Blog della sezione di Massa Carrara del Partito Comunista dei Lavoratori

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martedì 21 giugno 2016

Il Movimento 5 Stelle: un movimento reazionario di massa

9 Giugno 2016
Dopo le elezioni, il M5S torna ad essere oggetto di analisi e confronto. Qual è il reale progetto sociale e politico del M5S? Qual è la sua base sociale? Come bisogna valutarlo da un versante di classe?

grillus
Il Movimento 5 Stelle in questi anni ha spesso costituito un oggetto di confronto politico a sinistra. Torna ad esserlo tanto più oggi, dopo il voto delle comunali del 5 giugno, alla vigilia dei ballottaggi, in un quadro politico generale segnato dalla crisi del renzismo e dall'imminenza del referendum istituzionale.

Impressiona l'avallo politico fornito al grillismo da parte di ambienti diversi di estrema sinistra. Ancor più l'esplicito gioco di sponda col M5S del gruppo dirigente USB, sino all'aperta campagna politica per i suoi candidati o le sue candidate negli imminenti ballottaggi. Più in generale colpisce la rappresentazione dell'avanzata del Movimento 5 Stelle quale risultante di un'asserita “ribellione sociale strisciante e diffusa”, come teorizza la Rete dei Comunisti.

Queste tesi non misurano solamente la rimozione di ogni criterio di classe dall'analisi politica. Configurano il serio rischio di una forma indiretta di subordinazione a un movimento reazionario di massa. Perché tale è la natura del Movimento 5 Stelle. Il carattere poliedrico ed eclettico di tante sue posizioni, il suo profilo culturale apparentemente evanescente, fragile, “inoffensivo”, e persino le posizioni progressiste occasionalmente esibite su alcuni temi (scuola , acqua pubblica...) mascherano questa natura, fuorviando molte letture. Eppure proprio il carattere ambiguo e polivalente delle posture ideologiche segna la natura di tanti movimenti reazionari. Oltre a rappresentare un utile strumento di penetrazione di massa in ambienti sociali diversi, che è la vocazione naturale di ogni movimento populista mirato alla conquista del potere.

Qual è il reale progetto sociale e politico del M5S? Come si posiziona nella lotta fra le classi? Da quale dinamica di classe nasce il suo successo e prende forma il suo blocco sociale di riferimento? Questi sono gli interrogativi di fondo da porre alla base di un'analisi seria. E la risposta è inequivocabile.


UN MOVIMENTO CONTRO GLI OPERAI, CONTRO IL LAVORO

Il Movimento 5 Stelle incassa il voto di ampi settori operai, in particolare tra i giovani. Ma la sua cultura, il suo programma, la sua politica, sono contro le ragioni degli operai. Dalla vicenda Elettrolux al caso Ilva, passando per le acciaierie di Piombino, in ogni scontro sociale e drammatico a difesa del lavoro, il M5S si è pronunciato per la chiusura delle fabbriche. «Il lavoro non c'è più, non ci sarà più, che senso ha attardarsi a difenderlo? La soluzione è il reddito di cittadinanza»: così Grillo arringò gli (increduli) operai di Piombino. Non si tratta di una battuta. Nella visione sociale e culturale del grillismo il reddito di cittadinanza è un sostituto del lavoro. Al posto di una battaglia per la ripartizione del lavoro fra tutti, attraverso la riduzione generale dell'orario di lavoro a parità di paga (e in questo quadro la richiesta di un salario garantito dignitoso ai disoccupati fino a che non trovano lavoro), il M5S offre il reddito di cittadinanza agli operai licenziati... di cui chiede il licenziamento. Un paracadute sociale bucato al posto del lavoro. Un reddito di sussistenza (750 euro) per di più inferiore all'importo attuale della cassa integrazione. Ci si può meravigliare se la parlamentare romana pentastellata Roberta Lombardi definì a suo tempo l'articolo 18 «un anacronismo da buttare»?

Non va meglio per il lavoro nei servizi e nella pubblica amministrazione. Anzi. Casaleggio ha teorizzato a suo tempo l'esistenza di una zavorra parassitaria nella società italiana rappresentata dalle pensioni e dagli impiegati pubblici. Una zavorra che impedirebbe la liberazione delle risorse necessarie per il reddito di cittadinanza. Si tratta allora di disboscare la zavorra. Grillo ha affermato che il governo di Roma da parte del M5S attaccherà il parassitismo e sfoltirà gli impiegati pubblici, per questo susciterà resistenze e scioperi. È la confessione di un programma. È possibile che una amministrazione Raggi ne moderi l'applicazione nell'immediato, anche per ragioni di cassetta elettorale. Ma quello resta il programma reale di riferimento. La rappresentazione degli impiegati pubblici come sacca di privilegio e fannulloni non è forse uno dei fiori all'occhiello di ogni cultura reazionaria, da Salvini a Brunetta?

Questo programma contro il lavoro ha un preciso destinatario sociale: la piccola e media impresa. Le risorse liberate dallo sfoltimento degli impiegati pubblici non servono solo a finanziare il reddito di cittadinanza per gli operai licenziati nell'industria (e per gli stessi impiegati pubblici liquidati). Servono a finanziare la piccola e media impresa. Servono a finanziare la cancellazione dell'IRAP, richiesta centrale del programma pentastellato, in tutto e per tutto convergente su questo con il programma di Salvini e con la politica confindustriale di Renzi. Il fatto che oggi l'IRAP finanzi ciò che resta della sanità pubblica, e che il vero scandalo fiscale stia nel sovraccarico di tasse su lavoratori dipendenti e pensionati, è solo uno spiacevole dettaglio. La conquista delle piccola e media impresa è obiettivo centrale del grillismo, come di ogni movimento reazionario. Al cosiddetto fondo per la piccola e media impresa viene versato parte dello stipendio dei parlamentari grillini. Le relazioni sul territorio con le associazioni della piccola e media impresa sono oggetto di cura costante da parte del M5S, dal Nord-Est al Mezzogiorno. La campagna mirata sulla piccola e media impresa, con una capillare rete di incontri con padroni e padroncini, è il cuore ad esempio della campagna di Appendino a Torino. Il fatto che nella piccola e media impresa si annidi una montagna di lavoro nero, supersfruttato, senza diritti, non interessa al M5S. Per Grillo votano milioni di sfruttati. Ma lui si occupa dei loro sfruttatori.


UN MOVIMENTO CONTRO IL SINDACATO

Se sei contro gli operai e i lavoratori dipendenti sei contro il sindacato. Il M5S si allinea alla campagna reazionaria contro il sindacato oggi condotta dal renzismo e dal salvinimo. Ma con una accentuazione ancor più pesante. Grillo ha definito il sindacato un ferrovecchio dell'Ottocento da cancellare (durante un comizio a Reggio Calabria nel 2013). Non l'attuale sindacato, si badi bene. Ma proprio il sindacato in quanto tale. Di Maio ha ripreso recentemente lo stesso concetto. La posizione non fa una grinza. Se «il lavoro non c'è più, non ci sarà più, non vale la pena difenderlo», che senso ha un sindacato? Il sindacato è preposto alla difesa del lavoro. Le attuali burocrazie sindacali, come sappiamo, aiutano i padroni e lo Stato a perpetuare le politiche di austerità contro il lavoro. È una ragione in più per rivendicare un vero sindacato democratico e di classe, capace di fare finalmente il proprio mestiere. Il M5S fa l'opposto: siccome il lavoro non va difeso, buttiamo a mare il sindacato in quanto tale. Risolverà tutto... il reddito di cittadinanza.

Non è solo il risvolto di una politica contro il lavoro. È anche il riflesso di una visione culturale reazionaria più generale. “Uno vale uno” non è affatto una petizione democratica, se non in apparenza. È la delegittimazione di ogni rappresentanza collettiva, sindacale o politica, dei lavoratori in quanto classe. I lavoratori sono “cittadini” tra gli altri. Le loro relazioni sono ordinarie relazioni tra cittadini. Il web è il terreno ordinario delle relazioni. Il lavoratore atomizzato, solo davanti al web, disperso nella massa anonima dei “cittadini”, è il destino che il grillismo riserva agli operai. La democrazia si riduce al “mi piace”. Che posto ha un sindacato in tutto questo?

Non è solo una posizione teorica. Laddove amministra, il grillismo ignora il sindacato. A Parma la giunta grillina ha pagato il debito pubblico alle banche con tanto di interessi, come ogni altra giunta borghese. Per finanziare il pagamento del debito, non ha solamente alzato le rette degli asili sino a 600 euro mensili, ma ha colpito il salario accessorio dei dipendenti comunali. Alla RSU che protestava si è rifiutato l'incontro perché "la nuova amministrazione pubblica si rivolge direttamente ai singoli cittadini, non al sindacato come nella vecchia politica".
Raggi e Appendino oggi rivendicano la rinegoziazione del debito con le banche nelle rispettive città (guardandosi bene dall'abrogarlo). Le banche potranno acconsentire ma in cambio di precise contropartite: a partire dal taglio dei “costi” dei dipendenti pubblici, perché vorranno garanzie più stringenti sul pagamento del debito rimanente. I sindacati protesteranno. Ma la “nuova politica” della “nuova amministrazione dei cittadini” per quale ragione dovrebbe negoziare con loro, visto che il sindacato è un ferrovecchio dell'Ottocento?

Una cosa è certa: il fatto che organizzazioni sindacali di classe si facciano sponsorizzatrici del grillismo non è solo grave. È grottesco, e suicida.


UN MOVIMENTO CHE IGNORA LA DEMOCRAZIA

Il regime interno al M5S è stato spesso oggetto di discussione e polemiche pubbliche. Non ci interessano ovviamente le critiche ipocrite del Bonaparte Renzi. Ci interessa uno sguardo al grillismo dal punto di vita semplicemente democratico.

Il M5S si regge su un modello interno plebiscitario. Senza confronto democratico di posizioni, senza elezione democratica degli organismi dirigenti, senza organizzazione democratica. Il vero baricentro del comando sta nella Casaleggio Associati, che controlla la rete, che controlla il movimento. Grillo e Casaleggio (oggi junior), quali padroni del marchio, sono i padroni del movimento, giuridici e politici. Per nascita o per successione dinastica. Non li ha eletti nessuno, ma decidono tutto. Decidono loro chi riconoscere e chi no, chi accogliere e chi espellere. Il direttorio, di più recente formazione, è una loro emanazione, funzionale alla comunicazione pubblica. Gli staff, selezionati e avallati dall'azienda madre, sono il vero strumento di governo quotidiano del movimento, nel più generale anonimato. E quindi fuori da ogni possibile controllo. La rete degli associati è chiamata di tanto in tanto a votare via internet gli editti dei capi (posizioni, espulsioni, incarichi), nella fascia oraria decisa da loro poche ore prima, senza alcuna possibilità di contraddittorio paritario di posizioni e argomenti. La democrazia della rete è ridotta a un sì o a un no all'editto dei capi. Nei fatti, al plauso plebiscitario ad ogni loro decisione. Quando il plauso non è garantito, si evita la votazione. Quando, eccezionalmente, una votazione dà esito sgradito (e imprevisto), la si ignora, come è successo sul caso migranti.
Presentare tutto questo come “vera democrazia” in cui “decidono i cittadini” non è solo grottesco, è un riflesso del meccanismo plebiscitario che in ogni tempo presenta come democrazia l'investitura popolare del capo, come decisione del popolo l'inganno del popolo, che è l'esatto opposto della democrazia.

Questo regime interno al M5S non è un fatto che riguarda loro. È la prefigurazione della loro concezione dello Stato. È l'anticipazione del loro modello di potere, la cifra della loro proposta politica e istituzionale. “Uno vale uno”, come si è detto, non è solo la delegittimazione del sindacato, ma anche del partito politico. Non di questo o quell'altro partito, ma del partito politico in quanto tale. Nella nuova civiltà pentastellata dominata dal web non hanno senso organizzazioni politiche portatrici di progetti collettivi o ragioni sociali. Sono i “cittadini” ad “esprimersi attraverso la rete”. Lo stesso M5S, non a caso, non si autorappresenta come partito, fosse pure sui generis. Si concepisce come la voce dei cittadini, espressione della loro volontà. La voce dei cittadini a sua volta è contrapposta ai partiti, quali che essi siano, significativamente rappresentati come universo omogeneo e nemico della rete. Questa rappresentazione del M5S come la voce del popolo contrapposta ai partiti ha in sé una vocazione totalitaria, che del resto corrisponde alla visione mitologica coltivata dal guru Gianroberto Casaleggio in 'Gaia: il futuro della politica', dove annuncia dopo il 2054 la nascita di una nuova civiltà del mondo dominata dalla rete senza più i partiti politici. Una civiltà che emergerebbe da una terza guerra mondiale tra Occidente e Oriente. Naturalmente si può ridere delle fantasie più irrazionali. Ma le mitologie irrazionaliste nella storia non sono forse un classico (e tragico) ingrediente delle culture più reazionarie?

Le posizioni reazionarie espresse a più riprese dal M5S verso il fenomeno dell'immigrazione, come la sua adesione allo stesso gruppo reazionario e xenofobo di Farage nel Parlamento europeo (EFDD), sono solo un riflesso particolare di quella cultura generale. Ciò che oltretutto consente oggi al lepenista Salvini un'indicazione di voto ai candidati grillini nei ballottaggi del 19 giugno.


CONCLUSIONI

Quando parliamo del M5S non parliamo di un movimento occasionale e transitorio. Stiamo parlando di un soggetto ormai consolidato che può conquistare nei prossimi anni il potere politico in Italia, magari attraverso l'Italicum.

Il consolidamento del grillismo, e la presa delle sue suggestioni nella giovane generazione e tra i lavoratori, sono dunque un problema serio per il movimento operaio italiano. Sono un effetto della deriva autodistruttiva di una sinistra politica che ha prima tradito i lavoratori in cambio di ministri (o assessori), poi li ha abbandonati a loro stessi sotto i colpi della grande crisi. Sono la risultante dell'arretramento profondo del movimento operaio, delle sue conquiste, della sua coscienza politica e sindacale, a livello di massa ed anche in settori della sua avanguardia. In questo senso il M5S, con le sue indubbie specificità, appartiene a pieno titolo alla grande famiglia (assai eterogenea) del populismo reazionario europeo, che ha raggiunto una massa critica sconosciuta nella storia del dopoguerra proprio capitalizzando a destra la crisi del movimento operaio continentale.

Ricostruire tra i lavoratori una coscienza politica di classe, dentro un'azione di rilancio del movimento operaio, è allora l'unica via per fare argine al populismo reazionario in tutte le sue declinazioni italiane: renzismo, salvinismo, grillismo. Ciò che richiede una battaglia controcorrente, anche a sinistra, sulla natura del M5S, contrastando ogni forma di suo abbellimento o sottovalutazione, ogni tipo di capitolazione politica e culturale alla sua narrazione ideologica. Tanto più nell'ambiente dell'avanguardia di classe e dei movimenti sociali.
Partito Comunista dei Lavoratori

sabato 4 giugno 2016

Dalla parte dei lavoratori francesi

Scioperi e proteste bloccano la Francia

25 Maggio 2016
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Blocco delle otto raffinerie petrolifere francesi. Blocco dei porti di Le Havre, Saint Nazaire, Marsiglia. Sciopero a tempo indeterminato delle ferrovie a partire dal 31 maggio, e dei trasporti pubblici a Parigi dal 2 giugno. Sciopero del traffico aereo dal 3 al 5 giugno.
Lo scontro sociale in Francia sulla legge El Khomri si radicalizza. È passato dalle giornate di mobilitazione nazionale scaglionate nel tempo a una possibile dinamica di sciopero generale.

Con l'elevarsi del livello di scontro si alza la posta in gioco.
Hollande e Valls sembrano aver tagliato i ponti alle proprie spalle, sotto la pressione incalzante della borghesia francese. La Medef (Confindustria francese) che già ha denunciato i "cedimenti" del governo ai sindacati per le modifiche apportate al testo originario della legge, ha minacciato di rompere con l'esecutivo in caso di ulteriori concessioni. Le Camere del Commercio e la Federazione delle imprese delle costruzioni hanno chiesto al governo la mano pesante per ripristinare l'ordine. Il gruppo Total ha minacciato di revocare i propri piani di investimento in Francia nel caso di un prolungamento dei blocchi e degli scioperi. La destra gollista denuncia l'incapacità del governo di ripristinare “l'autorità” e invoca l'intervento poliziesco.
Hollande e Valls hanno risposto alle pressioni impugnando la bandiera della fermezza. Prima hanno fatto ricorso al famigerato articolo 49 della Costituzione che consente di aggirare il voto parlamentare per decreto. Poi hanno inviato la polizia a sgomberare la raffineria in sciopero di Fos-sur-Mer, per demotivare la continuità della lotta. La parola d'ordine è: la legge sul lavoro non sarà ritirata. La speranza del governo è che l'esibizione della fermezza favorisca il riflusso del movimento, come era avvenuto nel 2010, sotto Sarkozy, nello scontro sulle pensioni.

Sul versante opposto, il gruppo dirigente della CGT si gioca nello scontro il proprio prestigio e il proprio peso politico, minacciati sia dall'intransigenza di Valls, sia dalla concorrenza della CFDT. Il nuovo segretario CGT, Martinez, non è certo un rivoluzionario. Ma intende difendere la forza contrattuale della burocrazia che dirige. Oltreché la propria autorevolezza nei rapporti interni alla CGT, instabili e burrascosi. Da qui il cambio di marcia e l'accelerazione della mobilitazione. La parola d'ordine della generalizzazione degli scioperi sta in questo quadro. Come le relazioni ostentate col movimento Nuit Debout e la piazza giovanile. La speranza della burocrazia CGT è che la minaccia della ingovernabilità del conflitto possa indurre il governo ad arretrare, senza essere costretta a proclamare un vero sciopero generale. Dicendo al governo che il suo braccio di ferro “è pericoloso”, la burocrazia segnala in forma contorta alla borghesia francese che vuole evitare una dinamica incontrollabile, ma che per questo ha bisogno di un passo indietro del governo.

Ma la situazione si regge sul crinale di un equilibrio instabile, che esclude il pareggio. O la dinamica aperta con lo sciopero delle raffinerie e dei trasporti si estende alle fabbriche in direzione di uno sciopero generale che paralizza l'intero paese, getta sul piatto della bilancia la forza di massa di quasi venti milioni di salariati, polarizza e salda attorno a sé il movimento studentesco e giovanile; oppure il movimento di sciopero è destinato a ripiegare sotto l'effetto congiunto della repressione e dello scoramento.

La parola d'ordine dello sciopero generale sino al ritiro della legge, combinato con l'occupazione delle fabbriche e la loro difesa organizzata contro la gendarmeria, è la parola d'ordine del momento. La parola d'ordine da agitare in ogni luogo di lavoro, in ogni sindacato, in ogni piazza. È l'unica via per piegare il governo. Ma è anche la via che aprirebbe in Francia una crisi rivoluzionaria, di enorme impatto in Europa e nel mondo. È la ragione per cui la burocrazia sindacale non vuole compiere quel passo. È la ragione per cui i rivoluzionari sono chiamati a rivendicarlo.
I marxisti rivoluzionari francesi sono oggi ovunque al loro posto di combattimento. A loro va il nostro sostegno e il nostro abbraccio. 'Fare come in Francia' è oggi la parola d'ordine del PCL.
Partito Comunista dei Lavoratori