime
designate del disegno renziano. Una campagna che punti alla ripresa
della mobilitazione sociale e di massa contro il governo e il padronato
su una piattaforma indipendente dei lavoratori.
<br />
<br />
Per questo il Coordinamento per il No sociale non può e non deve
ridursi a un cartello di nicchia di piccole forze d'avanguardia,
politiche e sindacali. Deve invece investire in un allargamento del
fronte di massa, battendosi per il fronte unico più largo di tutte le
forze del movimento operaio in contrapposizione al fronte unico
governativo padronale. Una proposta e iniziativa di massa che metta
pubblicamente di fronte alle proprie responsabilità le direzioni
maggioritarie del movimento operaio agli occhi di milioni di lavoratori e
lavoratrici: CGIL e FIOM vengano chiamate pubblicamente a mobilitarsi,
con una campagna mirata all'interlocuzione con la loro base di massa,
che denunci silenzi, ambiguità, defilamenti opportunisti della
burocrazia.
<br />
<br />
<br />
PER UN'ALTERNATIVA DI CLASSE ANTICAPITALISTA: L'UNICA CAPACE DI DARE SOVRANITÀ AI LAVORATORI
<br />
<br />
Parallelamente è necessaria la massima chiarezza e coerenza di
merito della campagna di classe del No. Occorre rilanciare una battaglia
democratica conseguente per una legge elettorale pienamente
proporzionale, attaccando frontalmente quella cultura della
governabilità a scapito della rappresentanza che per vent'anni ha
pervaso la stessa sinistra cosiddetta radicale (PRC) dentro la logica
bipolarista del centrosinistra. Si dica una volta per tutte che il
movimento operaio non ha alcun interesse a stabilizzare i governi del
padronato! Ha il solo interesse a combatterli con ogni mezzo in una
prospettiva di alternativa vera.
<br />
<br />
Una prospettiva di alternativa vera è chiamata a liberarsi dei
retaggi tradizionali della “difesa della Costituzione del 1948” e
dell'evocazione del sovranismo nazionale, entrambi purtroppo richiamati
nell'appello di convocazione del 22 ottobre.
<br />
<br />
Il mito della Repubblica fondata sul lavoro è servito a ingannare
per sessant'anni il proletariato italiano subordinando alla democrazia
borghese tutte le lotte più generose delle masse oppresse. Se oggi la
crisi della Repubblica precipita a destra è anche per quella
subordinazione costituzionale alla Repubblica borghese che ha rimosso
per sessant'anni ogni possibile alternativa di classe a sinistra. Si
riconosca finalmente la verità: l'unica possibile repubblica fondata sul
lavoro è una Repubblica dei lavoratori, basata sulla loro forza e
organizzazione! L'unica Repubblica che rovesciando il capitalismo può
liberare i salariati dallo sfruttamento. L'unica che può dare loro la
sovranità.
<br />
<br />
Il sovranismo nazionale evocato nell'appello per il 22 ottobre
contro USA, Germania e Bruxelles è mal posto. La sovranità dei
lavoratori va rivendicata contro tutti i capitalisti, a partire dai
capitalisti tricolore di casa nostra, che come dice un vecchio adagio
sono sempre il “nemico principale” da combattere e rovesciare. Tanto
più in un paese imperialista come l'Italia, seconda potenza industriale
d'Europa, impegnata in prima linea per gli interessi nazionali della
propria borghesia nelle missioni di guerra, nelle operazioni in Libia,
nel sostegno al sionismo in terra araba, nella crescente penetrazione in
Africa (per bloccare le partenze dei migranti e allargare il proprio
raggio d'affari). Lasciamo ad altri la bandiera del sovranismo
nazionale, in ogni sua declinazione! La lotta contro gli sfruttatori di
casa nostra per l'alternativa di potere degli sfruttati è il miglior
sostegno alle lotte dei lavoratori degli altri paesi e di tutti i popoli
oppressi contro le proprie borghesie e i propri imperialismi.
<br />
<br />
Con questa impostazione - classista, rivoluzionaria,
internazionalista - il <span style="color: red;">PCL</span> sarà parte della manifestazione del 22
ottobre e lavorerà ovunque per la sua massima riuscita.</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: justify;">
<span style="color: red;"><span style="font-size: small;">Partito Comunista dei Lavoratori</span></span></h5>
<div class="colbox">
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-14309858860831179942016-09-11T09:24:00.002+02:002016-09-11T09:24:41.037+02:00<div class="colbox" style="text-align: justify;">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">Terremoto: ancora sul crimine del capitale</span></h1>
</div>
<div class="colbox">
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
26 Agosto 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="Amatrice" height="412" src="https://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3752" width="620" />
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt" style="text-align: justify;">
Lo riconoscono persino la stampa
borghese e la Protezione civile: è stato stanziato per la prevenzione
antisismica meno dell'1% di quanto sarebbe necessario (e solo dopo il
terremoto dell'Aquila). 950 milioni (ma spesi solo 180) invece di 100
miliardi (ma secondo altre stime sarebbero necessari 360 miliardi). Ciò
che la stampa borghese non dice è il perché.
<br />
<br />
Non si tratta affatto di “disattenzione”, “incuria”, “ negligenza”,
come vorrebbe un banale senso comune. O magari della eccessiva
“instabilità dei governi”, come ha detto spudoratamente qualcuno,
cercando di speculare cinicamente sui morti per portare acqua al mulino
del Sì nel referendum istituzionale di Renzi. Si tratta di altro. Si
tratta delle regole del gioco della società capitalista. Quelle che
tutti i governi hanno “stabilmente” rispettato. Quelle che prevedono
l'infusione mensile di 80 miliardi nel portafoglio delle banche per mano
della BCE; o il pagamento annuo di 80 miliardi di interessi sul debito
pubblico alle banche che hanno comprato i titoli di Stato; o la
decontribuzione di 13 miliardi a favore dei capitalisti come “premio” di
assunzione di lavoratori licenziabili (Jobs Act); o la continua
immancabile riduzione delle tasse per i profitti di impresa (Ires) in
ogni legge di stabilità (anche la prossima).
<br />
Altro che mancanza di risorse! Le risorse scorrono a fiumi se si
tratta del profitto dei capitalisti. Per questo “mancano” se si tratta
di risanare un territorio, mettere in sicurezza edifici pubblici e
privati, salvare migliaia di vite.
<br />
<br />
Non è tutto. La lobby nazionale dei costruttori e delle associazioni
della proprietà immobiliare ha preteso e ottenuto da tempo la rinuncia
all'anagrafe documentale di ogni edificio (fascicolo di fabbricato) in
ordine al suo livello di sicurezza. La ragione è semplice: potrebbe
significare una svalutazione del capitale immobiliare investito. In
altri termini: siccome un edificio è insicuro e può ammazzare chi lo
abita o chi intende comprarlo, è bene non rivelarlo a tutela del suo
valore di mercato e dunque dell'interesse del proprietario. Può esserci
una confessione più spietata dell'incompatibilità del mercato con i
valori della vita? Nel frattempo cresce la pressione delle grandi
compagnie di assicurazione a favore della assicurazione obbligatoria
contro eventi sismici. Di fatto un nuovo lucroso affare privato che
scarica sui “cittadini”, in gran parte lavoratori, l'onere dei futuri
disastri, a beneficio delle casse pubbliche che potranno così
continuare a ingrassare i capitalisti. Una partita di giro perfetta, un
banchetto allestito sui morti. Altro che “unità nazionale” di fronte
alla tragedia, come ciancia il governo!
<br />
<br />
<br />
Se così stanno le cose - e così stanno - c'è un solo modo di segnare
una svolta vera e definitiva rispetto a questa pratica criminale.
Rifiutare ogni subordinazione dei bisogni alla dittatura del profitto.
Il riassetto idrogeologico del territorio e la messa in sicurezza degli
edifici sono la vera “grande opera” necessaria e urgente. Deve pagarla
chi non ha mai pagato. Tre sono le misure generali che si impongono:
<br />
<br />
1) Ogni edificio, pubblico e privato, sull'intero territorio
nazionale, va radiografato dal punto di vista della sicurezza
antisismica, e dunque pubblicamente catalogato, senza alcun riguardo per
le pretese omertose di costruttori e proprietà immobiliare.
<br />
<br />
2) Vanno stanziate le centinaia di miliardi necessari per la messa
in sicurezza dell'intero patrimonio edilizio, non solo pubblico (scuole,
ospedali, patrimonio artistico) ma anche privato. Si può finanziare
tale misura con l'abolizione del debito pubblico verso le banche,
accompagnata dalla loro nazionalizzazione, e con la cancellazione delle
regalie fiscali ai capitalisti.
<br />
<br />
3) Va nazionalizzata la grande industria edilizia e le industrie ad
essa collegate (cemento), senza indennizzo e sotto il controllo dei
lavoratori, per ottenere l'effettivo controllo pubblico sul risanamento
edilizio. Ed anche per evitare nuove speculazioni affaristiche sulla
stessa ricostruzione delle zone terremotate; o che i “nuovi” edifici con
garanzia antisismica crollino alla prima scossa (come è accaduto)
perché costruiti al massimo risparmio per il profitto dei costruttori.
<br />
<br />
Nessuna di queste misure è sacrificabile. Ma non potranno essere
realisticamente varate dai comitati d'affari della classe capitalistica,
a partire dal governo Renzi. Solo un governo dei lavoratori, capace di
rompere con gli interessi dei capitalisti, può risanare il territorio,
mettere in sicurezza le case, proteggere le vite, dentro la
riorganizzazione radicale dell'intera società in base al primato dei
bisogni.
<br />
Ricondurre la necessaria mobilitazione immediata per la messa in
sicurezza degli edifici alla prospettiva di alternativa di società è
l'unico modo di andare concretamente alla radice delle cose. Rinunciare a
questa prospettiva significa prenotare la prossima tragedia.</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: justify;">
<span style="color: red;">Partito Comunista di Lavoratori</span></h5>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-71305365730221593932016-07-27T10:06:00.002+02:002016-07-27T10:06:24.303+02:00<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">Il golpe turco e le sue conseguenze nello scenario mediorientale</span></h1>
</div>
<div class="colbox">
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
19 Luglio 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="golpe turchia" height="348" src="http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3730" width="620" />
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br />
<br />Il tentativo di golpe che è andato in scena in Turchia nella notte
tra il 15 ed il 16 luglio rappresenta il punto di precipizio di tredici
anni di storia recente del paese anatolico avviluppati intorno alla
figura di Tayyip Erdogan, fondatore dell'AKP.
<br />
<br />Abbandonati da tempo i panni del leader che ha guidato le trattative
per l'adesione della Turchia alla UE, Erdogan ha seguito negli ultimi
anni, in particolare dall'esplosione della grande crisi nel 2008, una
politica costruita intorno all'ambizione di trasformare la Turchia non
solo in un interlocutore necessario per le faccende mediorientali, ma in
una vera e propria potenza regionale riconosciuta. L'asse portante di
questo progetto è la ristrutturazione istituzionale che Erdogan e l'AKP
portano avanti da anni, permessa da una decennale espansione economica, e
incentrata su una lenta e moderata ma costante islamizzazione dello
Stato.
<br />La chiave di volta per lanciare internazionalmente il progetto è
stata l'esplosione delle primavere arabe, che Erdogan ha cercato di
cavalcare al massimo grado per accreditarsi come guida politica
dell'islam sunnita moderato.
<br />
<br />Nei confronti dell'Unione Europea, Erdogan ha mantenuto negli anni
un atteggiamento opportunista, debuttando come campione dell'europeismo
nei primi anni del suo governo quando il progetto UE era ancora sulla
cresta dell'onda, ma tendendo a costruire relazioni più vantaggiose, ma
non per questo idilliache, con gli stati dell'Unione con cui la Turchia è
economicamente più esposta (la Germania è per la Turchia il primo paese
per esportazioni ed il secondo per importazioni), più che una vera
politica di ingresso.
<br />Con l'avanzare della crisi e l'impasse del progetto dell'UE, la
Turchia ha spostato sempre più il proprio baricentro politico verso il
Medio Oriente, scontrandosi però con la realtà delle macerie che il
fallimento delle rivoluzioni arabe hanno lasciato. Non è un caso che
l'ultima fase della politica estera di Erdogan sia stata segnata da una
vera e propria spregiudicatezza per quanto concerne la guerra civile
siriana: per perseguire il doppio obbiettivo dell'abbattimento di Assad e
dello schiacciamento del movimento curdo, il presidente turco non ha
esitato a sostenere più o meno indirettamente l'ISIS, in particolare per
quello che riguarda la capacità di movimento e di spostamento lungo i
confini turchi, cercando in tutti i modi di ostacolare la resistenza
curda e aggiungendo all'atavico odio per i curdi il malcelato desiderio
di trarre beneficio da una “balcanizzazione” della Siria, strappandone i
territori settentrionali.
<br />
<br />L'ambizioso progetto di affermarsi come “sultano democratico” ha
iniziato a conoscere le prime battute d'arresto con il precipitare nella
barbarie delle primavere arabe e con il tracollo, l'uno dopo l'altro,
di ciascuno dei suoi alleati nei paesi chiave; dall'affermazione di Al
Sisi in Egitto a discapito dei Fratelli Musulmani e di Morsi; dalla
perdita del governo del partito di Ennahda in Tunisia fino al
precipitare della situazione siriana.
<br />Mano a mano che lo scenario si è andato complicando, Erdogan ha dato
prova di straordinario eclettismo tattico e di assenza di scrupoli: nel
pieno delle primavere arabe ha giocato la carta obbligata della difesa
degli interessi arabi contro Israele, arrivando ad un fronteggiamento di
facciata col governo sionista tra il 2008 ed il 2012, periodo che va
dalla guerra d'aggressione israeliana a Gaza (Operazione Piombo Fuso)
fino all'incidente della Mavi Marmara in cui i commandos israeliani
uccisero dieci cittadini turchi sulla nave che tentava di sfidare il
blocco di Gaza.
<br />La mancata caduta di Assad e il ruolo sempre maggiore dei curdi
nella guerra all'ISIS hanno spinto Erdogan fino a fargli tirare la corda
con la Russia di Putin arrivando all'incidente dell'abbattimento del
caccia russo. L'isolamento internazionale e il logoramento nei rapporti
con tutti i paesi vicini che la sua politica estera da saltimbanco ha
prodotto, hanno portato Erdogan a scendere recentemente a più miti
consigli, aprendo a un raffreddamento della tensione con la Russia e
siglando un accordo storico con Israele al ribasso che è suonato come
una vera e propria resa delle ambizioni di guida politica del mondo
sunnita.
<br />
<br />In uno scenario così complesso, hanno fatto irruzione tre diverse
mobilitazioni contro Erdogan e il suo governo, da tre versanti diversi:
in prima battuta, l'erompere delle straordinarie e drammatiche settimane
della rivolta popolare partita da Gezi Park nel maggio del 2013, e
sfociata in un vero e proprio movimento anti-Erdogan, contro le sue
leggi liberticide e la sua politica guerrafondaia in Siria. La polizia
di Erdogan ha represso ferocemente il movimento, che ha contato anche
numerosi morti, ma ha aperto uno squarcio nella solidità e nella
credibilità di Erdogan come leader politico nazionale e internazionale
agli occhi delle forze imperialiste e dello stesso capitalismo turco.
<br />L'anno successivo, nell'ottobre del 2014, sono i curdi turchi a
sollevarsi in una vera e propria intifada che coinvolge tutto il sud-est
del paese contro Erdogan, smaccatamente lanciato nella sua politica di
sostegno all'ISIS in funzione tanto anti-Assad quanto anti-resistenza
curda in Rojava, sotto attacco delle milizie dell'autoproclamato
califfato islamico.
<br />A queste due straordinarie rivolte popolari si è sommata tra il
maggio ed il giugno del 2015 un'ondata di scioperi selvaggi organizzati
dai lavoratori metalmeccanici turchi contro i divieti al diritto di
sciopero imposti dal governo a guida AKP, portando, finalmente, delle
rivendicazioni propriamente classiste nell'arena politica turca.
<br />Il combinarsi di tutti questi elementi ha arenato le ambizioni del
presidente turco e aperto esplicitamente una fase di crisi di consenso
anche interno, culminata col l'arretramento elettorale delle elezioni
del giugno 2015 e, contemporaneamente, aperto la fase dello stragismo di
Stato per tutta la seconda metà del 2015, culminata con la strage del
10 ottobre al corteo per la pace. Le elezioni di fine 2015 consegnano
una Turchia spaccata tra il sostegno nuovamente sopra il 50% all'AKP,
con tanto di maggioranza parlamentare assoluta (ma non sufficiente per
le riforme istituzionali presidenziali desiderate) da un lato, e il
mantenimento della rappresentanza parlamentare dell'HDP curdo e la
tenuta del partito tradizionale della borghesia europeista turco, il
Partito Popolare Repubblicano, sopra il 25%.
<br />
<br />
<br />IL TENTATIVO DI GOLPE, PUNTO DI PRECIPIZIO DELLA CRISI IN TURCHIA
<br />
<br />Al netto dei suoi aspetti tecnici ancora tutti da chiarire, il
tentativo di golpe militare andato a vuoto segna una spaccatura netta
nella borghesia turca tra il fronte europeista (forse sarebbe più
corretto dire “occidentalista”) e il fronte di Erdogan, che a questo
punto potremmo chiamare neo-ottomano, stante la fusione di interessi di
potenza regionale e islamizzazione delle istituzioni e della società. La
politica spericolata di Erdogan, il continuo muoversi sul filo del
rasoio nei rapporti con l'Occidente e con l'UE, le disavventure siriane,
il raffreddamento della tensione con la Russia e l'altalena con Israele
segnano il punto di una fase di enorme destabilizzazione di quello che
dovrebbe essere il principale baluardo NATO in Medio Oriente. In questo
quadro i golpisti hanno cercato la complicità dell'Occidente: non è un
caso che i media internazionali nelle primissime fasi del putsch
riportassero dei virgolettati accreditati ai portavoce dei militari che
parlavano di “azione per riportare democrazia e libertà”.
<br />La criticità della situazione turca e dei suoi rapporti con il mondo
occidentale si misura per intero nelle lunghe ore di ambiguo silenzio
che hanno preceduto i primi pronunciamenti formali, con il paradosso
dell'aereo presidenziale dato in volo per l'Europa senza che nessuno dei
governi amici ne autorizzasse l'atterraggio. Solo quando il quadro si è
andato delineando con chiarezza, Obama e Merkel hanno rotto gli indugi
prendendo le parti del “governo democraticamente eletto”.
<br />Silenzi che testimoniano quantomeno la volontà di rimanere in un
primo momento alla finestra, per capire il da farsi, e che sono indice
dell'imbarazzo che il campo occidentale ha nelle sue relazioni con
Erdogan. Ma forse anche la malcelata speranza di poter fare i conti con
una Turchia stabilizzata senza il suo presidente, e proiettata di nuovo
verso l'Europa e l'Occidente, senza più ambizioni “ottomane”.
<br />
<br />Tre fattori politici hanno inciso a cascata sul fallimento del
golpe: in primo luogo il consenso di massa che Erdogan mantiene in ampi
settori di piccola borghesia e di proletariato turco che ha saputo
mobilitare in sua difesa, consenso che solo fino a un anno fa sembrava
evaporare; in seconda battuta, l'impasse del progetto dell'Unione
Europea e l'aggravarsi della sua crisi economica e politica (di cui la
Brexit rappresenta l'ultimo tassello in ordine di tempo) hanno
enormemente indebolito l'appeal che un progetto di integrazione turca in
Europa poteva avere, togliendo ossigeno al fronte occidentalista e
kemalista e continuando invece a soffiare il vento, sia pure
altalenante, nelle vele dell'AKP - e che è servito esattamente a tenere
sotto la brace la base di massa del consenso che si è manifestato nel
riversamento in piazza di migliaia di manifestanti a difesa del
presidente; in terza battuta, l'irrisolta crisi mediorientale mantiene
la Turchia nella condizione privilegiata di essere un ingranaggio
fondamentale nell'area malgrado la politica estera da saltimbanco del
suo leader, e questo, unito alla debolezza delle alternative politiche
borghesi turche, ha fatto sì che dall'Occidente non venisse un immediato
via libera - esplicito o meno - al tentativo dei golpisti, fattore che
nelle ore decisive ha senz'altro contribuito a limitare l'adesione di
altri settori delle stesse forze armate.
<br />Il combinato disposto di questi tre fattori ha contribuito al
fallimento del golpe e alla vittoria di Erdogan, che è potuto atterrare
all'aeroporto di Istanbul, facendosi salutare da quel bagno di folla che
ogni aspirante Bonaparte non può farsi mancare.
<br />
<br />L'esito del tentativo di golpe consegna un Erdogan non solo
sopravvissuto, ma con un suo straordinario rafforzamento e rilancio
politico, almeno nel breve periodo, tanto sul piano interno quanto su
quello internazionale.
<br />L’immediata, seppur temporanea, chiusura della base di Incirlik,
punto nevralgico delle operazioni americane per la guerra civile
siriana, ha fatto da base materiale al braccio di ferro diplomatico che
il presidente turco ha subito avviato nei confronti dei suoi formali
alleati atlantici, il cui asse è la richiesta agli USA della consegna di
Fethullah Gülen, l’ex alleato, poi acerrimo nemico di Erdogan,
rifugiato negli States dopo gli scandali per corruzione che dilaniarono
l’AKP nel 2013, scandali nei quali Erdogan ha sempre sostenuto essere
parte attiva il movimento Hizmet di Gülen.
<br />Tramontato in questa fase il sogno di guidare il mondo arabo
sunnita, il presidente turco può tentare di sfruttare l’ossigeno
riconquistato sconfiggendo il golpe a partire almeno da due punti
cruciali tra loro combinati, su cui può tornare a giocare delle carte
importanti.
<br />Dal versante curdo, la simpatia dei governi occidentali che i
combattenti del Rojava si sono guadagnati con la forza della loro
resistenza in prima fila nella lotta all’ISIS può far emergere i curdi
come elemento negoziatore nella regione, con esiti potenzialmente
deflagranti nella politica interna turca, anche dopo i lunghi anni di
trattative tra il PKK di Ocalan e l’autorità turca, e malgrado la
presenza del Kurdistan iracheno a guida Barzani, più interessato a
gestire l’estrazione autonoma del petrolio nell’alveo dell’Iraq e a
rivenderlo alla stessa Turchia che non a perseguire un progetto di unità
nazionale kurda. Un Erdogan redivivo può sperare di imporre un veto a
questa possibilità.
<br />L’altro punto riguarda la questione dei migranti e dei profughi,
argomento di tensioni già particolarmente acute e sempre crescenti tra
Turchia ed UE, in particolare con la Germania; argomento che adesso
potrebbe essere utilizzato come arma di ricatto con ancora più vigore.
<br />
<br />La straordinaria mobilitazione della sua base sociale di riferimento
in sua difesa ha svelato un enorme potenziale plebiscitario cui Erdogan
non ha tardato a tentare di dare continuità (l'appello “restate in
piazza”), col preciso scopo di consolidare un nuovo rapporto di forza a
livello generale che segnerebbe la fine della grande fase di ascesa dei
movimenti anti-Erdogan partiti da piazza Taksim, proseguiti con la
sommossa kurda di fine 2014 e giunta ai tentativi di alzare la testa da
parte della classe operaia industriale turca nel 2015. La crisi di
consenso che Erdogan ha incontrato in questo biennio e culminata con la
débâcle elettorale delle elezioni del giugno 2015, surrettiziamente
arginata nella fase dello stragismo di Stato, ha conosciuto un primo
arresto con le ultime elezioni. Oggi questa fase appare chiusa, ed
Erdogan può vantare un rinnovato consenso che può essere, e sarà,
investito dal presidente turco per completare il proprio disegno
istituzionale reazionario, già in buona parte avviato, e che aveva
recentemente conosciuto il passaggio dell’abolizione dell’immunità
parlamentare, come arma contro le opposizioni: la tanto agognata riforma
presidenziale (con annessa guardia pretoriana presidenziale) potrebbe
passare attraverso un referendum che rischia di essere plebiscitario e
che consegnerebbe ad Erdogan non solo ampio margine di manovra nella
stretta autoritaria interna, ma anche la possibilità di presentarsi di
nuovo al mondo come garante forzato della democrazia e della stabilità.
Tale passaggio conosce in queste ore gli innumerevoli arresti e le
purghe di enormi fette di società turca.
<br />
<br />Su tutto questo giocheranno ovviamente un ruolo le resistenze
sociali e la dinamica della lotta di classe. Lo stato dell'arte di oggi
ci consegna importanti lezioni sul ruolo che la sinistra politica e
sociale ha giocato negli anni passati, dei suoi errori e dei compiti che
attendono i rivoluzionari per invertire la rotta.
<br />
<br />
<br />IL RUOLO DEI RIVOLUZIONARI
<br />
<br />Una stagione straordinariamente difficile si apre in Turchia per i
rivoluzionari. Non è dato sapere ancora in che forme la stretta
autoritaria di Erdogan ne limiterà ancora di più l’agibilità politica, o
se addirittura arriverà a minacciarla per intero. Quello che è certo è
che una grande stagione di mobilitazione, apertasi con la rivolta di
Gezi Park, si è oggi chiusa. Il rovescio negativo dei due anni, pur
straordinari e drammatici, di lotte contro il potere di Erdogan è stata
l’assenza del movimento operaio organizzato con le sue proprie forme di
lotta dall’arena dello scontro. La ribellione di Gezi Park, nata in
prima battuta sull’onda di un movimento ambientalista, si è rapidamente
trasformata come reazione alle violenze poliziesche in un grande
movimento di massa contro il governo. Questo movimento era
caratterizzato da una composizione eterogenea ed interclassista, in cui
le rivendicazioni più incisive, come ad esempio quella per uno sciopero
generale prolungato sino alla cacciata del governo, non erano sul piatto
nelle settimane della mobilitazione, se non come rivendicazioni
minoritarie dei marxisti rivoluzionari del DIP (Devrimsci Isci Partisi,
Prtito Rivoluzionario dei Lavoratori).
<br />Questa assenza ha impedito al movimento ogni salto qualitativo in
avanti e ha concorso ad indebolirlo, prestando il fianco alla reazione
poliziesca. L’altro grande assente da Gezi Park, in forma organizzata, è
stato il movimento kurdo: sorpresa dall’esplosione della ribellione nel
bel mezzo delle trattative per il processo di pace portate avanti da
Ocalan e dal PKK, la direzione del movimento kurdo ha preferito non
rischiare di mandare a monte il processo in corso e ha scelto un profilo
defilato per rimanere marginale nello scontro. Il prezzo pagato dai
kurdi per il fatto che Erdogan sia rimasto al potere è stato altissimo:
non solo la Turchia ha favorito in tutti i modi possibili l’ISIS,
sperando che questo schiacciasse la resistenza di Kobane e della Rojava,
ma ha scatenato, a seguito della ribellione kurda del 2014, una vera a
propria guerra civile poliziesca contro i suoi stessi cittadini kurdi
nel sud-est del paese, di cui l’assedio di Cizre, con decine di morti,
feriti, sospensione dell’energia elettrica, shut-down di ogni forma di
comunicazione, è l’emblematico sigillo.
<br />
<br />Le direzioni della sinistra turca e delle principali organizzazioni
kurde non sono esenti da responsabilità per lo stato attuale dei
rapporti di forza nell’area. Le sinistre politiche riformiste o
centriste, tanto turche quanto kurde, hanno sperato, dopo i risultati
del 7 giugno 2015, di poter disarcionare Erdogan investendo
elettoralmente le grandi ribellioni degli anni passati. In quei mesi si
ventilava l’ipotesi di una grosse koalition turca intorno al partito
liberale borghese CHP; un fronte eterogeneo che avrebbe avuto il
sostegno più o meno indiretto dell’HDP ma anche delle organizzazioni
legate a Fetullah Gulen.
<br />Lo scioglimento del parlamento ad agosto, lo stragismo e il
risultato elettorale di novembre, hanno scombinato ancora una volta le
carte in tavola, e questo ha probabilmente contribuito a precipitare gli
eventi del golpe. In uno scenario la cui complessità è paragonabile
solo alla sua drammaticità, il Partito Rivoluzionario dei Lavoratori si è
trovato in solitaria ad indicare la strada corretta: gli unici alleati
possibili per il popolo kurdo sono il proletariato turco e quello arabo.
Non c’è amicizia possibile per i lavoratori turchi e arabi e per il
popolo kurdo con le borghesie imperialiste, almeno quanto non c'è
possibile amicizia con l’odiato Erdogan e il suo progetto ottomano.
Sperare, tanto dentro la Turchia quanto fuori dai suoi confini, che
l’imperialismo possa diventare un alleato dei kurdi per riconoscenza,
per il ruolo che sostengono nella lotta contro l’ISIS, significa non
avere il senso della realtà. La lotta esemplare di resistenza che i
combattenti del Rojava oppongono al fascismo islamista di Al Baghdadi e
del suo sedicente califfato non può diventare una merce di scambio per
sperare di ottenere il favore di qualche benefattore imperialista,
giocando sull’incredibile caos in cui è precipitato tutto il Medio
Oriente, perché il risultato è facilmente pronosticabile: la svendita
della lotta fondamentale per l’emancipazione e per l'unità del
Kurdistan.
<br />
<br />Eppure le principali direzioni kurde mantengono posizioni con
l'imperialismo che oscillano tra l’apertamente colluso e il
pericolosamente ambiguo: il PDK di Barzani, al potere nell’Kurdistan
irakeno, come detto, è una forza borghese che lavora con il preciso
intento di massimizzare i profitti derivati dall’estrazione del
petrolio, e in cambio si pone come garante della rimozione della
questione nazionale kurda, fungendo al contempo anche come bilanciamento
al PKK.
<br />Il PKK, che da par suo è da anni impegnato in un lungo braccio di
ferro col governo turco per ottenere un’analoga autonomia federale
amministrativa, e la sua propaggine siriana - il PYD - governa la
regione del Rojava, dove è impegnato, come detto, nella strenua lotta di
prima linea contro l’ISIS. Malgrado ciò, il suo obbiettivo politico in
questa fase non è l’unificazione del Kurdistan, né tanto meno lo
spezzamento dell’attuale sistema statale e la costruzione di un
Kurdistan socialista, bensì l’investimento del peso militare che ha
assunto nell’area nella negoziazione di spazi di autonomia federale,
rispettosa del capitalismo e della proprietà privata.
<br />Le vicende del proletariato turco, di quello arabo e quelle del popolo kurdo sono intrinsecamente connesse.
<br />
<br />La soluzione della questione kurda, la conquista dell’unità
nazionale, non può che avvenire se non in un quadro di rottura della
geografia che la borghesia ha disegnato per il Medio Oriente addirittura
più di cent’anni fa, mettendo in discussione i confini degli stati
borghesi esistenti a partire dalla Turchia stessa. Proprio per questo
motivo, non esiste alcuno spazio democratico possibile per la soluzione
della questione nazionale kurda, esattamente come non esistono spazi
democratici di stabilizzazione del Medio Oriente all’interno del
capitalismo in crisi.
<br />Da rivoluzionari, siamo completamente a sostegno dell’attività dei
compagni del DIP, impegnati nella prospettiva della costruzione
dell’alleanza tra la classe operaia turca e il popolo kurdo, unico
binomio in grado di squassare le fondamenta dello stato turco.
<br />Il rilancio della prospettiva di una federazione socialista araba,
la rivendicazione dell’unità del proletariato turco con quello arabo e
la loro alleanza con i popoli oppressi kurdo e palestinese, la messa in
discussione dell’esistenza dei confini borghesi e del progetto politico
sionista d’Israele, sono i punti cardine fondamentali che indicano
l’unica via d’uscita possibile al macello in corso in Medio Oriente.
<br />In questo quadro, la necessità della rifondazione di un partito
internazionale della rivoluzione si fa ogni giorno più urgente. È lo
strumento che serve al proletariato di tutto il mondo per unirsi nella
comune battaglia contro il capitalismo in crisi, contro gli imperialismi
di ogni colore che si avventano su ogni lembo di terra per contendersi
fino all’ultima unghia di profitto e di potere, contro gli aspiranti
tiranni come Erdogan e i tiranni già di fatto come Al Baghdadi.
<br />Il PCL, con tutti i suoi militanti, è impegnato quotidianamente in
Italia come sul piano internazionale nella battaglia fondamentale per la
rifondazione della Quarta Internazionale.</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt">
Nicola Sighinolfi</h5>
<div class="colbox">
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-70289887455227028992016-07-22T12:30:00.001+02:002016-07-22T12:30:29.922+02:00<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">Documento politico conclusivo del Comitato Centrale del PCL di luglio 2016</span></h1>
</div>
<div class="colbox">
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
12 Luglio 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="CC LUGLIO" height="348" src="https://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3718" width="620" /> <br />
<br />
LA NATURA REAZIONARIA DELLA BREXIT.
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
PER UNA ALTERNATIVA DI CLASSE E SOCIALISTA ALLA UNIONE EUROPEA
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
La vittoria della Brexit, riflesso della crisi dell'Unione Europea, ha un segno reazionario.
</div>
<div style="text-align: justify;">
Il No greco alla troika del luglio del 2015 era espressione di
un'opposizione sociale di massa, segnata da rivendicazioni di classe e
democratiche, poi tradite da Tsipras. La Brexit ha una valenza non solo
diversa ma opposta. La campagna pro-Brexit è stata ispirata e diretta da
forze reazionarie, apertamente antioperaie e antipopolari, attorno a
una campagna centrata sulla contrapposizione ai migranti e sullo
sciovinismo britannico. Una campagna che è riuscita a dirottare contro
la UE un blocco sociale composito (settori di classe lavoratrice, la
maggioranza della popolazione povera delle periferie e delle campagne,
ampie fasce di piccola borghesia impoverita) capitalizzando la rabbia
sociale prodotta da decenni di austerità e privazioni. La crisi del
movimento operaio inglese, dentro la crisi più generale del movimento
operaio europeo, ha favorito questo sbocco. Le forze diverse della
sinistra che in nome di ragioni progressive o addirittura
anticapitaliste hanno sostenuto la Brexit, si sono di fatto subordinate a
questa dinamica reazionaria, commettendo un grave errore politico.
</div>
<div style="text-align: justify;">
L'Unione Europea degli stati capitalisti è irriformabile da un punto
di vita sociale e democratico. Le illusioni dell'europeismo riformista
(Partito della Sinistra Europea) sono state smentite una volta di più
dalla capitolazione di Tsipras alla troika. Ma un'alternativa alla UE
può avere carattere progressivo solo a partire da una mobilitazione di
classe e di massa che nei diversi paesi e su scala continentale metta in
questione le politiche, i partiti, i governi della borghesia. La
mobilitazione prolungata e di massa che a partire da marzo ha percorso
la Francia contro la Loi Travail di Hollande, incidendo nel profondo
sullo scenario sociale e politico francese, indica la possibile
alternativa di classe alle soluzioni nazionaliste, reazionarie,
xenofobe. La parola d'ordine strategica degli Stati Uniti socialisti
d'Europa è la sola che può dare una prospettiva storica progressiva alla
necessaria ripresa dell'iniziativa di classe in Europa, contro i
governi borghesi e la loro Unione.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
I RIFLESSI POLITICI DELLA BREXIT IN EUROPA
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La Brexit ha aperto di fatto una fase politica nuova in Europa.
</div>
<div style="text-align: justify;">
In Gran Bretagna contribuisce a riproporre, per reazione, le
questioni nazionali irrisolte di Scozia e Irlanda. Nel continente
alimenta tendenze contrastanti. Da un lato sospinge le iniziative
composite del fronte reazionario e nazionalista in diversi paesi
(Francia, Olanda, Danimarca, Austria) con analoghi contenuti xenofobi e
sciovinisti. Ma dall'altro può favorire tendenze alla stabilizzazione
politica conservatrice nel nome della “sicurezza contro il caos”, a
fronte delle ricadute di crisi economica e bancaria che la Brexit ha
alimentato: una campagna che può fare presa in ampi settori popolari e
di piccola borghesia in particolare attorno alla difesa del risparmio.
Il risultato delle elezioni spagnole, con l'ampia vittoria del Partito
Popolare e il mancato sorpasso del PSOE da parte di Podemos, è stato
segnato anche dalla reazione alla Brexit. Hollande e Renzi si propongono
a loro volta di cavalcare la campagna “sicurezza” nei rispettivi paesi.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Le conseguenze della Brexit sul piano della crisi capitalista e
delle relazioni statuali interne all'Unione sono altrettanto complesse e
andranno verificate nel tempo.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
È presto per valutare se la Brexit potrà aprire una nuova fase di
aggravamento della crisi economica internazionale. Di certo,
nell'immediato, l'annunciato distacco della Gran Bretagna dalla UE
minaccia il sistema bancario europeo, segnato da diversi punti di crisi
(crisi delle banche italiane e portoghesi, difficoltà delle banche
tedesche e francesi). Il contenzioso sulla Unione bancaria e sulla sua
regolazione interna occupa dunque una volta di più il negoziato tra i
principali stati capitalisti, sotto il segno di una nuova emergenza
economica.
</div>
<div style="text-align: justify;">
A sua volta il negoziato sulla Unione bancaria ripropone di fatto
tutti i nodi irrisolti della crisi della Unione Europea: il fallimento
del fiscal compact, le contraddizioni paralizzanti del suo quadro
istituzionale, i contrasti tra gli interessi nazionali (come analizzati
dall'ultimo CC).
</div>
<div style="text-align: justify;">
Anche su questo piano il fattore Brexit sembra agire in forme
contraddittorie. Da un lato la Brexit è essa stessa un effetto esplosivo
delle contraddizioni europee. E per alcuni aspetti le approfondisce.
Dall'altro lato proprio l'emergenza prodotta, e l'allontanamento della
Gran Bretagna, possono sospingere la ricerca di nuovi equilibri pattizi
tra i principali Stati imperialisti europei. Che saranno tuttavia
condizionati nel loro esito non solo dai rapporti di forza
interstatuali, ma anche dal ristretto margine di manovra dei governi
borghesi sul fronte del proprio consenso interno, alla vigilia di
appuntamenti elettorali di grande rilevanza (elezioni presidenziali in
Francia, elezioni legislative in Germania, referendum istituzionale
italiano).
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
LA SITUAZIONE POLITICA ITALIANA. LA CRISI DEL RENZISMO. LE ELEZIONI DI GIUGNO
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La situazione politica italiana si pone in questo quadro generale.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il renzismo è in aperta crisi. Il progetto del partito della
nazione, mirato allo sfondamento elettorale del nuovo corso renziano, ha
registrato una sconfitta. I risultati elettorali delle elezioni
comunali segnano una perdita consistente del PD in larga parte d'Italia,
con una flessione più accentuata nelle periferie metropolitane e nel
Mezzogiorno. Il significato politico è chiaro: il renzismo ha esaurito
da tempo la spinta propulsiva di quel populismo sociale di governo
(operazione '80 euro') che ne aveva accompagnato l'ascesa nelle elezioni
europee del 2014. Già le elezioni regionali del 2015 registravano la
dispersione di quel patrimonio di consenso. Le elezioni comunali di
giugno confermano e aggravano il dato. La sconfitta del renzismo non è
solo elettorale, ma politica. Il renzismo si era offerto alla borghesia
italiana ed europea come l'argine vincente contro il populismo di
opposizione. La vittoria del M5S a Roma e Torino contraddice esattamente
quella funzione di contenimento. La stessa legge elettorale (Italicum)
coniata da Renzi a misura delle proprie ambizioni di sfondamento rischia
di trasformarsi oggi in un possibile strumento dei suoi rivali.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il Movimento 5 Stelle è il vincitore politico delle elezioni del 5
giugno, al di là del suo stesso risultato elettorale, contraddittorio.
Il M5S capitalizza diversi elementi della situazione politica, tra loro
connessi. Non solo l'appannamento del renzismo, ma anche la
frantumazione politica del centrodestra, con la sua contraddizione
irrisolta tra berlusconismo in declino e un asse lepenista che segna il
passo. Soprattutto capitalizza la crisi perdurante della sinistra
politica, sullo sfondo della crisi sociale e dell'arretramento della
lotta di classe. Da qui la sua straordinaria capacità di richiamo
trasversale su elettorati di diversa matrice e provenienza, la sua
diffusione nazionale (a differenza del salvinismo), il suo consenso
concentrato presso la giovane generazione, in particolare tra operai,
precari, disoccupati. Ciò che rende il M5S un vincitore naturale nei
ballottaggi.
</div>
<div style="text-align: justify;">
A partire dalla conquista di Roma e Torino, e a fronte della crisi
del renzismo, il M5S accelera la propria candidatura al governo
nazionale, moltiplicando la ricerca di una propria legittimazione presso
gli ambienti dominanti, interni e internazionali. Anche da qui
l'importanza della controinformazione classista sulla natura reazionaria
di massa del M5S. Una denuncia tanto più essenziale di fronte al
moltiplicarsi delle aperture verso il grillismo da parte di settori
della sinistra riformista o centrista.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La sinistra politica conferma il proprio stato di crisi. Pur in
presenza della crisi del renzismo, Sinistra Italiana ha registrato un
arretramento rispetto ai risultati delle liste Tsipras nelle elezioni
europee del 2014. Il processo costituente del nuovo soggetto della
sinistra è dunque ulteriormente zavorrato dal voto. Persistono tutti i
fattori che ostacolano il suo decollo: non solo il peso delle disfatte
passate, ma l'assenza di un progetto nazionale dotato di una ragione
sociale decifrabile, la mancanza di una leadership riconoscibile a
livello popolare, la crisi dei livelli di mobilitazione sociale cui
quella stessa sinistra (politica e sindacale) concorre. In questo quadro
il rafforzamento del M5S come soggetto attrattivo dell'elettorato in
uscita dal PD oltre a rappresentare uno degli effetti della crisi della
sinistra concorre ulteriormente ad aggravarla. A tutto ciò si aggiungono
la lotta interna di cordate per l'egemonia sul processo costituente del
nuovo soggetto (che attraversa la stessa SEL) e i contrasti politici
sui nodi irrisolti nel rapporto col PD ed oggi anche con i Cinque
Stelle.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In questo quadro generale, marcato dalla crisi congiunta del
movimento operaio e della sinistra politica, dall'arretramento della
coscienza e dalla espansione populista, il risultato complessivo
riportato dal nostro partito, certo molto modesto, non è negativo. A
Torino e Napoli abbiamo subito la concorrenza penalizzante della
formazione di Rizzo (con l'aggiunta a Napoli dell'effetto
particolarissimo del fenomeno “peronista” di De Magistris), ciò che ha
determinato risultati negativi. Positivo il dato di Milano (con l'ampio
recupero sul 2011), e molto positivo quello di Bologna e Savona (col
superamento di ogni risultato precedente). Apprezzabili infine i
risultati registrati nei comuni minori. Complessivamente, si conferma la
positività della presentazione elettorale del partito ai fini della
propaganda del nostro programma classista e anticapitalista e in
funzione della nostra costruzione.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
IL REFERENDUM ISTITUZIONALE COME SPARTIACQUE
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
I risultati elettorali di giugno, insieme al fenomeno Brexit, si
riverberano sullo scenario politico nazionale di prospettiva. La crisi
del renzismo è precipitata alla vigilia del referendum istituzionale
(presumibilmente in ottobre) nel quale il capo del governo ha investito
le fortune decisive del proprio progetto bonapartista. Da qui
l'incertezza accresciuta del suo esito, tanto più in un quadro di crisi
economica e di relazioni europee che non favoriscono nuovi margini di
finanziamento di misure di populismo sociale (aumento delle pensioni
minime, riduzione Irpef...). Al tempo stesso gli effetti di
destabilizzazione prodotti dalla vicenda Brexit possono riconfigurare in
parte, a determinate condizioni, il profilo della posta in gioco nella
percezione popolare (un "voto per la sicurezza" vs l'"avventura
dell'ignoto"). Questa è la nuova impostazione che il renzismo tenderà a
dare alla prova per cercare di rimontare la china. Un passaggio che in
ogni caso acquista oggi obiettivamente una rilevanza internazionale
molto maggiore.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
L'esito del referendum può costituire, per diversi aspetti, uno
spartiacque nella situazione politica italiana, con diverse incognite.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Se Renzi perde lo scontro referendario, sarà il tracollo definitivo
del renzismo come progetto populista bonapartista. Ciò che
determinerebbe una dinamica nuova, presumibilmente convulsa, di
riorganizzazione degli equilibri politici e degli schieramenti, capace
di investire formule di governo, legge elettorale, rapporti interni ai
partiti (a partire dal PD). Si riproporrebbe, in altre forme, quel
quadro di crisi di direzione politica della borghesia italiana che il
renzismo ha provato a superare. Il M5S sarebbe nell'immediato il
principale beneficiario di quell'esito, anche se paradossalmente privato
in quel caso della legge elettorale più idonea per la sua ambizione di
potere. Una contraddizione non secondaria.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Se Renzi vincerà lo scontro referendario, si affermerà un nuovo
modello istituzionale reazionario, con nuove pesanti ricadute sociali
(salto della governabilità antioperaia). Renzi farà leva sulla vittoria
plebiscitaria per stabilizzare il proprio corso politico, cercando di
sviluppare i suoi aspetti di regime. Al tempo stesso la fluidità dei
flussi elettorali, sullo sfondo della crisi sociale, potrebbe ostacolare
anche in quel caso l'ambita stabilizzazione politica, a favore di un
M5S che uscito sconfitto dal referendum potrebbe beneficiare
dell'Italicum che il referendum stesso sancisce. L'ipotesi di una
affermazione del M5S alle prossime elezioni politiche, per quanto oggi
prematura, non può più essere esclusa dalle prospettive possibili. Ciò
che porrebbe nuove incognite non solo al movimento operaio, ma alla
stessa borghesia italiana circa la stabilizzazione del proprio quadro
politico.
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
LA CENTRALITÀ DELLA BATTAGLIA CLASSISTA
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Su tutto lo scenario politico e sulla variabilità delle prospettive
grava la crisi perdurante del movimento operaio italiano. Nessuna
variante progressiva è possibile, quale che sia l'esito del referendum,
senza una ripresa della mobilitazione sociale, di classe e di massa. Da
qui la necessità di ricondurre la nostra battaglia per il No al
referendum ad una ragione di classe riconoscibile: combinando la
valorizzazione del fronte unico per il No a sinistra (contro ogni logica
di separatismo minoritario), con la netta differenziazione politica sia
dalle impostazioni puramente accademico-costituzionaliste, sia dalle
torsioni populiste (il No "filo-Brexit"). Più in generale l'intero
scenario nazionale ed europeo conferma la centralità della battaglia
classista, in particolare tra i lavoratori e i giovani, contro tutte le
varianti di populismo interclassista, e contro ogni forma di
subalternità a sinistra verso il populismo.</div>
</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: justify;">
Partito Comunista dei Lavoratori - Comitato Centrale</h5>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-51992780688187592162016-07-01T09:56:00.002+02:002016-07-01T09:56:45.943+02:00<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">UE o Brexit: una falsa alternativa per i lavoratori</span></h1>
</div>
<div class="colbox">
<h2 class="stitle_paginaArt">
L'esito del referendum britannico e la lotta anticapitalista contro l'UE</h2>
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
25 Giugno 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="Brexit" height="367" src="http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3700" width="620" />
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br />L'uscita della Gran Bretagna dalla UE apre un nuovo capitolo della
crisi dell'Unione degli stati capitalisti del vecchio continente.
<br />
<br />Da tempo a cavallo tra integrazione e dissoluzione, la UE ha visto
moltiplicarsi nell'ultima fase le spinte disgregatrici. Il combinato
della crisi capitalista, della prolungata stagnazione, della profonda
crisi di consenso delle politiche di austerità ha sospinto un
approfondimento delle contraddizioni nazionali nella UE . Il fiscal
compact è virtualmente fallito senza che si delinei un nuovo equilibrio.
L'Unione bancaria resta al palo, col rifiuto tedesco di una
assicurazione europea sui depositi, mentre l'intero settore bancario
europeo è investito da nuovi venti di crisi (crisi dei crediti
deteriorati in Italia, crisi dei derivati nella finanza tedesca e
nordica). Il riconoscimento o meno della Cina come economia di mercato
amplifica il contrasto tra capitalismo tedesco (disponibile) e interesse
opposto di Italia e Francia, minacciate sul proprio mercato interno
dalla concorrenza asiatica. La pressione migratoria - fattore
strutturale di lungo periodo - sospinge processi combinati di
rinazionalizzazione dei confini, con la dissoluzione del blocco
est-europeo a trazione tedesca e nuovi processi di polarizzazione
politica xenofoba all'interno di diversi paesi. Fattore a loro volta di
nuove spinte centrifughe e di effetti politici destabilizzanti
all'interno dei diversi paesi dell'Unione.
<br />
<br />La Brexit è stata un effetto di questo quadro generale di crisi, e al tempo stesso concorre ad approfondirlo.
<br />
<br />
<br />LA NATURA DELL'OPERAZIONE CAMERON. LA CITY A FAVORE DEL REMAIN
<br />
<br />Lo scontro interno alla Gran Bretagna tra “remain” e Brexit ha visto
affrontarsi su opposti versanti forze ugualmente nemiche dei lavoratori
britannici e dei lavoratori europei. Sia sul fronte politico, sia sul
fronte sociale.
<br />
<br />Sul fronte politico, David Cameron ha ideato il referendum
sull'appartenenza della Gran Bretagna alla Unione Europea in funzione
del proprio rafforzamento nel partito conservatore e nel governo, contro
i propri avversari interni, lungo la linea di continuità dell'attacco
ai lavoratori britannici. Prima la promessa del referendum, poi il
negoziato con la UE, infine la campagna a favore del remain brandendo le
“concessioni” ottenute in sede UE (contro i diritti sociali degli
stessi immigrati comunitari), hanno perseguito un solo obiettivo:
incassare il plauso popolare per coronare la propria ambizione politica.
La disfatta della cinica operazione ha sancito la fine politica di
Cameron, a vantaggio di quegli stessi avversari interni (Boris Johnson)
che puntava a sgominare.
<br />
<br />Al di là degli scopi politici di Cameron, la campagna per il remain
ha selezionato e raccolto attorno a sé il fiore della grande borghesia
britannica: il cuore della City londinese, la principale piazza del
capitale finanziario europeo; la grande borghesia industriale (l'80%
degli aderenti alla Confindustria britannica ha aderito alla campagna);
la maggioranza delle Camere di commercio (sia pure con una percentuale
minore). La ragione del sostegno borghese maggioritario al remain è
molto semplice: la UE rappresenta il 45% delle esportazioni del Regno
Unito. Una uscita della Gran Bretagna dalla UE significa la
rinegoziazione dell'accesso al mercato unico, in condizioni
presumibilmente più difficili.
<br />
<br />Per ragioni di classe complementari, la permanenza della Gran
Bretagna nel Regno Unito era la speranza del grosso del capitalismo
mondiale, delle grandi borghesie europee e dei loro governi nazionali,
interessati ad evitare sia i contraccolpi economici della Brexit sul
mercato finanziario, in una situazione già critica; sia un nuovo
possibile fattore di incoraggiamento delle spinte centrifughe
nell'Unione. Ma era la speranza anche degli Stati Uniti, da sempre
alleato storico privilegiato della Gran Bretagna. La permanenza del
Regno Unito nell'Unione rispondeva a molteplici interessi USA:
preservare la principale piattaforma finanziaria delle proprie
multinazionali e banche sul mercato europeo; mantenere una propria
sponda politica fidata all'interno della UE; favorire una tenuta
dell'Unione quale fattore di contenimento della crisi capitalistica
mondiale ed anche possibile alleata ai fini del controbilanciamento
della potenza cinese (accordi TTIP). Per tutte queste ragioni è indubbio
che la vittoria della Brexit contraddice gli interessi dominanti del
capitalismo internazionale. Il crollo delle borse di venerdì,
proporzionale al loro investimento sulla permanenza nell'UE, è un primo
metro di misura del contraccolpo subito.
<br />
<br />
<br />BREXIT COME VITTORIA DEI LAVORATORI E DELLA DEMOCRAZIA?
<br />
<br />Ma è perciò stesso la Brexit una vittoria dei lavoratori e della democrazia?
<br />Colpisce il sostegno entusiasta alla Brexit di forze diverse della
sinistra europea (e non solo). Come il tripudio ideologico per la sua
"vittoria".
<br />
<br />La campagna a favore della Brexit è stata ispirata e diretta dalle
forze politiche più reazionarie del panorama inglese. Dallo UKIP
xenofobo di Farage, alleato del M5S nel Parlamento europeo. Dai
movimenti fascisti della Gran Bretagna. Dalle bande ostili a Cameron nel
Partito Conservatore e nel governo stesso. Il tono ideologico della
campagna è emblematico. Da un lato la campagna ossessiva contro i
migranti: contro gli immigrati comunitari (inclusi i tanti giovani e
lavoratori italiani emigrati) e la loro “pretesa” di diritti sociali; e
tanto più contro i migranti extracomunitari e la loro presunta
“invasione”, a partire dall'immagine simbolo dell'accampamento disperato
di Calais, rappresentato come avamposto minaccioso della UE ai confini
della patria. Dall'altro, la rivendicazione del peggiore sciovinismo
all'insegna della nostalgia del vecchio impero britannico e della grande
potenza inglese nel mondo. «Una grande potenza imperiale che potrebbe
tornare a risorgere, se solo la gran Bretagna si liberasse della Unione
Europea», ha testualmente annunciato Farage.
<br />
<br />Anche settori della borghesia inglese si sono allineati al fronte
della Brexit, a partire da un consistente settore delle Camere di
commercio. Ai quali Boris Johnson si è così rivolto: «Noi potremo fare
accordi con le economie emergenti del mondo intero, accordi che la UE è
incapace di siglare a causa delle forze protezioniste europee.
Liberiamoci delle catene dell'Unione.» (Le Monde). È la (improbabile)
promessa al capitalismo britannico di un autonomo aggancio al mercato
cinese aggirando l'Unione Europea e il suo contenzioso con la Cina.
L'appello al libero mercato mondiale e alla sue umani sorti e
progressive si combinava dunque col vezzo ideologico nazionalista,
dentro un comune impasto reazionario.
<br />
<br />
<br />UNA MINACCIA REAZIONARIA CONTRO I LAVORATORI
<br />
<br />La vittoria di questo fronte reazionario è una minaccia per i lavoratori britannici e per il movimento operaio europeo.
<br />
<br />Certo, un settore di classe lavoratrice e la maggioranza della
popolazione povera delle periferie e delle campagne sono stati catturati
dalle sirene della Brexit. La rabbia sociale accumulata dalla crisi
capitalista e dalle politiche di austerità è stata dirottata con
successo contro l'Unione Europea. Il ritorno mitologico alla “vecchia
potenza inglese” è stato venduto come canale di riscatto sociale ed
emancipazione. Ma si tratta di una cinica truffa, oggi rilanciata su
scala continentale da tutti gli ambienti politici più reazionari
d'Europa, a partire da Le Pen e Salvini.
<br />
<br />Il capitalismo britannico e la sua sovrana sterlina non sono meno
responsabili dell'Unione Europea per la miseria crescente dei lavoratori
inglesi. Ben prima della UE, fu il governo - nazionalista - di Margaret
Thatcher (quello che brandì la guerra all'Argentina sulle Malvinas) a
realizzare il grande sfondamento liberista contro il movimento operaio
(guerra ai minatori) e l'attacco frontale allo stato sociale. Blair e
Cameron, nel quadro della UE (ma fuori dall'Euro), hanno amministrato la
continuità devastante di quella politica, che Farage, già nelle vesti
di deputato conservatore, e tanto più Boris Johnson, hanno fedelmente e
attivamente sostenuto. Oggi proprio Boris Johnson, astro nascente della
Brexit, si candida a gestire una nuova pesante stagione di austerità
contro i lavoratori inglesi, e una stretta discriminatoria xenofoba
contro gli immigrati. Naturalmente nel nome di "Britain First" e della
guerra tra poveri. Presentare tutto questo, a sinistra, come "vittoria
della democrazia" e come "esempio per i popoli europei" significa aver
perso la testa.
<br />
<br />
<br />CONTRO L'UNIONE EUROPEA, PER GLI STATI UNITI SOCIALISTI D'EUROPA
<br />
<br />Siamo da sempre contro l'Unione Europea. Una Unione di stati
capitalisti unicamente interessati a partecipare alla spartizione del
mondo dopo il crollo dell'URSS, nel nuovo mercato globale. Per questo
interessati a concertare le proprie politiche di rapina contro i propri
lavoratori. Per la stessa ragione ci siamo sempre opposti e tanto più ci
opponiamo oggi alle illusioni di una possibile UE “democratica e
sociale”, portate avanti dai partiti di Sinistra Europea (Syriza,
Rifondazione Comunista, Izquierda Unida, Die Linke, PCF...). Partiti che
si sono ciclicamente compromessi nei diversi governi borghesi
dell'Unione Europea gestendo le stesse politiche di austerità e di
rapina che dall'opposizione dicevano di combattere. La capitolazione di
Tsipras alla troika è solo l'ultimo esempio del fallimento del
riformismo europeista.
<br />
<br />Ma la lotta contro l'Unione Europea può procedere da opposti versanti, politici e di classe, e mirare ad opposte prospettive.
<br />
<br />Può procedere dal versante dell'opposizione di classe del movimento
operaio, a difesa delle proprie ragioni e diritti sociali. Come ha
mostrato la lunga ascesa del movimento di massa in Grecia contro la
troika prima del tradimento di Syriza. Come mostra oggi la mobilitazione
di massa prolungata ancora in corso in Francia contro la Loi Travail
del governo Hollande. Questa è la dinamica di lotta che ha valore
progressivo, che può unire gli sfruttati, che può ricomporre attorno
alla classe operaia un blocco sociale anticapitalista, che può
alimentare una solidarietà di classe internazionale tra i lavoratori
d'Europa. La proposta di una Europa socialista, nella forma degli Stati
Uniti socialisti d'Europa, è l'unica proposta strategica capace di dare
una prospettiva storica a questa dinamica di lotta. L'unica che può
indicare un'alternativa reale all'Unione Europea del capitale,
nell'interesse dei lavoratori.
<br />
<br />La lotta contro l'Unione Europea e contro l'Euro oggi indicata dalla
Brexit, e promossa dai Farage, Le Pen, Salvini, è non solo diversa, ma
esattamente opposta. È la lotta che mira a far leva sulla crisi
capitalista, e sulla mancata risposta del movimento operaio alla crisi,
per costruire uno sbocco reazionario, in ogni paese e su scala
continentale. All'insegna della continuità delle politiche di rapina, e
di un nuovo drammatico appesantimento dell'offensiva dominante contro i
diritti sociali, sindacali, democratici del movimento operaio europeo e
di tutti gli oppressi.
<br />
<br />Ogni subordinazione a questa dinamica reazionaria va apertamente
denunciata e combattuta, tra le fila dei lavoratori, tra i giovani, in
ogni organizzazione sindacale e di massa.</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt">
<span style="font-size: small;"><span style="color: red;">Partito Comunista dei Lavoratori</span></span></h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colfooter">
<h3 class="title_corrArt">
CONDIVIDI</h3>
<div style="float: left; margin-left: 1em; padding-top: 20px;">
<div class="fb-share-button" data-href="http://pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=5090" data-type="button_count">
</div>
</div>
</div>
<div class="columnRight">
<div class="tvLavoratori">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="tvLavoratori">
<br />
</div>
<div class="tvLavoratori">
<br />
</div>
<br class="clear" />
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-912041854602838112016-06-21T11:56:00.001+02:002016-06-21T11:56:37.360+02:00<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">Il Movimento 5 Stelle: un movimento reazionario di massa</span></h1>
</div>
<div class="colbox">
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
9 Giugno 2016</h5>
<div class="colbox">
<div class="descr_paginaArt">
<span style="color: red;">Dopo le elezioni, il M5S torna ad
essere oggetto di analisi e confronto. Qual è il reale progetto sociale e
politico del M5S? Qual è la sua base sociale? Come bisogna valutarlo da
un versante di classe?</span></div>
<div class="descr_paginaArt">
<br /></div>
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="grillus" height="399" src="http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3688" width="620" />
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
Il Movimento 5 Stelle in questi anni ha
spesso costituito un oggetto di confronto politico a sinistra. Torna ad
esserlo tanto più oggi, dopo il voto delle comunali del 5 giugno, alla
vigilia dei ballottaggi, in un quadro politico generale segnato dalla
crisi del renzismo e dall'imminenza del referendum istituzionale.
<br />
<br />Impressiona l'avallo politico fornito al grillismo da parte di
ambienti diversi di estrema sinistra. Ancor più l'esplicito gioco di
sponda col M5S del gruppo dirigente USB, sino all'aperta campagna
politica per i suoi candidati o le sue candidate negli imminenti
ballottaggi. Più in generale colpisce la rappresentazione dell'avanzata
del Movimento 5 Stelle quale risultante di un'asserita “ribellione
sociale strisciante e diffusa”, come teorizza la Rete dei Comunisti.
<br />
<br />Queste tesi non misurano solamente la rimozione di ogni criterio di
classe dall'analisi politica. Configurano il serio rischio di una forma
indiretta di subordinazione a un movimento reazionario di massa. Perché
tale è la natura del Movimento 5 Stelle. Il carattere poliedrico ed
eclettico di tante sue posizioni, il suo profilo culturale
apparentemente evanescente, fragile, “inoffensivo”, e persino le
posizioni progressiste occasionalmente esibite su alcuni temi (scuola ,
acqua pubblica...) mascherano questa natura, fuorviando molte letture.
Eppure proprio il carattere ambiguo e polivalente delle posture
ideologiche segna la natura di tanti movimenti reazionari. Oltre a
rappresentare un utile strumento di penetrazione di massa in ambienti
sociali diversi, che è la vocazione naturale di ogni movimento populista
mirato alla conquista del potere.
<br />
<br />Qual è il reale progetto sociale e politico del M5S? Come si
posiziona nella lotta fra le classi? Da quale dinamica di classe nasce
il suo successo e prende forma il suo blocco sociale di riferimento?
Questi sono gli interrogativi di fondo da porre alla base di un'analisi
seria. E la risposta è inequivocabile.
<br />
<br />
<br />UN MOVIMENTO CONTRO GLI OPERAI, CONTRO IL LAVORO
<br />
<br />Il Movimento 5 Stelle incassa il voto di ampi settori operai, in
particolare tra i giovani. Ma la sua cultura, il suo programma, la sua
politica, sono contro le ragioni degli operai. Dalla vicenda Elettrolux
al caso Ilva, passando per le acciaierie di Piombino, in ogni scontro
sociale e drammatico a difesa del lavoro, il M5S si è pronunciato per la
chiusura delle fabbriche. «Il lavoro non c'è più, non ci sarà più, che
senso ha attardarsi a difenderlo? La soluzione è il reddito di
cittadinanza»: così Grillo arringò gli (increduli) operai di Piombino.
Non si tratta di una battuta. Nella visione sociale e culturale del
grillismo il reddito di cittadinanza è un sostituto del lavoro. Al posto
di una battaglia per la ripartizione del lavoro fra tutti, attraverso
la riduzione generale dell'orario di lavoro a parità di paga (e in
questo quadro la richiesta di un salario garantito dignitoso ai
disoccupati fino a che non trovano lavoro), il M5S offre il reddito di
cittadinanza agli operai licenziati... di cui chiede il licenziamento.
Un paracadute sociale bucato al posto del lavoro. Un reddito di
sussistenza (750 euro) per di più inferiore all'importo attuale della
cassa integrazione. Ci si può meravigliare se la parlamentare romana
pentastellata Roberta Lombardi definì a suo tempo l'articolo 18 «un
anacronismo da buttare»?
<br />
<br />Non va meglio per il lavoro nei servizi e nella pubblica
amministrazione. Anzi. Casaleggio ha teorizzato a suo tempo l'esistenza
di una zavorra parassitaria nella società italiana rappresentata dalle
pensioni e dagli impiegati pubblici. Una zavorra che impedirebbe la
liberazione delle risorse necessarie per il reddito di cittadinanza. Si
tratta allora di disboscare la zavorra. Grillo ha affermato che il
governo di Roma da parte del M5S attaccherà il parassitismo e sfoltirà
gli impiegati pubblici, per questo susciterà resistenze e scioperi. È la
confessione di un programma. È possibile che una amministrazione Raggi
ne moderi l'applicazione nell'immediato, anche per ragioni di cassetta
elettorale. Ma quello resta il programma reale di riferimento. La
rappresentazione degli impiegati pubblici come sacca di privilegio e
fannulloni non è forse uno dei fiori all'occhiello di ogni cultura
reazionaria, da Salvini a Brunetta?
<br />
<br />Questo programma contro il lavoro ha un preciso destinatario
sociale: la piccola e media impresa. Le risorse liberate dallo
sfoltimento degli impiegati pubblici non servono solo a finanziare il
reddito di cittadinanza per gli operai licenziati nell'industria (e per
gli stessi impiegati pubblici liquidati). Servono a finanziare la
piccola e media impresa. Servono a finanziare la cancellazione
dell'IRAP, richiesta centrale del programma pentastellato, in tutto e
per tutto convergente su questo con il programma di Salvini e con la
politica confindustriale di Renzi. Il fatto che oggi l'IRAP finanzi ciò
che resta della sanità pubblica, e che il vero scandalo fiscale stia nel
sovraccarico di tasse su lavoratori dipendenti e pensionati, è solo uno
spiacevole dettaglio. La conquista delle piccola e media impresa è
obiettivo centrale del grillismo, come di ogni movimento reazionario. Al
cosiddetto fondo per la piccola e media impresa viene versato parte
dello stipendio dei parlamentari grillini. Le relazioni sul territorio
con le associazioni della piccola e media impresa sono oggetto di cura
costante da parte del M5S, dal Nord-Est al Mezzogiorno. La campagna
mirata sulla piccola e media impresa, con una capillare rete di incontri
con padroni e padroncini, è il cuore ad esempio della campagna di
Appendino a Torino. Il fatto che nella piccola e media impresa si annidi
una montagna di lavoro nero, supersfruttato, senza diritti, non
interessa al M5S. Per Grillo votano milioni di sfruttati. Ma lui si
occupa dei loro sfruttatori.
<br />
<br />
<br />UN MOVIMENTO CONTRO IL SINDACATO
<br />
<br />Se sei contro gli operai e i lavoratori dipendenti sei contro il
sindacato. Il M5S si allinea alla campagna reazionaria contro il
sindacato oggi condotta dal renzismo e dal salvinimo. Ma con una
accentuazione ancor più pesante. Grillo ha definito il sindacato un
ferrovecchio dell'Ottocento da cancellare (durante un comizio a Reggio
Calabria nel 2013). Non l'attuale sindacato, si badi bene. Ma proprio il
sindacato in quanto tale. Di Maio ha ripreso recentemente lo stesso
concetto. La posizione non fa una grinza. Se «il lavoro non c'è più, non
ci sarà più, non vale la pena difenderlo», che senso ha un sindacato?
Il sindacato è preposto alla difesa del lavoro. Le attuali burocrazie
sindacali, come sappiamo, aiutano i padroni e lo Stato a perpetuare le
politiche di austerità contro il lavoro. È una ragione in più per
rivendicare un vero sindacato democratico e di classe, capace di fare
finalmente il proprio mestiere. Il M5S fa l'opposto: siccome il lavoro
non va difeso, buttiamo a mare il sindacato in quanto tale. Risolverà
tutto... il reddito di cittadinanza.
<br />
<br />Non è solo il risvolto di una politica contro il lavoro. È anche il
riflesso di una visione culturale reazionaria più generale. “Uno vale
uno” non è affatto una petizione democratica, se non in apparenza. È la
delegittimazione di ogni rappresentanza collettiva, sindacale o
politica, dei lavoratori in quanto classe. I lavoratori sono “cittadini”
tra gli altri. Le loro relazioni sono ordinarie relazioni tra
cittadini. Il web è il terreno ordinario delle relazioni. Il lavoratore
atomizzato, solo davanti al web, disperso nella massa anonima dei
“cittadini”, è il destino che il grillismo riserva agli operai. La
democrazia si riduce al “mi piace”. Che posto ha un sindacato in tutto
questo?
<br />
<br />Non è solo una posizione teorica. Laddove amministra, il grillismo
ignora il sindacato. A Parma la giunta grillina ha pagato il debito
pubblico alle banche con tanto di interessi, come ogni altra giunta
borghese. Per finanziare il pagamento del debito, non ha solamente
alzato le rette degli asili sino a 600 euro mensili, ma ha colpito il
salario accessorio dei dipendenti comunali. Alla RSU che protestava si è
rifiutato l'incontro perché "la nuova amministrazione pubblica si
rivolge direttamente ai singoli cittadini, non al sindacato come nella
vecchia politica".
<br />Raggi e Appendino oggi rivendicano la rinegoziazione del debito con
le banche nelle rispettive città (guardandosi bene dall'abrogarlo). Le
banche potranno acconsentire ma in cambio di precise contropartite: a
partire dal taglio dei “costi” dei dipendenti pubblici, perché vorranno
garanzie più stringenti sul pagamento del debito rimanente. I sindacati
protesteranno. Ma la “nuova politica” della “nuova amministrazione dei
cittadini” per quale ragione dovrebbe negoziare con loro, visto che il
sindacato è un ferrovecchio dell'Ottocento?
<br />
<br />Una cosa è certa: il fatto che organizzazioni sindacali di classe si
facciano sponsorizzatrici del grillismo non è solo grave. È grottesco, e
suicida.
<br />
<br />
<br />UN MOVIMENTO CHE IGNORA LA DEMOCRAZIA
<br />
<br />Il regime interno al M5S è stato spesso oggetto di discussione e
polemiche pubbliche. Non ci interessano ovviamente le critiche ipocrite
del Bonaparte Renzi. Ci interessa uno sguardo al grillismo dal punto di
vita semplicemente democratico.
<br />
<br />Il M5S si regge su un modello interno plebiscitario. Senza confronto
democratico di posizioni, senza elezione democratica degli organismi
dirigenti, senza organizzazione democratica. Il vero baricentro del
comando sta nella Casaleggio Associati, che controlla la rete, che
controlla il movimento. Grillo e Casaleggio (oggi junior), quali padroni
del marchio, sono i padroni del movimento, giuridici e politici. Per
nascita o per successione dinastica. Non li ha eletti nessuno, ma
decidono tutto. Decidono loro chi riconoscere e chi no, chi accogliere e
chi espellere. Il direttorio, di più recente formazione, è una loro
emanazione, funzionale alla comunicazione pubblica. Gli staff,
selezionati e avallati dall'azienda madre, sono il vero strumento di
governo quotidiano del movimento, nel più generale anonimato. E quindi
fuori da ogni possibile controllo. La rete degli associati è chiamata di
tanto in tanto a votare via internet gli editti dei capi (posizioni,
espulsioni, incarichi), nella fascia oraria decisa da loro poche ore
prima, senza alcuna possibilità di contraddittorio paritario di
posizioni e argomenti. La democrazia della rete è ridotta a un sì o a un
no all'editto dei capi. Nei fatti, al plauso plebiscitario ad ogni loro
decisione. Quando il plauso non è garantito, si evita la votazione.
Quando, eccezionalmente, una votazione dà esito sgradito (e imprevisto),
la si ignora, come è successo sul caso migranti.
<br />Presentare tutto questo come “vera democrazia” in cui “decidono i
cittadini” non è solo grottesco, è un riflesso del meccanismo
plebiscitario che in ogni tempo presenta come democrazia l'investitura
popolare del capo, come decisione del popolo l'inganno del popolo, che è
l'esatto opposto della democrazia.
<br />
<br />Questo regime interno al M5S non è un fatto che riguarda loro. È la
prefigurazione della loro concezione dello Stato. È l'anticipazione del
loro modello di potere, la cifra della loro proposta politica e
istituzionale. “Uno vale uno”, come si è detto, non è solo la
delegittimazione del sindacato, ma anche del partito politico. Non di
questo o quell'altro partito, ma del partito politico in quanto tale.
Nella nuova civiltà pentastellata dominata dal web non hanno senso
organizzazioni politiche portatrici di progetti collettivi o ragioni
sociali. Sono i “cittadini” ad “esprimersi attraverso la rete”. Lo
stesso M5S, non a caso, non si autorappresenta come partito, fosse pure
sui generis. Si concepisce come la voce dei cittadini, espressione della
loro volontà. La voce dei cittadini a sua volta è contrapposta ai
partiti, quali che essi siano, significativamente rappresentati come
universo omogeneo e nemico della rete. Questa rappresentazione del M5S
come la voce del popolo contrapposta ai partiti ha in sé una vocazione
totalitaria, che del resto corrisponde alla visione mitologica coltivata
dal guru Gianroberto Casaleggio in 'Gaia: il futuro della politica',
dove annuncia dopo il 2054 la nascita di una nuova civiltà del mondo
dominata dalla rete senza più i partiti politici. Una civiltà che
emergerebbe da una terza guerra mondiale tra Occidente e Oriente.
Naturalmente si può ridere delle fantasie più irrazionali. Ma le
mitologie irrazionaliste nella storia non sono forse un classico (e
tragico) ingrediente delle culture più reazionarie?
<br />
<br />Le posizioni reazionarie espresse a più riprese dal M5S verso il
fenomeno dell'immigrazione, come la sua adesione allo stesso gruppo
reazionario e xenofobo di Farage nel Parlamento europeo (EFDD), sono
solo un riflesso particolare di quella cultura generale. Ciò che
oltretutto consente oggi al lepenista Salvini un'indicazione di voto ai
candidati grillini nei ballottaggi del 19 giugno.
<br />
<br />
<br />CONCLUSIONI
<br />
<br />Quando parliamo del M5S non parliamo di un movimento occasionale e
transitorio. Stiamo parlando di un soggetto ormai consolidato che può
conquistare nei prossimi anni il potere politico in Italia, magari
attraverso l'Italicum.
<br />
<br />Il consolidamento del grillismo, e la presa delle sue suggestioni
nella giovane generazione e tra i lavoratori, sono dunque un problema
serio per il movimento operaio italiano. Sono un effetto della deriva
autodistruttiva di una sinistra politica che ha prima tradito i
lavoratori in cambio di ministri (o assessori), poi li ha abbandonati a
loro stessi sotto i colpi della grande crisi. Sono la risultante
dell'arretramento profondo del movimento operaio, delle sue conquiste,
della sua coscienza politica e sindacale, a livello di massa ed anche in
settori della sua avanguardia. In questo senso il M5S, con le sue
indubbie specificità, appartiene a pieno titolo alla grande famiglia
(assai eterogenea) del populismo reazionario europeo, che ha raggiunto
una massa critica sconosciuta nella storia del dopoguerra proprio
capitalizzando a destra la crisi del movimento operaio continentale.
<br />
<br />Ricostruire tra i lavoratori una coscienza politica di classe,
dentro un'azione di rilancio del movimento operaio, è allora l'unica
via per fare argine al populismo reazionario in tutte le sue
declinazioni italiane: renzismo, salvinismo, grillismo. Ciò che richiede
una battaglia controcorrente, anche a sinistra, sulla natura del M5S,
contrastando ogni forma di suo abbellimento o sottovalutazione, ogni
tipo di capitolazione politica e culturale alla sua narrazione
ideologica. Tanto più nell'ambiente dell'avanguardia di classe e dei
movimenti sociali.</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: right;">
<span style="color: red;">Partito Comunista dei Lavoratori</span></h5>
<div class="colbox">
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-30719001109017350532016-06-04T16:24:00.002+02:002016-06-04T16:24:43.819+02:00<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
<span style="color: red;">Dalla parte dei lavoratori francesi</span></h1>
</div>
<div class="colbox">
<h2 class="stitle_paginaArt">
Scioperi e proteste bloccano la Francia</h2>
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
25 Maggio 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="Total" height="387" src="http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3666" width="620" />
</div>
</div>
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="Total 2" height="414" src="http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3667" width="620" />
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br /></div>
<div class="text_paginaArt" style="text-align: justify;">
Blocco delle otto raffinerie petrolifere
francesi. Blocco dei porti di Le Havre, Saint Nazaire, Marsiglia.
Sciopero a tempo indeterminato delle ferrovie a partire dal 31 maggio, e
dei trasporti pubblici a Parigi dal 2 giugno. Sciopero del traffico
aereo dal 3 al 5 giugno.
<br />Lo scontro sociale in Francia sulla legge El Khomri si radicalizza. È
passato dalle giornate di mobilitazione nazionale scaglionate nel tempo
a una possibile dinamica di sciopero generale.
<br />
<br />Con l'elevarsi del livello di scontro si alza la posta in gioco.
<br />Hollande e Valls sembrano aver tagliato i ponti alle proprie spalle,
sotto la pressione incalzante della borghesia francese. La Medef
(Confindustria francese) che già ha denunciato i "cedimenti" del governo
ai sindacati per le modifiche apportate al testo originario della
legge, ha minacciato di rompere con l'esecutivo in caso di ulteriori
concessioni. Le Camere del Commercio e la Federazione delle imprese
delle costruzioni hanno chiesto al governo la mano pesante per
ripristinare l'ordine. Il gruppo Total ha minacciato di revocare i
propri piani di investimento in Francia nel caso di un prolungamento dei
blocchi e degli scioperi. La destra gollista denuncia l'incapacità del
governo di ripristinare “l'autorità” e invoca l'intervento poliziesco.
<br />Hollande e Valls hanno risposto alle pressioni impugnando la
bandiera della fermezza. Prima hanno fatto ricorso al famigerato
articolo 49 della Costituzione che consente di aggirare il voto
parlamentare per decreto. Poi hanno inviato la polizia a sgomberare la
raffineria in sciopero di Fos-sur-Mer, per demotivare la continuità
della lotta. La parola d'ordine è: la legge sul lavoro non sarà
ritirata. La speranza del governo è che l'esibizione della fermezza
favorisca il riflusso del movimento, come era avvenuto nel 2010, sotto
Sarkozy, nello scontro sulle pensioni.
<br />
<br />Sul versante opposto, il gruppo dirigente della CGT si gioca nello
scontro il proprio prestigio e il proprio peso politico, minacciati sia
dall'intransigenza di Valls, sia dalla concorrenza della CFDT. Il nuovo
segretario CGT, Martinez, non è certo un rivoluzionario. Ma intende
difendere la forza contrattuale della burocrazia che dirige. Oltreché la
propria autorevolezza nei rapporti interni alla CGT, instabili e
burrascosi. Da qui il cambio di marcia e l'accelerazione della
mobilitazione. La parola d'ordine della generalizzazione degli scioperi
sta in questo quadro. Come le relazioni ostentate col movimento Nuit
Debout e la piazza giovanile. La speranza della burocrazia CGT è che la
minaccia della ingovernabilità del conflitto possa indurre il governo ad
arretrare, senza essere costretta a proclamare un vero sciopero
generale. Dicendo al governo che il suo braccio di ferro “è pericoloso”,
la burocrazia segnala in forma contorta alla borghesia francese che
vuole evitare una dinamica incontrollabile, ma che per questo ha bisogno
di un passo indietro del governo.
<br />
<br />Ma la situazione si regge sul crinale di un equilibrio instabile,
che esclude il pareggio. O la dinamica aperta con lo sciopero delle
raffinerie e dei trasporti si estende alle fabbriche in direzione di uno
sciopero generale che paralizza l'intero paese, getta sul piatto della
bilancia la forza di massa di quasi venti milioni di salariati,
polarizza e salda attorno a sé il movimento studentesco e giovanile;
oppure il movimento di sciopero è destinato a ripiegare sotto l'effetto
congiunto della repressione e dello scoramento.
<br />
<br />La parola d'ordine dello sciopero generale sino al ritiro della
legge, combinato con l'occupazione delle fabbriche e la loro difesa
organizzata contro la gendarmeria, è la parola d'ordine del momento. La
parola d'ordine da agitare in ogni luogo di lavoro, in ogni sindacato,
in ogni piazza. È l'unica via per piegare il governo. Ma è anche la via
che aprirebbe in Francia una crisi rivoluzionaria, di enorme impatto in
Europa e nel mondo. È la ragione per cui la burocrazia sindacale non
vuole compiere quel passo. È la ragione per cui i rivoluzionari sono
chiamati a rivendicarlo.
<br />I marxisti rivoluzionari francesi sono oggi ovunque al loro posto di
combattimento. A loro va il nostro sostegno e il nostro abbraccio.
'Fare come in Francia' è oggi la parola d'ordine del PCL.</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt">
<span style="color: red;">Partito Comunista dei Lavoratori</span></h5>
<div class="colbox">
</div>
<br /><div class="columnRight">
<div class="tvLavoratori">
<br />
</div>
<br class="clear" />
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4758652049944441732.post-89173536908105017342016-05-18T14:36:00.000+02:002016-05-18T14:36:24.244+02:00<div class="colbox">
<h1 class="title_paginaArt">
Riforma del lavoro in Francia: la continuità di una lotta strategica</h1>
</div>
<div class="colbox">
<h2 class="stitle_paginaArt">
da Prensa Obrera</h2>
</div>
<h5 class="data_paginaArt">
2 Maggio 2016</h5>
<div class="colbox">
</div>
<div class="colbox">
<div class="img_supcenter" style="width: 620px;">
<div class="img_dida" style="width: 620px;">
<img alt="npa" height="369" src="http://www.pclavoratori.it/cms_utilities/media.php?id=3647" width="620" />
</div>
</div>
<div class="text_paginaArt">
<br /></div>
<div class="text_paginaArt" style="text-align: justify;">
Parigi. La mobilitazione del 9 aprile in
Francia è stata meno numerosa e possente di quella del 31 marzo e,
tuttavia, la crisi intorno alla nuova legge sul lavoro si approfondisce.
<br />Il grosso delle manifestazioni in 220 città è stato rappresentato da
migliaia di giovani e decine di migliaia di attivisti sindacali. La
repressione poliziesca è stata una provocazione, soprattutto a Parigi e
Rennes, dato che le colonne della CGT e di FO sono state attaccate. La
giornata non è stata la grande marea annunciata, ma ha mantenuto la
continuità della lotta contro il governo. A Parigi, e in misura meno
significativa in altre città, una parte dei manifestanti si è riunita in
Place de la République, per tenere assemblee generali del movimento
denominate “Notte in piedi” (Nuit debout). Queste assemblea fanno ora
parte del panorama della lotta.
<br />
<br />
<br />IL PERCORSO DEL PROGETTO DI LEGGE
<br />
<br />Per salvare la sostanza del progetto (deregolamentazione del lavoro a
livello d’impresa, agevolazioni dei licenziamenti), il governo sta
facendo una serie di concessioni. Il progetto è in fase di discussione
parlamentare, nella Commissione Affari Sociali del Parlamento, che ha
introdotto degli emendamenti minori, che rafforzano la trafila
burocratica dei licenziamenti nelle grandi imprese. I ritocchi sono
stati sufficienti a far suonare il campanello dall’allarme a Pierre
Gattaz, presidente dell’organizzazione padronale Medef, e fargli
denunciare la debolezza del governo di fronte ai sindacati FO e CGT,
“fautori della lotta di classe”. Il padronato vuole una vittoria senza
attenuanti.
<br />Il governo perde il credito che aveva guadagnato di fronte alla
borghesia e il primo ministro Valls ha ceduto il centro della scena al
ministro dell’Economia, Emannuel Macron. L’ex banchiere ha appena
fondato il proprio movimento politico, “né di destra, né di sinistra” e
il capo del delle imprese Gattaz ha sostenuto l’iniziativa con
entusiasmo. È un possibile rimpiazzo di Hollande nel caso in cui il
presidente fosse incapace di presentare la propria candidatura alla
rielezione. Sembra una "Comedie de boulevard", ma è, soprattutto, la
disgregazione di un governo centrale dell’UE, e i protagonisti
dell’opera pretendono prima di tutto che il pubblico non invada la
scena.
<br />Il progetto di legge deve passare alla plenaria dell’Assemblea
Nazionale il 3 maggio e nulla esclude che i negoziati in corso e le
votazioni degli articoli producano un pastrocchio reazionario e/o che il
governo si veda costretto ad utilizzare l’articolo 49-3 della
Costituzione, che permette l’approvazione di un progetto di legge senza
che sia votato dal parlamento, a meno che una maggioranza non decida di
far cadere il governo. Questa eventualità sarebbe l’epitaffio formale
del governo Valls-Hollande.
<br />
<br />
<br />IL CORSO DELLA LOTTA
<br />
<br />Le direzioni sindacali continuano ad esigere “il ritiro del progetto
di legge”, ma si danno venti giorni di scadenza. Plaudono alle
trattative in corso tra il governo e le organizzazioni (burocratiche)
degli studenti, come modello da imitare. Valls ha ricevuto queste
organizzazioni lunedì 11 e gli ha concesso un variegato insieme di
sovvenzioni, dal costo totale di 400-500 milioni di euro all’anno.
L’Unef (principale organizzazione studentesca francese, n.d.r.) e le
altre organizzazioni hanno dichiarato all’uscita dell’incontro di essere
soddisfate dalle concessioni; ciononostante insistono con il chiedere
il ritiro del progetto e invitano gli studenti a partecipare alle
assemblee della “Nuit debout”. La “sinistra” del PS – che dirige queste
organizzazioni – è finita con la "fine" del governo. Il PS, partito di
governo, politicamente non esiste, diviso tra la sua destra e la sua
sinistra.
<br />Il rinvio sino al 28 aprile è stata una pausa negativa che non si
giustifica con il Congresso della CGT, riunitosi dal 18 al 22 aprile. La
Federazione dei ferrovieri della CGT ha proclamato uno sciopero per il
26, un segno del fatto che non ha scommesso sulla giornata del 28.
<br />In questa situazione, che ruolo può svolgere la “Notte in piedi”?
Riunire ogni notte diverse centinaia di giovani attivisti consente la
discussione e l’iniziativa militante. Ma l’orientamento di una parte
importante dei partecipanti è mettere da parte la lotta vera contro la
legge, abbandonare le rivendicazioni perché significano sottomettersi
allo Stato, ignorare le organizzazioni operaie, giovanili e popolari e
guardare a se stessi per sostenere che la «lotta comincia a partire
dalla nostra parola». Può non essere casuale che il PCF, il PG di
Melenchon e altre tendenze democraticiste e conciliatrici appoggino
questo movimento, malgrado i ripetuti pronunciamenti contro i partiti
politici.
<br />La sinistra anticapitalista e rivoluzionaria deve continuare con un
lavoro sistematico di raggruppamento dei militanti e delle
organizzazioni di base in comitati, e darsi gli strumenti per un appello
nazionale allo sciopero e alla mobilitazione contro il governo.</div>
</div>
<h5 class="firma_paginaArt" style="text-align: justify;">
Roberto Gramar</h5>
<div class="colbox">
</div>
pcl massacarrarahttp://www.blogger.com/profile/11111564524262274007noreply@blogger.com0